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mini di corte e di lettere, eruditi, esperti conoscitori del bello, severi a giudicare, difficili ad appagarsi: per la qual cosa gli artisti erano stimolati ognora a correggere le proprie mende; e il desiderio della perfezione rendeva loro queste fatiche lievi ed aggradevoli.

Pertanto sarò io stimato troppo austero riprenditore del nostro secolo, se affermerò che le opinioni, i costumi, le abitudini e la educazione odierna sono acconce non già a suscitare gl'ingegni da natura inclinati alle arti, ma piuttosto a tarpar loro le ali? Un illustre scrittore, esaminando le qualità e i difetti del tempo in che viviamo, sentenziava che la pecca capitale degli uomini moderni, onde rimangono infette tutte le parti del pensiero e dell'azione, è la fiacchezza della volontà. Di che, mentre gli antichi aspiravano all'ottimo e all' eroico, e per conseguirlo non rifiutavano di sostenere qualunque fatica o pericolo, e quasi in essi gioivano, i moderni, per lo contrario, volendo acquistare facilmente e godere prontamente, sono costretti a contentarsi di ciò che è mediocre e leggiero. Laonde la fede ardente, la magnanimità serena, la fermezza nelle risoluzioni, la pazienza nei dolori, la dignità di tutta la vita, sono virtù quasi sconosciute o poco pregiate nell'età in che viviamo: ma regna in loro vece la frivolezza e levità delle menti e degli animi, l' incostanza, la vanità, la presunzione. Ora questo difetto se si riguarda nelle sue attenenze colle arti belle, è, a mio avviso, una delle cagioni precipue della loro declinazione, e parmi assai più rilevante e più deplorabile che la mancanza dei mecenati, le pubbliche agitazioni, o il trasmodar dell' industria. Imperocchè quando il volere è prostrato, la vena inventiva e creatrice inaridisce, il fervente zelo si estingue, e gli ordini dell' insegnamento, anche buoni, senza l' alacrità degli studi non hanno efficacia. Per lo che l'artista disavvezzo

dalle fatiche, dalla solitudine, dalla contemplazione; sparsa la mente in mille vani pensieri, l'animo illanguidito dalla moltiplicità e meschinità degli affetti, la fantasia snervata dalla propria incostanza, non solo non potrà giungere alla suprema perfezione, ma non oserà neppure di aspirarvi. E gli accadrà una di queste due cose: o impaziente di riuscire, e sfiduciato dagli ostacoli rinunzierà all' arte; o allegramente borioso di miseri trionfi, ne smarrirà perfino il sublime concetto.

E qui il mio discorso volgendo al suo fine, ritorna a quel grande Alfieri donde prima prese le mosse. Il quale in mezzo a una società non curante, frivola e corrotta ci diede un esempio splendidissimo di quanto possa l'efficacia della volontà. Imperocchè giunto ai ventisette anni, e sino allora trascinato dall'andazzo comune, ad un tratto si risolvette di essere poeta, e poeta tragico. E questo intento, siccom'egli narra, lo costrinse a rimbambinire, ricominciando da capo gli studi dell'infanzia, e proseguendoli con un impeto e con una pertinacia che ci appaiono portentosi. Di lui può dirsi veramente che la tempra dell'animo plasmò l'ingegno. Degno che il secolo non pur lo ammiri, ma impari da esso la grandezza dei pensieri e delle opere. E cessi una volta quella opinione funesta degl' Italiani, che l'inerzia in cui giacciono da esterne cagioni dipenda più che da loro medesimi; conciossiachè non può nulla al mondo chi crede di nulla potere. So bene, o giovani egregi, che io vi esorto ad una impresa molto ardua. Imperocchè il tenere fermamente rivolta la volontà ad alto fine, è uno sforzo tanto più faticoso, quanto la contraria usanza universalmente ti strepita intorno. Ma la favola di Prodico intorno al bivio di Ercole, è pure un simbolo di ciò che ai grandi uomini si para dinanzi in ogni tempo. Nè altro è la vita che una continua pugna contro le cieche

forze della natura, contro i colpi della fortuna, contro gli errori e le passioni degli uomini: nobile pugna dove molti s'accasciano e soccombono, pochi gloriosamente rapiscono le palme della vittoria. Però vi conviene a molti diletti rinunziare, a molte tentazioni resistere, a molti dolori soggiacere. Di due pericoli vi ammonisco soprattutto, siccome i più insidiosi e perfidi nella prima età: l'adulazione e l'invidia. Che se il vederti fatto segno agli strazii, alle calunnie, ai vituperii di coloro che tu vuoi ricreare e giovare, è un'acerba punta nel cuore, pare nondimeno che i forti piglino in quei travagli novello vigore: più perniziosa ancora è l'adulazione, perchè il giovane leale e buono, a cui sorride la fortuna e si mostra plaudente la moltitudine, reputandosi già sublime, inorgoglia ed anneghittisce. Guai a quell' artista che si sente interamente appagato delle proprie opere! Al suo intelletto è già oscurata l'idea della perfetta bellezza. Non così Raffaello, il quale si querelava dolcemente di non poter incarnare le imagini che avea nel pensiero. Non così Michelangelo, sdegnoso sempre delle sue fatture, che spesso impetuoso gittava stimandole indegne di compimento. Questi sono gli esempi ai quali dovete tener fisa la brama, a questi sforzarvi di approssimare. Amate l'arte non come strumento di guadagno e di favori, ma come celeste raggio della eterna bellezza, e ricordatevi ch'essa è gelosa, e mal comporta dividere il suo regno con altri affetti. Cercate la solitudine non la frequenza, gli studi non i passatempi, la dignità non le lusinghe, la suprema altezza non la mediocrità. Vogliate insomma esser grandi, e lo sarete. Ecco che la patria per la mia voce vi prega di ridonarle il suo antico splendore, e vi apparecchia il premio più soave alle anime generose, la riconoscenza dei posteri e una gloria immortale.

DI ALCUNE NOVITÀ AGRARIE

IN INGHILTERRA.

MEMORIA LETTA ALLA SOCIETÀ AGRARIA

DI BOLOGNA.

(1854.)

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