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primo cominciar della discussione che intendiamo prendere a subbietto non solo la recondita e muta credenza, ma la facoltà di esprimerla con atti esteriori, vuoi di parola, di stampa, di culto, di associazione: la professione insomma privata e pubblica della propria religione, salvo di rispettare in altrui il medesimo diritto. E però trovando impropria la parola di libertà di coscienza, vi abbiamo preferito quella di libertà religiosa.

Un altro punto che ci piace di chiarire si è che noi accettiamo la sentenza, che dice l'unità religiosa essere un bene non solo in sè, ma anche rispetto allo Stato. Se avvenga che i cittadini di una medesima nazione oltre i vincoli della razza, del clima, della lingua, della storia, della tradizione, s' accordino in una stessa fede e in un culto medesimo, le relazioni loro saranno per avventura più sincere e benevole, e più perfetta ne risulterà la civile convivenza. E questa mi pare opinione da preferire, sebbene io vegga potersi disputare se una certa discrepanza anche in fatto di religione non sia fondata sull'umana natura, se la emulazione delle sètte, e lo invigilarsi che fanno, non abbia effetti lodevoli in quanto mantiene in loro vivo lo zelo e la disciplina e le preserva da corruzione, se infine il dissenso non sia un apparecchio e una condizione necessaria allo svolgersi di qualunque dottrina. Ma lasciamo stare queste obbiezioni, e accettiamo come intento e speranza finale l'unità religiosa unum ovile et unus pastor. Ma ciò nulla significa al quesito nostro. Imperocchè si tratta di sapere se questa comunione di credenze, d'affetti e di culto debba esser sempre libera e spontanea, oppure possa eziandio venire imposta dalla coazione. Ecco dove nasce la differenza d'opinioni, non altrove: perocchè sarebbe un contraddire alla libertà e annullarla se le si recidesse la via all'accordo e alla unanimità dei voleri.

È adunque assurda l'obbiezione che suole accamparsi che libertà religiosa equivalga ad anarchia degli spiriti: imperocchè ciò scambia l'intimo dell'animo con estrinseche condizioni e non punto necessarie. E chi oserà negare che si può concepire benissimo il fervore e l'unanimità della fede nei cittadini senza che il Governo la imponga e per lo contrario chi non vede troppo spesso congiungersi le pratiche comandate col dissolvimento di ogni credenza?

E procedendo, dico che un' altra obbiezione insussistente, recata innanzi per offuscare il quesito, è quella che dice: la libertà religiosa è la libertà del male. Son queste locuzioni prese a prestanza dai Francesi, i quali nel bollore della disputa amano trarsi d'impaccio con un motto: ma uomini gravi non dovrebbero ripetere sul serio un bisticcio come fosse un argomento. Imperocchè egli è certo che la parola libertà inchiude il poter di eleggere fra il bene ed il male, ma non perciò confonde l'uno coll'altro, anzi crea il merito e il demerito che senza di essa non avrebbe luogo. E di vero se altri soccorre il vicino per interesse o per forza, niuno attribuisce all' opera sua un pregio personale. Adunque la libertà religiosa non toglie all'uomo il dovere di cercar il vero con puro e bramoso animo, o ricevutolo per tradizione di aderirvi con fermezza, di amarlo con ardore, di professarlo con franco e coraggioso animo. La responsabilità umana rimane intatta, ancorchè sia tolto dal codice penale il delitto di non credere un dogma determinato, o di non esercitare un culto prestabilito.

Nè sarebbe questa la sola maniera di colpe che, sebben in sè grave, sia destituita di sanzione esterna. Avvėgnachè, siccome abbiam detto, v'ha fra i doveri morali e i giuridici una distinzione rilevante. Il legislatore non può e non deve usurpare l'ufficio del creatore, nè il giu

dizio umano può occupare il luogo del divino. La legge mira al mantenimento della giustizia nel consorzio civile, nè trapassa questo termine. E invano si sforzerebbe trapassarlo, chè, lungi dal recar perfezione al cittadino e utile alla società, produrrebbe effetti contrarii. Ma di ciò parlerò distesamente in appresso. Ora il quesito è, a mio giudicio, bastevolmente determinato. Cosicchè potremmo entrare nella ricerca della sua soluzione: pur nondimeno piacemi ancora considerare se lo spirito del Cristianesimo sia contrario alla libertà religiosa; e a ciò la mia prossima lettera sarà dedicata.

LETTERA III.

Vi ricordate, caro amico, laddove Macchiavelli parla della religione dei Romani? Dice che si servivano di essa per ordinare le città, per seguire le loro imprese e per fermare i tumulti; però con la prudenza mostravano di osservarla quando forzati non l'osservavano, e se alcuno temerariamente la dispregiava lo punivano.... Donde conclude quanta confidenza si possa avere mediante la religione bene usata. In queste brevi parole è ritratta l'indole della civiltà greco-latina, dove la religione fu per la massima parte strumento di potenza civile. Ma altrove le idee ebbero un corso al tutto diverso, e se noi guardiamo l'Oriente, e i vasti imperi infra i quali fu diviso, vedremo ivi la religione sovrastare a tutte le cose, e lo Stato ordinarsi a vera teocrazia. E sebbene si riscontri titolo e dignità di re, e le schiere dei guerrieri vi siano in pregio, nondimeno la casta sacerdotale entrambi signoreggia, dà leggi e costumi, regola e dispone a suo grado; e tutti gl'istituti civili non sono che strumento alla grandezza dei ministri di Dio. Ma in ambedue questi

casi, la politica e la religione si scorgono conglomerate sia che l'una serva di strumento all'altra o l'altra all'una. Similmente i fondatori di nuove sètte o i riformatori di esse cominciano col piaggiare le signorie per averle fautrici, ovvero le osteggiano per rovesciarle: ma ossequienti o nemici fanno grande assegnamento nell'ordine civile che trovano stabilito.

Ora se noi poniamo di riscontro a ciò le origini del Cristianesimo, e la vita del suo fondatore, nulla havvi in esse di simigliante a quello che abbiamo detto. Imperocchè l' Evangelio si volge ad ogni uomo singolarmente, e ponendogli innanzi siccome fine la vita futura, intende alla perfezione morale dell'anima qual necessario apparecchio di essa: diresti che obblia il secolo e il luogo ove nacque, e delle condizioni estrinseche non piglia pensiero; tantochè, senza offendere o impedire lo svolgimento della famiglia, della gente, della nazione, pon mente solo ai due termini estremi, l'individuo e l'umanità. Non precetti di civil reggimento, non parole di politica condotta, non un motto di alleanza fra Chiesa e Stato, nè tampoco delle relazioni fra loro. La vita di Cristo è il tipo ideale della bellezza morale, del sublime che sorge dalla negazione di se stesso. Quivi si predica e si cerca la purezza del cuore e l'integrità della vita, non la potenza, la grandezza e la gloria. E si può francamente asserire che non vi scorgi traccia di spirito mondano, nè ombra alcuna di dominazione e di intolleranza.

Non è mio ufficio, nè fa di mestieri andar raggranellando citazioni; e sarebbe anzi molto a dirsi contro il metodo, per il quale da una proposizione spiccata dai libri sacri si vuol dedurre tutto un sistema di ordinamenti religiosi e civili. Ma contemplando l'essenza del Cristianesimo, niuna cosa vi apparisce più evidente e più splendida di quello che la libertà dello spirito: che anzi parmi

che dell'aver creata questa libertà, e con essa sollevata la dignità personale a non mai più vista altezza, traggasi uno dei più bei titoli della sua gloria. Niuno giungerà mai a pervertire il senso delle parole e degli atti descritti negli evangeli, tanto da esprimere la proposizione, che la Chiesa di Cristo ha bisogno del braccio temporale dei governi.

Ma guardando anche più addentro, il dogma capitale della redenzione si fonda in quello della caduta, e la colpa del primo padre rampolla dalla libertà. Il principio cristiano della libera creazione dell'universo arguisce che Dio poteva non crear l'uomo, o crearlo di tal guisa che vivesse ognora innocente; ma che nella sua sapienza infinita preferì di far l'uomo libero ancorchè prevedesse le sue colpe, e giudicò che la virtù avvalorata dalla grazia fosse più degna e più nobile di quello sia la inconscia e incolpabile ingenuità. La libertà adunque colla possibilità, anzi coi pericoli e colla certezza del male è la pietra angolare di tutto l'edificio cristiano, e mal s'apporrebbe chi, accogliendo il principio, volesse rifiutarne le logiche conseguenze. Nè per questo può dirsi che l'uomo sia privo di sussidii che lo abilitino a vincere la battaglia dell' errore e delle passioni. Imperocchè lasciando stare gli aiuti soprannaturali, basta por mente agli ordini peculiari della Chiesa per essere persuaso che tutti sono indirizzati a tal fine, e quante sono le età e le condizioni della vita, altrettanti argomenti spirituali essa pone in opera per mantener l'uomo nel retto sentiero, o disviato ricondurvelo. Rimpetto ai quali che efficacia può mai avere o il divieto del Governo, o la stessa inflizione di una pena? Ben lieve in vero: ma per lo contrario altera ed indebolisce la forza delle sanzioni spirituali. Di ciò abbiamo esempi pur sotto i nostri occhi. Imperocchè non è raro il caso di vedere nella società civile uomini che si van

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