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è tanto vero che il Cristianesimo era già da lungo tempo universalmente professato in Europa, anzi la Chiesa e lo Stato vedevansi stretti ad un patto; e pure duravano nelle leggi le tracce dell' antica durezza e barbarie. La schiavitù si è perpetrata per ben quattordici secoli dopo che il Vangelo ebbe proclamato l'eguaglianza di tutti gli uomini: nè cento anni sono ancora trascorsi che la tortura avea sede legittima fra gli argomenti del processo. Anzi è lecito affermare che finora la religione è ben lungi dall' aver prodotto tutti i suoi frutti salutari; poichè se tu guardi, per cagion d'esempio, il diritto frannazionale, appena è se i sensi cristiani cominciano a penetrarvi.

Non è adunque la profession speciale di un domma, o l'osservanza di un culto che si connette colla giustizia civile, ma è lo spirito religioso che infuso nei cittadini, e creando a poco a poco l' opinion pubblica, e per mezzo di essa purgando le idee morali da gravi mende, alla perfine s'insinua nella legislazione e la perfeziona. E per conseguenza altro è negare i beni che dalla religione si riflettono in tutte le parti della società, altro è costringere gli uomini a crederne la divina origine ed osservarne i precetti. Di che è prova manifesta in ciò che gli stessi filosofi del secolo passato i quali minacciavano il Cristianesimo, pur nondimeno erano talmente imbevuti delle sue dottrine, che moltissimo di quel bene che hanno chiesto e propugnato negli ordini civili, può dirsi la conseguenza di premesse evangeliche. Che anzi io tengo. per fermo che questo influsso del Cristianesimo sulle leggi e sui costumi sarà molto più efficace, se esso ri manga come un ideale indipendente del mutabil corso degli Stati, di quello che se associandosi ad essi, debba pure in alcuna parte seguirne le vicende.

Ma quand' anche si volesse ammettere il nesso indis

solubile fra certe verità dogmatiche, e il fine della società civile, che cosa ne seguirebbe? Ne seguirebbe nel Governo la facoltà di escludere dal consorzio civile qualunque religione diversa dalla cristiana, ma non già di escludere le varie comunioni che accettano del Cristianesimo le massime e i comandamenti. Eppure la cosa non va così: anzi egli è contro di esse che più ferve l' animosità, e più vivamente s' invoca il braccio secolare, siccome quelle alle quali è più prossimo e pericoloso lo sdrucciolo. Così la Chiesa cattolica vorrebbe nello Stato la pura fede romana; i Luterani bandiscono i seguaci di Calvino, ed entrambi s'azzuffano contro i dissidenti; l'Anglicano o l'Evangelico punisce colui che dalla sua confessione dà sembianza di separarsi. Ora per giustificare siffatta rigidità, non basta neppure la tesi che io per modo di discussione aveva concesso, fa mestieri eziandio esagerarla; e provare che la promulgazione e la difesa della giustizia non può consistere che con una sola delle moltissime comunioni cristiane, poniamo il Cattolicismo. Ma a questo punto il fatto ci dà una solenne smentita: poichè gli Stati protestanti d' Europa sono almeno altrettanto bene ordinati quanto gli Stati cattolici, ed hanno leggi e codici parimenti savii e giusti. Che anzi il Codice Napoleone, il quale per avventura è prototipo di tutti gli odierni, fu compilato non tanto in relazione ad un domma o ad una chiesa speciale, quanto in relazione alle verità razionali che la scienza della morale e del diritto hanno stabilito.

Per questa parte adunque, cioè per rispetto al primo ufficio del Governo, non credo si possa dedurne in alcun modo la necessità della intolleranza religiosa. Mi resta ad esaminare se potesse addentellarsi all' altro suo ufficio, che è quello d' integrare l'opera dei privati, dei comuni, delle associazioni e della Chiesa stessa; il che a primo

sguardo può apparire come un ministero educativo. Ma già troppo v' intrattenni colla presente, e per ora fo fine.

LETTERA VII.

La storia e il senso universale dei popoli ci ammaestrano che il Governo non istimasi aver compiuto il suo ufficio coll' assicurare soltanto ai cittadini il libero esercizio delle facoltà loro secondo giustizia, ma si vuole che in talune materie di interesse generale esso cooperi al bene materiale e morale della civil compagnia; e a cotal uopo non pure i sudditi gli forniscono il danaro necessario, ma eziandio lasciano ad esso la balìa di molti personali diritti. Ma sino a qual termine? Ecco uno dei più gravi problemi del tempo moderno: conciliare cioè la libertà personale coll' azione governativa. Problema che, secondo il mio avviso, non può sciogliersi in modo assoluto, ma piuttosto si ragguaglia ai tempi, ai luoghi, alle circostanze. E mentre l'attributo di mantenere la giustizia è universale e immutabile, come già altrove io vi diceva, questo di favoreggiare il progresso della civiltà ha molti gradi a seconda dell'opportunità. E per ciò lo definii come opera d'integrazione, indicando così che dall' una parte presuppone deficienza nei privati e nelle aggregazioni che vivono entro la società civile, e dall' altra accenna alla propensione dello Stato di deporre quelle ingerenze via via che la necessità ne venga meno. Vigili dunque lo Stato a tutto che può mettere a repentaglio la salubrità o la sicurezza pubblica, apra vie e canali, costruisca ponti, sancisca il pregio delle monete, dia regola e protezione ai mercati: in questo ed in molti altri ufficii nulla havvi di comune col quesito che andiamo esaminando: dove può cadere la

disputa si è sulla istruzione pubblica e la beneficenza, le quali per avventura appaiono manchevoli anzi pericolose, se non le informa e non le avviva il domma religioso. Certo io credo che specialmente nelle condizioni presenti della società, l'istruzione pubblica sia uno dei più nobili attributi, e uno dei più importanti del Governo, come quello che intende ad accrescere il valor personale di ogni cittadino, abilitarlo a fornire degnamente il proprio cómpito nella società, e temperare le disuguaglianze che la natura e l' emulazione pongono fra loro. Le quali disuguaglianze se entro un certo limite sono statuite dall'ordine della Provvidenza, e formano una giusta ed utile gerarchia civile, al di là di esso possono generare la discordia, e fermare il corso della pubblica prosperità. Ma ciò che vuolsi accuratamente distinguere si è istruzione da educazione, non già che io disconosca le congiunture loro, atteso la stretta parentela del vero col bene; nondimeno giudico che all'educazione propriamente si appartiene lo svolgere i retti sentimenti e gli abiti virtuosi, laddove la istruzione, spezialmente se è generale e pubblicamente ministrata, si tien paga di erudir la mente, e fornirgli quelle cognizioni che agevolano l'esercizio delle arti tecniche o delle professioni liberali. Ora io sostengo francamente che l'educazione non potrà mai essere ufficio governativo, nè da ordini pubblici fondata; imperocchè non è solo esposizione di veri, ma ispirazione di affetti impressi con autorità benefica, ricevuti con ossequio volonteroso e confidente. Egli è alla famiglia che appartiene propriamente la educazione, e nelle famiglie stesse alla donna ancor più che all' uomo siccome quella che alla pietà, alla dolcezza, alla pazienza ha l'animo mirabilmente connaturato. E ciò che la famiglia inizia, la Chiesa lo compie colle sue dottrine, colle sue pratiche, colle sue cerimonie atte non solo a guidar l'intelletto, ma a fare

impressione nel cuore. Che se voi mi ripigliate colla mia stessa teorica che, ove manchi la famiglia e la Chiesa, il Governo dee supplire ad esse, rispondo che l' opera d'integrazione non può giungere mai sino a surrogarle nelle parti più intime e più vive del loro ministero. E se, insistendo, esigete almeno che il Governo sorvegli e impedisca che nella educazione privata s'insinui uno spirito contrario alla religione dominante, io allora gli nego risolutamente la facoltà d'invadere il diritto individuale, domestico, ecclesiastico. Imperocchè supplire al difetto non è già imporre una forma, un metodo, una credenza. E mentre la famiglia educa da sè il figliuolo, o chiama ad educarlo i ministri di quella religione nella quale ha fede, nè chiede aiuto o sussidio dal Governo e rispetta le leggi e il diritto altrui; non ha obbligo di rendere ragione del suo operato. Lascio stare per ora la impossibilità di conseguire lo scopo, e i pericoli che nascono quando la potestà civile si fa giudice ed arbitra dell' insegnamento religioso, imperocchè ne discorrerò appresso recando innanzi la storia. Rispetto poi all' istruzione pubblica, veggo bene potersi impedire con assoluto comando che non si offendano i veri supremi che della giustizia sono il fondamento; ma non veggo come il Governo possa prescrivere e dar norma all' insegnamento, nè star mallevadore di tutte le opinioni che verranno bandite dalle cattedre. La qual cosa è dal comune senso avvertita ottimamente. Imperocchè la promulgazione delle leggi e le sentenze dei tribunali (salvo lievi eccezioni che dipendono da mala condotta dei governi) sono accolte come verità quasi inconcusse dalle società medesime: ma delle dottrine scientifiche, quali si professano nell' insegnamento, non si accagiona la potestà civile, il che argomenta che come l'opera sua là è immediata e autorevole, qui è indiretta e insufficiente. Dal che discende che quando la società e

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