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DELL' ORDINAMENTO

DELLE

IMPOSTE DIRETTE IN ITALIA.

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Uno fra gli argomenti più ardui di finanza, e pur nondimeno importantissimo, è quello dell' ordinamento delle imposte dirette. Alla importanza del soggetto in se medesimo, s' aggiunge in Italia la sua opportunità; poichè parte codeste imposte furono recentemente rimescolate, e parte si annunziano nuovi schemi di legge sull'argomento.

Ma chi oserebbe dire che l'opinione pubblica sia già matura a risolvere codesto arduo problema? Certo se la maturità del giudizio potesse dedursi dalle querimonie, e dalla moltiplicità delle proposte spesso tra loro discordanti, troppo ella sarebbe manifesta; ma se invece richiede investigazioni accurate, studi profondi, ed esperienze ripetute e durevoli, noi siamo ancor lungi da siffatta maturità. Imperocchè negli Stati liberi la discussione parlamentare di una legge viene a tempo, quando epiloga, riscontra e decide intorno a fatti ed a ragionamenti che siano stati messi in piena luce. Guardate in Inghilterra quante inchieste, opuscoli, conferenze private, riunioni pubbliche precedono alla discussione parlamentare. Allora sì che questa è piena e decisiva; nè

si dà il caso di vedere per una specie d'andazzo votata frettolosamente una legge, che dopo il volger di pochi mesi sarà disdetta con una maggioranza non minore e certo non più edificante di quella che l'accolse.

Credo dunque di far cosa non del tutto inutile pigliando a trattare questo argomento. E per circoscrivere la trattazione entro certi limiti, farò soggetto di mia disamina le opinioni che l'onorevole Antonio Scialoia espose come scienziato, come membro del Parlamento, e come ministro delle finanze.' Si può dissentire in vero dalle sue opinioni, ma non si può fare a meno di ammirarne l'ingegno, la dottrina, la maestria nell' affrontare le difficoltà dell' arduo tèma: e chiunque voglia oggi discorrere di questa materia, dovrà prender le mosse dalle cose che furono da lui pensate e dette in Parlamento. Ho anche scelto questa forma, che direi critica, per rendere meno arido lo scritto e procacciargli maggior favore dai lettori ai quali io mi rivolgo, che non sono soltanto i finanzieri, ma anzi principalmente gli uomini colti che, senza far professione speciale di studi economici, sono solleciti della cosa pubblica, e vi prendono parte.

E per mostrare che tale è il mio disegno, senza entrare in sottili teoriche, o in minute distinzioni, prendo

A. SCIALOIA. - Dell'imposta sull'entrata, e del disegno di legge per una imposta sui redditi della ricchezza mobile. Studio negli Atti del Senato, n. 47 bis. Sessione 1863. Discorso sulle finanze italiane, detto alla Camera dei deputati il 22 gennaio 1866. - Progetto di legge, presentato alla Camera dei deputati nella tornata del 27 gennaio 1866, sulla sistemazione delle imposte dirette, e sulla introduzione e modificazione di alcune altre imposte. Discorso sull'esercizio provvisorio del bilancio 1866, detto alla Camera dei deputati il 22 febbraio 1866. — Discorso sulla finanza italiana, detto alla Camera dei deputati il 16 e 17 gennaio 1867.- Allegato del secondo progetto del bilancio per l'anno 1867. - Dei tributi diretti e della loro sistemazione, Nuova Antologia, fascicoli di febbraio, maggio, luglio e ottobre 1867.-Speranze, timori e suggerimenti relativi alla riforma della tassa sull' entrata, Nuova Antologia, giugno, 1868.

le parole imposte dirette nel significato loro più ovvio e comune, sebbene io sappia come gli scrittori abbiano trovato molto a ridirvi, ma pel fine che qui ci proponiamo, parmi sufficiente. Intendo dunque per imposte dirette quelle che si chiedono al cittadino singolarmente e nominatamente, sia ch' egli possieda un fondo o una casa, o eserciti una professione, un'arte, un mestiere, o infine viva della rendita dei suoi capitali; in tutti questi casi il contribuente e l'agente della finanza sono in relazione diretta, in quanto che il primo è chiamato a pagare al secondo giusta un ruolo dove sta inscritto il suo nome, il titolo e l'entità della tassa che gli è attribuita.

I.

STATO DELLE COSE NEL 1860.

Ma prima è mestieri delineare brevemente quali fossero, al tempo che fu proclamato il Regno d'Italia, le imposte dirette vigenti nelle varie sue provincie, le quali solevano così denominarsi: antiche provincie, cioè Piemonte, Liguria, Sardegna, formanti il regno subalpino; Lombardia, Parma, Modena, Toscana; provincie romane, cioè Romagna, Marche, Umbria; finalmente Napoli e Sicilia (Venezia e Roma non erano ancora congiunte al Regno d'Italia). Comuni a tutte queste provincie erano due tasse dirette, quella sulle terre e quella sui fabbricati, le quali si chiamavano in qualche luogo col nome unico di fondiaria, divisa in rurale ed urbana. Ma se codeste tasse erano uguali in apparenza, portavano in sè grandissima diversità, sì pel modo col quale erano state determinate, si pel modo della ripartizione. In alcune parti la fondiaria rurale fondavasi sopra antichi catasti irregolari, nè per quanto si cercasse, poteasi aver lume dei principii

ond' erano state informate quelle operazioni. Così, per esempio, la cifra d'estimo, detta anche allibramento o registro in una parte delle antiche provincie, non esprime d' ordinario la rendita dei beni, ma solo una base convenzionale per ripartire il contingente d'imposta in ciascun comune. Altrove esistevano catasti più o meno regolari, ma questi medesimi con massime diverse, in un luogo. sui fitti reali o presunti, altrove sulle rendite nette accertate, e gli uni e le altre riferentisi ad epoche diverse: qui nell' estimo si era posto mente piuttosto alla feracità intrinseca delle terre, alla loro attitudine a produrre, anzichè al prodotto effettivo; là si pigliava a calcolo il prezzo dei fondi dedotto dallo spoglio dei contratti. Meno irregolari erano le basi della imposta sui fabbricati, in più luoghi recentemente rettificata, pur nondimeno non uniformi. Finalmente l'aliquota d'imposta governativa era più o meno alta sui fabbricati e sulle terre secondo i paesi: nella Lombardia, per esempio, quella sulle terre reputavasi gravissima, in confronto specialmente alle antiche provincie subalpine. La medesima imposta in alcune provincie non era da lungo tempo stata mutata, in altre invece aveva avuti freschi e notevoli aggravamenti. Si aggiungeva una grande differenza nelle sovrimposte provinciali e comunali, le quali in talune parti erano minime, altrove raddoppiavano e triplicavano la imposta governativa. Finalmente altri addizionali si aggiungevano sotto varie denominazioni per spese di catasti, per rifusione d'imposte arretrate, per compensi di sgravi precedenti, per lavori idraulici e per altre spese: in Toscana una parte dell' imposta aveva origine e nome dalla indennità per la guerra di Napoli nel 1821, nello Stato pontificio per la riedificazione della basilica ostiense.

Che se da questa imposta, in apparenza comune, ma in sostanza tanto disuguale, passiamo alle altre,

quivi troviamo ancor maggior discrepanza. Nelle provincie meridionali non era veruna imposta governativa che somigliasse alla personale e mobiliare. In Toscana era in vigore la tassa di famiglia, che colpiva chiunque avesse uno stato o per ragione di patrimonio, o per ragione d'assegnamento personale, o per ragione d'industria. Repartivasi nelle singole comunità, per classi, a giudizio ed arbitrio dei magistrati comunitativi. La quota di ciaschedun comune era fissata dal Governo nella tabella di previsione; il numero delle classi, la quota di ciascheduna di esse, la classificazione di ogni famiglia apparteneva ai predetti magistrati. Nelle provincie pontificie s'era tentato d'introdurre un' imposta sul commercio e sull' industria per mezzo delle patenti; ma sebbene non fosse stata mai legalmente disdetta, pur nondimeno in fatto non riscuotevasi, e il Governo s'era fermato dinanzi alla repugnanza dei contribuenti ed alle difficoltà della esecuzione. Nelle provincie modenesi eravi una tassa personale, che colpiva tutti i maschi non indigenti dai 14 ai 60 anni, abitanti in campagna, come correspettivo del dazio consumo che gravava le città e le terre chiuse. Inoltre eravi una tassa sui capitali fruttiferi o ipotecarii, e un' altra sui capitali in commercio; i primi deducevansi dalle dichiarazioni riscontrate cogli atti degli Uffici del registro; i secondi pur dalle dichiarazioni rettificate ed accertate da apposite Commissioni. Vigeva anche una tassa sul bestiame e sul terreno coltivato a risaia, quasi cenno ad imporre i profitti dell'industria agraria oltre il possesso della terra. Nelle provincie parmensi era altresì una tassa personale, repartita per contingenti comunali, i quali si formavano moltiplicando il sesto della popolazione del comune pel prezzo di tre giornate di lavoro; e il contingente comunale si ripartiva in tre classi secondo le facoltà presunte del

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