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contribuente. Oltre a ciò riscuotevasi un' imposta sulle patenti; chiunque esercitasse un commercio, una industria, un' arte o un mestiere era tenuto di munirsi di una patente e di pagarne il diritto: i patentabili erano divisi in sette classi, ma quelli delle cinque superiori oltre il diritto fisso pagavano eziandio un diritto proporzionale, uguale al decimo dell'affitto dei locali occupati per lo esercizio loro. Nella Lombardia, fin dal tempo del primo Regno italico, era stata imposta una tassa personale e contributo d' arti e commercio. I contribuenti erano divisi in sette classi speciali, ciascuna classe suddivisa in tre gradi secondo l'entità dei comuni. Più tardi sotto l'Austria vi si era aggiunta una tassa sulle rendite, o elleno provenissero da fondi stabili, o da capitali, o da ogni altro genere di guadagno. Per la rendita degli stabili la tassa altro non era che un' addizionale alla fondiaria, per la ricchezza mobile si fondava sulla denunzia accertata e dividevasi in classi, secondochè la rendita derivava o da industria, o da assegni e pensioni, o da interesse di capitali. La tassa si pagava sulle rendite lorde, con facoltà al debitore di ritenere la parte proporzionale sugli interessi che doveva pagare al suo creditore. Nè si vuol tacere una tassa sul prodotto delle miniere. Finalmente nelle antiche provincie subalpine oltre la fondiaria rurale ed urbana erano state stabilite parecchie tasse: quella personale e mobiliare, quella sulle patenti. La tassa personale era divisa in tre gradi per comuni, e i comuni repartiti in tre classi: la mobiliare fondavasi specialmente sul valore locativo, e colpiva i possessori d' ogni maniera di ricchezza; quella delle patenti era modellata in gran parte sulla legge francese. Ad essa aggiungevasi un diritto speciale sui rivenditori di bevande e derrate non soggette al diritto di vendita al minuto, e una tassa sulle vetture pubbliche e private.

Nè soggiungerò di più, perocchè codeste tasse erano state discusse nel Parlamento subalpino, e per conseguenza più note che non fossero quelle degli Stati retti a governo assoluto. 1

La imposta fondiaria governativa, pigliando in complesso l'urbana e la rurale, compreso il decimo di guerra e le spese di riscossione, saliva a lire 104,921,000. Il complesso delle imposte dirette governative per gli altri titoli sopraindicati saliva a lire 14,054,054.

Sebbene la quota media d'imposta per ogni abitante sia un dato che non rappresenta il vero gravame, perchè diversa è la ricchezza nelle varie contrade e ne' singoli contribuenti, e perchè gli addizionali della provincia e del comune e le imposte indirette ne modificano grandemente i resultati, pur nondimeno non sarà del tutto fuor di luogo fornire ai nostri lettori codesto ragguaglio. Adunque la quota media d'imposta per

era la seguente:

ogni abitante

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Tal era la condizione delle cose, quando fu proclamato il Regno d'Italia nel 17 marzo 1861.

'In questa enumerazione ho tralasciato la tassa per titolo di ritenuta sugli impiegati e pensionati, che vigeva per ogni dove in diverso grado. Comunque sia anch'essa imposta diretta pure fa parte da sè, e non ha attenenza collo scopo del presente discorso. Si avverta eziandio che ho accennato soltanto le tasse dirette governative, non le comunali, come .il ruolo di composizione nelle provincie meridionali, il focatico nelle pontificie, ec., le quali tenevano luogo in parte di dazio consumo, e in parte si proporzionavano alle entrate presunte dei contribuenti.

MINGHETTI.

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II.

PRIME RIFORME.

In quel momento al legislatore si paravano innanzi due vie in questa, come in molte altre materie della cosa pubblica. L'una era di unificare le parti essenziali, come politica, diplomazia, commercio, dogane, sicurezza interna, esercito, marineria, e lasciare la restante amministrazione nelle condizioni diverse in che si trovava, col proposito di unificarla poi gradatamente, senza scosse e secondo i dettati dell' esperienza; l'altra via conduceva alla unificazione immediata. Quella mirava soprattutto ad evitare gli attriti, le offese degli interessi e delle abitudini, gl' inconvenienti inseparabili dai grandi cambiamenti ; questa si preoccupava di cancellare ogni traccia del passato, di dare all'unità politica una corrispondente faccia amministrativa, di gettare, per dir così, in una sola forma tutte le provincie d'Italia. Se la prima avesse prevalso, si potevano almeno per un certo tempo lasciare le imposte esistenti, aggravando or l'una or l'altra, secondochè fosse agevole con minori doglianze delle popolazioni; avere questo punto di mira che ogni regione d'Italia pagasse proporzionatamente alla sua ricchezza, senza cercare se le forme del tributo fossero identiche. Si poteva, per esempio, lasciare che l'imposta prediale in Lombardia, a Parma, nelle Romagne rimanesse più grave di quello che nel Piemonte, o nella Toscana, avvegnachè queste porgessero un compenso colla mobiliare, colle patenti e via dicendo. Era inoltre lecito introdurre alcune nuove imposte fra le meno ingrate e proporzionatamente, in modo da porgere alle finanze un sussidio

più sollecito di quello che dovendo rimaneggiare tutto il sistema finanziario. Codesto rimescolamento era invece una necessità inevitabile, nel caso che si volesse procedere all' unificazione completa e rapida dell' amministrazione. Coloro che sostennero acremente il partito contrario al sistema regionale, ed hanno poi menato tanto scalpore per la perequazione dell' imposta prediale, per lo stabilimento di una tassa unica di registro e bollo per tutto il Regno, o per questo o per quell' altro punto, mostrarono di non intendersene. Ma se la logica nelle politiche vicissitudini talora si nasconde, essa non tarda guari a rivendicare i suoi diritti, e conduce a conseguenze, le quali non iscorsero o avrebbero voluto evitare coloro stessi che ne propugnarono le premesse. E così avvenne anche in questa occasione, che gli unificatori più risoluti e più impazienti furono i deputati del Piemonte e in parte quelli della Sicilia, i quali poi ebbero a querelarsi più forte degli altri di alcuni effetti di quella rapida unificazione. Ma la scelta fra questi due sistemi si può dire che era già fatta irrevocabilmente nel giugno 1861, quando una Commissione della Camera dei deputati più numerosa e più solenne delle consuete, riferendo sulle proposte del nuovo ordinamento amministrativo fatte dal Ministero, subito dopo la proclamazione del Regno, scartava il concetto regionale e rimandava ad altro tempo l' esame delle altre riforme.

L'11 agosto 1861 il Ministro delle finanze di quel tempo, il Bastogi, istituiva due Commissioni. La Relazione, che precede il regio decreto, affermava che la imposta prediale è ripartita in modo affatto contrario ai principii d'eguaglianza che sono raccomandati dalla scienza e che sono conformi alle nostre leggi fondamentali, e dava alla prima Commissione codesto mandato di ricercare i mezzi pratici delle basi dell' imposta fondiaria nelle varie provin

cie del Regno al fine di conseguire un'equa ripartizione dell' imposta medesima.

L'altra diceva necessario di far concorrere nel più giusto modo possibile alle pubbliche gravezze quella ricchezza di giorno in giorno più importante che si manifesta sotto forma e nome di mobile, onde il mandato che ne seguiva era il seguente: prendere in esame il disegno di legge per l'imposizione sulla ricchezza mobile giù preparato dal Ministro delle finanze, pronunciare il suo avviso sul sistema, e fare all' uopo le proposizioni che crederà più convenienti.

L'una e l'altra di queste Commissioni erano composte di uomini notevolissimi per dottrina e per pratica. Presidente della prima fu il Giovanola, della seconda il Revel e poco dopo l' Arrivabene, tutti senatori del Regno. I processi verbali furono pubblicati per le stampe, e sarà un giorno prezzo dell'opera tesserne la storia; ma per ora al mio proposito basterà il notare alcuni punti. Primieramente la natura stessa del mandato, che ho indicato sopra, per la perequazione della fondiaria repugnava al concetto venuto in campo molto più tardi, che la imposta fondiaria potesse conservarsi qual era, o tampoco che potesse dividersi in due parti, una antica da conservare nella sua disuguaglianza, e un' altra più recente che fosse la sola da perequare. Dico che queste idee son venute fuori assai tempo appresso, imperocchè nelle discussioni della Commissione non se ne trova pure traccia. Il mandato era assoluto, richiedeva l'equa ripartizione, e rispondeva a un sentimento generale, e di quei giorni comune in Italia. Similmente nella seconda Commissione il concetto di estendere la nuova tassa anche alle entrate dei fondi stabili non apparve per nessuna guisa. Anche qui il mandato era chiaro; si trattava di colpire soltanto quella ricchezza che ogni giorno veniva più svolgendosi sotto forma e nome di mobile. Vero

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