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è che nel progetto ministeriale, mentre una parte della tassa (in via normale i tre quarti del contingente) fondavasi sulle dichiarazioni e ripartivasi sui possessori di ricchezza mobile propriamente detta, un'altra parte (un quarto del contingente) si desumeva dal valor locativo, di guisa che anche i possessori di stabili sarebbero stati soggetti a questa gravezza. Ma nella mente del Ministro codesta appendice non era che un espediente temporaneo: non potendosi, diceva la Relazione, per il primo anno compiere un esatto accertamento di tutte le ricchezze mobili, si assume il criterio del valor locativo.... esso viene a funzionare nella distribuzione delle tasse come elemento di conguaglio, come agente correttivo e complementare.... a misura poi che coll' applicazione della legge si conseguirebbe un esatto censimento delle RENDITE MOBILI, potendo LA SOLA TASSAZIONE DIRETTA DI QUESTE assicurare all' Erario anche la parte che ora si chiede ai valori locativi, la tassa su di essi potrebbe essere abbandonata a semplificazione del sistema tributario.... nè questa quota di tassa vorrà dirsi una duplicazione colle altre che gravitano sulle varie specie di ricchezza, sia perchè essa viene a colpire quelle porzioni di ricchezze che appunto non possono essere dalle altre tasse colpite, sia perchè si tratta di tassa minima. Egli è chiaro pertanto che questo amminicolo del valor locativo non era riguardato allora come apparecchio per estendere la tassa sulla ricchezza mobile anche sulla ricchezza stabile; ma, al contrario, la divisione dei due rami di ricchezza vi si trovava ben netta e definita, e anzi la parte comune dovea cessare fra breve. A me premeva di appurare la origine, la natura e lo scopo col quale fu iniziato in Italia il riordinamento delle imposte dirette, e spero che il lettore lo avrà chiaramente compreso.

Ora dirò brevissimamente che la Commissione di perequazione procedette per tre diverse vie: gli uni fondarono

i calcoli loro sulla popolazione e la ricchezza delle varie provincie; gli altri si diedero allo studio dei catasti che sono vigenti nei diversi compartimenti d'Italia, e cercavano di trovare fra essi un confronto e un ragguaglio; gli ultimi si sforzarono di determinare la rendita reale di ciascun compartimento catastale mercè lo spoglio dei contratti d'affitto e di vendita. I risultati finali, che per queste diverse vie si ottennero, lungi dal contraddirsi fra loro, si confermavano reciprocamente; le differenze furono sì lievi che agevolissimo riusciva il contemperarle, e ne sorsero nuove proposte parte aggruppate e combinate tra loro, che si fusero da ultimo in un progetto di equa transazione. Insieme alla perequazione della imposta rurale fu anche ordinata la imposta sui fabbricati. Rispetto poi alla ricchezza mobile, la prima questione agitata dalla Commissione fu questa: se invece di studiare una nuova tassa non convenisse estendere a tutte le provincie del Regno le tasse vigenti nel Piemonte, e questa proposta fu subito esclusa. Parve che non fossero in sè buone e di lor natura poco profittevoli, che per cuotessero più volte la stessa ricchezza, che la moltiplicità loro ne avrebbe reso difficile l'attuazione, che avrebbero gittato scarsi proventi all' Erario. Preferirono quindi una tassa sola, e perciò il secondo tèma fu se la nuova tassa dovesse fondarsi sopra indizii e, come dicesi con termine medico, sintomi della ricchezza, ovvero sopra le dichiarazioni dei contribuenti debitamente accertate, e prevalse quest'ultimo partito. Prevalse a tal segno, che fu persino respinto il concetto ministeriale di contemperare la tassa sulla ricchezza mobile con quella sul valor locativo.

I progetti che uscirono da queste Commissioni, quelli che furono presentati al Parlamento, le lunghe discussioni che nel corso dell'anno 1863 e 1864 ebbero luogo

sì nella Camera che nel Senato, alfine le leggi che ne risultarono, sono argomenti troppo noti perchè io ne faccia qui la storia, la quale inoltre mi trarrebbe a lungo discorso. Solo ricorderò che in Parlamento si manifestò ognora il deliberato proposito che l'ordinamento delle tasse dirette dovesse avere per base la perequazione dell'imposta fondiaria. Fin da quando il Vegezzi era ministro, nel 1860, egli avea dovuto promettere che tale perequazione sarebbesi effettuata possibilmente nel 1861; più tardi, abolendo il 33 per cento dell'imposta fondiaria in Lombardia, s' era dichiarato formalmente che questo atto compiuto per ragioni politiche necessitava il pronto pareggio della tassa fra tutte le provincie; e di nuovo, prima del voto sulla legge del registro e bollo, un ordine del giorno commetteva al Ministro di attuarla sol quando fosse presentata la legge di perequazione: e così in altre occasioni ancora codesti voti impazienti si rinnovellavano, e con tale insistenza e precisione da non lasciar dubbio alcuno che, senza la perequazione, non si voleva ad ogni costo che applicasse la tassa sulla ricchezza mobile. Di fatto entrambe queste leggi erano promulgate nello stesso giorno, che fu il 14 luglio 1864.

III.

SISTEMA SCIALOIA.

Ora è tempo che passiamo a considerare il sistema dell' onorevole Scialoia. Ma bisogna notare che esso non se lo formò nella mente tutto insieme e di getto, o almeno non fu espresso da lui in questa guisa. Leggendo gli scritti, da' quali s'intitola il presente articolo, apparisce una successione di concetti che si vanno svolgendo

e modificando fra loro. Come nel regno organico si notano in una specie dei rudimenti che addivengono organi nell'altra, e le forme si susseguono sempre più complesse e svariate; così è di questo sistema finanziario. Laonde crediamo prezzo dell' opera seguirne tutte le fasi, anche perchè ci porgono il destro di penetrarne l' intiero suo significato, ed a tal fine è mestieri risalire a quello studio che lo Scialoia, come membro della Commissione di finanza, nel Senato sottopose alle deliberazioni dei suoi colleghi.

L'Autore, dopo aver dimostrato la origine e il titolo giuridico delle imposte, passa ad esaminare tre massime fra loro diverse, che sono state e sono tuttavia propugnate intorno a questa materia. La prima è la teorica d'Adamo Smith, che stabilisce che i cittadini debbono contribuire al mantenimento dello Stato in proporzione delle loro facoltà, cioè in proporzione delle loro entrate. La seconda è la teorica democratica, la quale vuole che l'imposta non sia in ragione della sola quantità dell'entrata, ma eziandio secondo il rapporto dell' entrata coi bisogni dell' uomo, e sostiene che la vera eguaglianza non è nella proporzionalità, ma nella progressione. La terza teorica, pigliando le mosse da ciò che lo Stato rende dei servigi al cittadino, trova giusto che il cittadino tanto paghi d'imposta quanta è la parte dei servigi che riceve. L'Autore dimostra come ciascuna di queste tre teoriche sia incompleta e però, quando la si pigli esclusivamente, diventi falsa. E di vero non si può negare che la imposta non sia rimunerazione di servigi, ma i servigi che si ricevono non sono sempre in proporzione colla propria entrata. Ma egli è pur vero che ogni cittadino vivendo sotto la protezione dello Stato produce, riscuote, scambia e consuma la propria entrata a fidanza di quella tutela, sicchè l'astratta estimazione dei singoli servigi che

ciascuno riceve, non toglie che vi sia una generale proporzione fra gli averi che si posseggono e i vantaggi che si ritraggono dalla società civile. Pure codesta proporzione rigorosa se si guarda nei suoi effetti torna più grave a chi meno ha, di quello sia al più abbiente; onde per giustificare l'apparente eguaglianza uopo è che sia temperata dalla progressione. Se non che la progressione al di là di un certo termine diventerebbe un privilegio, ed esplicandosi via via finirebbe col distruggere ogni giustizia ed ogni ricchezza.

Il sentimento della imperfezione di ciascuna di queste tre massime fu comune a tutti gli uomini di Stato, ancorchè non sempre da essi avvertito, e produsse la moltiplicità delle imposte, dove l' una corregge, tempera, e supplisce alle altre. Invero talune imposte fanno pagare il contribuente in ragione del servizio che riceve, senza riguardo alcuno ai suoi averi, come la posta, la telegrafia, il tabacco, il dazio di consumo. Altre lo fanno pagare in ragione delle entrate o presupposte o denunziate, come la fondiaria, la tassa dei fabbricati, quella di famiglia, quella sulla ricchezza mobile, e via dicendo: ma sovente in queste tasse è introdotto l'elemento progressivo, in quanto che o si esentano coloro che hanno una tenuissima entrata, oppure si determina una scala nella quota d'imposizione. Un altro punto da notarsi nella dottrina dello Scialoia è il seguente. Gli averi del cittadino (per usare la parola consacrata dallo Statuto laddove parla di tasse), gli averi del cittadino non si compongono soltanto di entrate, ma eziandio di capitali infruttiferi nello stretto senso della parola, e pur nondimeno utili o gradevoli. E nelle sue entrate medesime è mestieri discernere due parti: l'una, colla quale egli soddisfa ai propri bisogni, o si procaccia dei piaceri, e che propriamente va consumata; l'altra, che costituisce un

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