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In sostanza la proprietà stabile sarà gravata di due imposte: una, secondo il metodo catastale tal quale esiste nelle varie provincie, ma perequata e perciò resa giusta; l'altra, secondo il metodo delle denuncie e giusta anch'essa nella sua eguaglianza, nè tampoco nuova dovunque, perocchè terrà luogo della imposta mobiliare, alla quale i proprietarii in alcune provincie erano sottoposti in ragione del valor locativo. Codesta proposta non potè invero essere largamente ventilata, avvegnachè fosse tardi messa innanzi da alcuni deputati alla Camera. Inoltre in quel tempo suscitava grande ripugnanza il rimetter le mani nell' imposta sulla ricchezza mobile, pur allora votata, e della quale si apparecchiava l'attuazione. Essa non ebbe adunque accoglienza favorevole, nè lo Scialoia credè di riproporla al Senato, avvertendo schiettamente che si trattava di prender l' iniziativa di un'imposta nuova, il che non è consentito a quell'Assemblea. Però fra l'assentire o rifiutare il conguaglio proposto dal Ministero, preferì di accettarlo, poichè, ammesso l'aumento dell' imposta, gli sarebbe parso cosa troppo enorme repartire quell' aumento sulla scala dei contingenti attuali. Così anche questo tentativo rimase inefficace.

Negli ultimi giorni del 1865 l'onorevole Scialoia era chiamato al Ministero delle finanze sotto la Presidenza del generale La Marmora, e il 22 gennaio del 1866 faceva quella che suol chiamarsi esposizione finanziaria al Parlamento. Egli si trovava dinanzi pel 1866 un grave disavanzo fra le entrate e le spese. Per quanto il Ministro assottigliando e raggranellando promettesse notevoli economie, pure il provvedere allo scapito con esse soltanto era dimostrato impossibile; anche coloro che più tuonavano in quella guerra di parole, nell' intimo dell'animo sapevano bene che non basterebbero: occorreva qualche

nuova imposta se non sufficiente per condurci al pareg gio, tale almeno che vi si accostasse. Fermato questo nell'animo, il nuovo Ministro faceva a se stesso la seguente dimanda: si può egli aggiungere qualche nuova imposta, se prima non siansi riordinate e migliorate le presenti? E alla dimanda rispondeva negativamente nel modo più preciso, anzi giudicava che il riordinamento delle imposte già vigenti, e soprattutto delle imposte dirette, fosse necessario apparecchio all' introduzione di ogni altro balzello. Codesto concetto gli apriva l'adito a svolgere il suo nuovo sistema, il quale pigliava autorità dal grado di chi lo presentava, e dall'Assemblea a cui era porto, ed inoltre aveva il pregio di essere ben determinato e chiaro nei principii e nelle conseguenze.

Adunque lo Scialoia cominciava dal mostrare la imperfezione delle tre tasse dirette presenti: tassa fondiaria, tassa sui fabbricati, tassa sui redditi della ricchezza mobile. Qual è la nota caratteristica di codesta imperfezione? A suo giudizio è questa, che le terre sono assoggettate ad una tassa reale, che riguarda una rendita media calcolata astrattamente, cioè secondo certe categorie di terre e qualità ed estensioni di coltura, senza rispetto a spesa, senza detrazione di debiti: la ricchezza mobile invece è assoggettata ad una tassa personale, che riguarda la entrata effettiva del contribuente da lui dichiarata e netta dalle spese e dai debiti: i fabbricati infine sono assoggettati ad una tassa che partecipa di entrambe, cioè di reale e di personale. In questa disparità di trattamento giace, secondo lo Scialoia, lo sbaglio, il guaio, la contraddizione. Come si possono togliere sì fatti mali? Vi ha per ciò un mezzo solo, diceva egli nel suo discorso, ed è la consolidazione della fondiaria. Che cosa è la consolidazione della fondiaria? È la dichiarazione legislativa di un fatto avve

nuto, cioè della naturale conversione di una imposta in una rendita fissa a pro dello Stato.

Il lettore ponga mente a questo punto che è capitale: non si tratta con una legge di attribuire qualche diritto o qualche obbligo ai cittadini; si tratta solo di riconoscere un fatto, e codesto fatto è che la fondiaria non è un'imposta, ma un canone fisso. Lo Stato è dunque comproprietario del fondo, e il privato cittadino, che se ne crede padrone, altro non è che un enfiteuta. Egli possiede invero il dominio utile, ma lo Stato ha il dominio eminente, e in virtù di questo riscuote da lui l'annuo censo, che erroneamente si chiama imposta. Or che giova, dopo di ciò, valutare il prodotto del fondo? che significa proporzionare la imposta alla sua rendita? che importa anzi occuparsi di perequazione? Nessuno ha mai immaginato o immagina di perequare i canoni dei censuarii. Similmente sarebbe strano tener conto dei debiti che il proprietario possa avere sul fondo, imperocchè tutti i debiti vengono appresso a quello che è incorporato nella proprietà stessa, tutti sono graduati in seconda riga rispetto al debito verso lo Stato. Ma di tutto ciò parleremo innanzi: torniamo a bomba.

Consolidare l'imposta fondiaria, ecco il primo articolo di questo credo. Sventuratamente una perturbazione è sopravvenuta in questi ultimi anni a render più difficile tale opera. Se non si fosse fatto nel 1864 il conguaglio della imposta fondiaria, la cosa andava forse da sè; ma poichè si è voluto proporzionare in qualche guisa l'imposta alla rendita, e il censo è stato per alcuni aumentato, per altri diminuito, e nuove aspettative sonosi perciò suscitate, non è più lecito tirar via, e bisogna guardarsi dall'offendere i diritti acquisiti. Fortunatamente vi è un metodo per rispettare codesti diritti, e pur nondimeno conseguire l'intento. Qual è questo metodo? Esso

consiste nel ribassare tutte le quote compartimentali d'imposta fondiaria sulla base di una di queste quote che si ritiene massima, serbando la proporzione voluta dalla legge di perequazione; ribassarla tanto che niuno possa dire che nell' imposta vi è una quota nuova, anzi tutta quanta si trovi radicata da gran tempo e i passaggi consueti della proprietà siano occorsi sotto l'impero della medesima. In sostanza, salvo lievi differenze, è il metodo medesimo da lui proposto nel 1864 in occasione della perequazione. Ma di nuovo si manifesta che l'Erario ne patirà danno, e quand’anche vi proceda gradatamente, pur nondimeno il risultato sarà una perdita immediata di 9 milioni e scalata di altri 11, in tutto 20 milioni almeno. Risorge dunque e giganteggia la necessità inesorabile di trovare un compenso, nè altro può escogitarsene, tranne quello di estendere anche alle entrate fondiarie la tassa sulla ricchezza mobile.

Intanto, consolidata la imposta, ne veniva per conseguenza doversi accordare al proprietario il diritto di riscattarla. Lo Scialoia ponevasi in ciò nel diritto comune, perchè la nostra legislazione ha stabilito che ogni canone, ancorchè originariamente perpetuo, possa affrancarsi. Inoltre trovava l' esempio di ciò nella grande operazione, fatta da Guglielmo Pitt in Inghilterra nell'anno 1798. Il riscatto della imposta sarebbe il suggello che renderebbe sicuri i proprietarii, che mai nessun legislatore futuro a suo arbitrio potesse toccare questo cespite di proventi. Quand'anche si volesse supporre nei nostri successori la volontà di violare gl' impegni da noi presi, a codesta bieca volontà sarebbe ostacolo la non possa; perchè essi dovrebbero cominciare dal restituire il prezzo del riscatto a coloro che avessero liberato le proprie terre. E qui il Ministro offriva ai proprietarii grandi allettamenti al concesso riscatto: accettava rendita pubblica alla pari; e se

il riscatto era effettuato tutto in una sol volta, diminuiva di 1 per cento la somma d'imposta da riscattare. Concedeva anche il riscatto graduale mercè una quota d'ammortamento aggiunta a'ruoli dell'imposta fino al termine dell' estinzione. Questo per la fondiaria rurale: quanto all'imposta sui fabbricati, essa rimaneva regolata dalle leggi vigenti senza consolidazione e senza riscatto. Per finirla con queste materie, egli determinava che i comuni non potessero sovraimporre alla imposta fondiaria ed alla imposta sui fabbricati oltre al 50 per cento dell' imposta erariale consolidata. Nessuna sovrimposta provinciale era permessa: la provincia doveva vivere mediante contributi obbligatorii dei comuni. Non era detto se la sovrimposta fondiaria comunale potesse anch'essa o no riscattarsi.

Questa era la prima parte del sistema, poi veniva la seconda. Essa consisteva, come accennai, nella trasformazione della tassa presente sulla ricchezza mobile in una tassa generale sulle entrate, da qualunque origine esse provenissero, purificate da spese e da debiti. L'aliquota di questa tassa era portata fino al 10 per %, ma sciolta da ogni pericolo di addizionali, sì del comune che della provincia. La tassa sulle entrate era fondata sulla dichiarazione del contribuente debitamente sindacata; la entrata effettiva accertata si riduceva a entrata imponibile mediante la diversificazione (discrimination). La entrata imponibile dei capitali mantenevasi uguale alla effettiva; la entrata dei capitali misti all' industria si riduceva a, e quivi naturalmente si collocava anche l'entrata agraria. La entrata proveniente dall' industria personale senza mistura di capitale era ridotta a 5. In

' Perché i comuni potessero sopperire alle loro spese e al contributo provinciale, il Ministro concedeva loro più tasse locali, come le patenti, quella sul valor locativo, sulle porte e finestre, sulle vetture e sui domestici.

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