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convenite che l'imposta fondiaria e quella sulla ricchezza mobile hanno delle differenze notevoli fra loro, non gioverebbe egli che fossero entrambe della medesima indole? Non vi sarebbe maggiore euritmia e più facilità di proporzionarne debitamente la gravezza? Non si potrebbe assoggettare la ricchezza mobile ad un' imposta reale (come le patenti); ovvero trasmutare la fondiaria in imposta meramente personale, abbandonando ogni estimo di catasti; o infine disporre le cose in guisa che le ricchezze dell'una o dell'altra specie fossero soggette a due tasse (modiche entrambe), l' una media e catastale, l'altra effettiva e personale?

La questione posta in questi termini ci riconduce anzi tutto a quelle discussioni che ebbero luogo dal 1861 sino al 1864. Per esse fu messo in luce che alle tasse molteplici del valor locativo, dei mobili e degli altri sintomi di ricchezza conveniva piuttosto in Italia sostituire la tassa unica che vige al presente. Abbandonare i catasti del tutto, non credo che ad alcuno regga l'animo, neppure ai più decisi avversarii che menano tanto scalpore per mostrarne le imperfezioni. Riunire i due metodi e con duplice tassa temperare e migliorare le imperfezioni che singolarmente avrebbe ciascuna, è un tèma degno di meditazione. Ma altro è ciò, altro è dire che l'ordinamento presente è assurdo, nè patisce dilazione ad essere mutato. Questa è la tesi dello Scialoia, contro la quale io ho discorso sinora, e concludo che, sebbene la imposta sulla ricchezza mobile, stabilita dalla legge del 14 luglio 1864, sia diversa nei suoi metodi e nella sua forma dall'imposta fondiaria (come è diversa dalle imposte mobiliari che vigevano prima di quel tempo in Piemonte e sono attuate ancora fuori d'Italia), pur nondimeno contraddizione e repugnanza tra loro non v'è: ma il proprietario di ricchezza mobile, come il proprietario

di fondi, pagano parimente una porzione annua della propria entrata allo Stato per godere di quella tutela e di quella protezione, che è prima e principal condizione della società civile.

VI.

IMPOSTA SUI FABBRICATI.

Finora abbiamo parlato della terra, e abbiamo messo di riscontro l'imposta fondiaria e quella sui redditi della ricchezza mobile. Ci resta a dire alcuna cosa sull' imposta dei fabbricati. Qui lo Scialoia si trovò in impaccio, e, per quanto l'argomento lo sforzasse, pure schivò sempre al possibile d' intrattenervisi a lungo; ma qui appunto apparisce, a mio avviso, più che altrove il difetto del sistema che nel discorso del 16 gennaio 1866 fu da lui propugnato. L'imposta sui fabbricati è stabilita secondo vari criterii nei vari paesi; in taluni luoghi si ha di mira l'estensione del suolo imponibile che il fabbricato occupa, ragguagliandolo a terreno di una certa qualità e cultura; altrove si tien d'occhio semplicemente al numero dei locali, talora si riguarda il prezzo venale della casa, talora il valor locativo e la rendita netta che il proprietario ne ritrae. La legge 26 gennaio 1865, che regge tal materia appo noi, assoggetta i fabbricati ad un' imposta proporzionale alla loro rendita netta. Come si forma codesta rendita netta? Formasi pigliando la rendita lorda quale resulta dagli affitti correnti o presunti che sono denunziati, e da essa deducendo a titolo di riparazioni, di mantenimento e di ogni altra spesa o perdita eventuale un terzo per gli opifizii, un quarto per ogni altro fabbricato: in capo a cinque anni si procede

ad una revisione generale per determinare il reddito netto di tutti gli edifizi.' Da ciò apparisce come codesta tassa non sia identica nè a quella fondiaria sui terreni, nè a quella sui redditi della ricchezza mobile. Partecipa della prima, inquantochè la cosa imponibile è immobile, le sue rettificazioni non si operano che di quinquennio in quinquennio, le spese di riparazione ed ogni altra perdita si calcolano in media; finalmente si paga senza detrazione di debito. Partecipa della seconda, inquantochè è fondata sovra una rendita effettiva, e non sovra un estimo ragionato o una media presunta. Pertanto se vi fosse stata contraddizione assoluta (com'era la tesi dello Scialoia) fra le qualità dell' una e dell' altra tassa, non si sarebbe potuto idearne una terza che le qualità d'entrambi accogliesse, pur da loro distinguendosi.

Ma ciò conferma le cose da me dette sopra, cioè, che il legislatore volendo imporre una data ricchezza ricerca i mezzi più acconci al fine, ricerca cioè qual sia il metodo più pratico ed efficace a proporzionare e riscuotere la tassa secondo giustizia; ma non si briga troppo se fra vari metodi vi sia corrispondenza ed euritmia. L'estimo di un fabbricato non può farsi con quelli argomenti scientifici e con quelle generali tariffe che si usano nell'estimo dei terreni: ancora lo stesso edificio con le stesse ripartizioni interne ha un valore diversissimo secondo il luogo ove è situato, poniamo a Milano o a Ferrara, a Napoli o a Lecce; dunque si procede in altra guisa. Inoltre la rendita delle case è variabile più assai rapidamente di quella dei terreni; dunque ha mestieri di una periodica revisione. D'altra banda la denunzia può essere accertata assai più agevolmente di quella della ricchezza mobile, inquantochè si poggia sopra un contratto; pigliasi dunque questo contratto d'affitto come criterio della 'Legge 25 gennaio 1865, art. 1, 3, 20.

estimazione. Di tal guisa ne uscì fuori una terza imposta, alla quale lo Scialoia mal poteva applicare i ragionamenti fatti sulle due precedenti. Se la imposta sui fabbricati è una imposta reale; se può essere almeno in parte, secondo le vostre teoriche, scontata nel trapasso di proprietà e nelle vendite; se si paga senza detrazione di debiti, perchè non concedere ai proprietarii di case un briciolo di consolidamento e di riscatto? E se per le sue troppo frequenti mutazioni non può essere trasformata in censo o prestazione fissa; se fondandosi sulla denuncia partecipa all' indole di una vera tassa personale ed effettiva, perchè lasciar su di essa la tassa vigente fondiaria, e poi appresso aggiungervi anche la tassa sull'entrata? I proprietarii di case rassomigliano, nel sistema dello Scialoia, al pipistrello di La Fontaine, che ora si chiama uccello ed ora topo: ma dovecchè nell'apologo dell'illustre francese ciò gli giova a godere i beneficii di entrambi gli animali, qui invece è costretto a sopportare gli inconvenienti di tutte due le tasse. Per uscire da questo ginepraio lo Scialoia non trovava altro rimedio fuor quello di ridurre, mediante la diversificazione, la entrata delle case a soli cinque ottavi, ragguagliandola così all'entità del lavoro d' ingegno o di mano, scevro da ogni mistura di capitale. Ma qual è il principio donde questa assimilazione si deduce? Qual è il rapporto fra l'affitto d' un appartamento e la rimunerazione di un servigio personale? Lo Scialoia osservava che ai proprietarii di case riesce agevole il disgravarsene di mano in mano sopra i pigionanti, attesa la tendenza grande della popolazione ad aumentare in ragione più rapida degli edifizii, e atteso anche gli effetti della civiltà, pei quali ciascun abitante desidera più comoda e più larga abitazione;' ma qui entriamo in una indagine

'Scialoia, Relazione al progetto di legge 27 gennaio 1866.

molto ardua, qual'è quella della incidenza finale delle tasse, intorno a che gli Economisti sono ancora in grandissime disputazioni. Ora se è vero, e anche il Rossi lo osserva, che il proprietario di case può talvolta farsi rimborsare dell' imposta dal locatore, però in altre circostanze dee tutta quanta sopra di sè sopportarla: e poi codesta non è una speciale condizione dell' imposta sui fabbricati, chè il medesimo si può dire di tutte le altre. La balia di alzare il prezzo di un prodotto, e compenetrare nel costo di esso anche la parte di tassa che il produttore paga al Governo, dipende dall'offerta e dalla dimanda sul mercato; e se nel determinare le quote delle imposte dirette si volesse a ciò por mente, bisognerebbe variarle ad ogni mutar di luogo e di tempo. Il legislatore, a mio avviso, considera la ricchezza che la imposta deve colpire là dove è posseduta, cerca di proporzionar questa a quella, di renderne men grave l'assetto, più agevole la riscossione; in ciò è la giustizia distributiva. Penetrare più addentro, valutare se e come e quanto colui che paga l'imposta se ne rivalga sopra di altri, è indagine bellissima dello scienziato; in certi casi può essere eziandio avvedimento di statista, ma non può essere norma comune della legislazione finanziaria. Lo fosse pur anche ; non ne sarebbe giustificata la diversificazione in quelle proporzioni che lo Scialoia propose sui fabbricati.

Concludiamo il nostro dire. La imposta sui fabbricati è un'imposta sui generis diversa da quella che grava i fondi rustici, e da quella ond'è tassata la ricchezza mobile, ma la diversità loro non arguisce contraddizione. Potrà ben dirsi che l'attuale ordinamento delle imposte dirette in Italia merita di essere corretto, potrà escogitarsene uno che si creda più razionale e più perfetto, e

' Vedi Rossi, Cours d'Économie politique, vol. IV.

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