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altre parti pigliano una vita ed un vigore posticcio con accrescimento di popolazione, e con gran pericolo che togliendosi per qualche cagione inaspettata il sostegno de' monopolii, non ne segua una lunga e calamitosa perturbazione.

Per le cose sopradette apparisce che la protezione lungi dal giovare alla prosperità interna al qual fine si decanta essere rivolta, è anzi ad essa prosperità un grave ostacolo. Ma ecco molti sorgere commossi da patrio zelo, e con grande ardore esclamare: perchè vogliamo noi venir meno a tante operazioni alle quali potremmo pure in qualche modo bastare? Perchè renderci tributari dello straniero? Non è egli meglio usare prodotti anche un poco meno perfetti ma nostri? Non è meglio pagarli più caro se rimane la spesa a beneficio dei cittadini? Questo argomento che ti appare a prima giunta generoso, e tocca i sentimenti più cari e più nobili dell' animo, si fonda sopra un falso supposto. E questo è che il consumo di tutte cose indigene arrechi vantaggio almeno a qualche classe, e l'importazione di fuori sia al pubblico dannosa. Al che fu già risposto coll'analisi che abbiamo fatto di sopra. Ma di grazia il forestiero che apporta qui le merci non le cambia forse in altri prodotti? E non vedete che accrescendo anzi l'importazione s'accrescerà in egual grado anche l'esportazione, e la produzione interna che dee sopperirvi? Se certe industrie verranno meno, non riceveranno vigore altre più naturali, e più veramente proficue? Poniamo la manifattura delle stoviglie, o del ferro. Quei capitali, quegli operai che ci troverebbero impiego, potranno darsi all'agricoltura, produrre maggior copia di biade, di vini, di sete che in baratto di quelle stoviglie, e di quel ferro si devono offerire. Ma dirà taluno: noi non barattiamo già con mercatanzie, ma paghiamo con denaro, e di tal guisa

dopo certo spazio saremo impoveriti. A questo argomento risponderà una breve descrizione della natura e degli usi delle moneta. L'oro e l'argento non differiscono sostanzialmente dalle altre merci, e seguono le leggi medesime, ma hanno di più un'altra prerogativa, ed è quella di poter servire come pregio e misura di ogni prodotto. La quale prerogativa discende da certe qualità che hanno que' metalli oltre il valore di uso e la facoltà generica di servire al piacere e al comodo degli uomini, che sono uniformi e omogenei nelle parti loro, divisibili senza alterazione, possono dall' un luogo all' altro agevolmente trasportarsi, durano lungo tempo e infine serbano un valore costante. Dico costante relativamente alle altre merci, ma è più proprio il dire meno variabile, perchè anch'essi sono soggetti alla medesima proporzione dell' offerta e della dimanda. Si mostrerebbe ignaro dei fatti più ovvii e dei principii più semplici di Economia chi non sapesse che il valore dell' oro e dell'argento, e il rapporto loro hanno variato notabilmente. Così dopo le conquiste di Alessandro, l'oro perdette notabilmente del suo valore. E il medesimo avvenne in Roma quando ebbe allargata la sua dominazione e le spoglie dei vinti recate ad ornamento e ricchezza della città. Chi non sa quanta differenza in tale materia recasse la scoverta dell'America, e delle miniere aurifere del Perù? Chi non sa che da quell'epoca sino al secolo presente il valor di quei metalli venne sempre decrescendo!1 Se adunque il pregio

'In Grecia al tempo di Demostene comparativamente all'epoca di Solone i metalli preziosi avevano perduto i quattro quinti del loro valore. Il rapporto dell'oro all'argento fu ai tempi di Erodoto di 1:13; alla morte d'Alessandro di 1: 10. E in Roma lo stesso rapporto al tempo della presa di Siracusa era di 1: 17. Dopo Cesare di 1: 8 (V. Humboldt. Ueber die Schwankungen der Gold Produktion mit Rücksicht auf Staats, wirthshaftliche Probleme. Berlin 1838. - Revue française, Décembre 1838.) La quantità d'oro e di argento che esisteva in Europa in moneta nel 1492

della moneta non è costante, se varia (benchè in minor grado) come quello degli altri prodotti, egli è chiaro che data la libertà del commercio sgombrerà dai luoghi che ne abbondano, per entrare là dove ne è penuria e ricerca. E per valermi della leggiadra similitudine del Davanzati nella lezione dei cambi« fate conto che il >> contante come acqua corre ne' luoghi più bassi, e » viene e va secondo che una piazza ne diviene asciutta, >> o traboccante. » Poniamo adunque per una strana ipotesi che l'Italia si vuotasse di una considerevol parte di danaro. Io lascio stare gli inconvenienti momentanei che potrebbero derivarne. Anche tacerò come e quanto le lettere di cambio, e la carta monetata valessero a farne le veci, poichè tali considerazioni benchè importantissime mi trarrebber lungi dal mio subbietto. Ma egli è chiaro che dopo breve tempo la porzione di moneta rimanente acquisterebbe di valore, mentre negli altri paesi ne scapiterebbe. Laonde con una stessa quantità d'oro si avrebbero in Italia molto più merci che altrove, e ne verrebbe subito qui un buon mercato e colà per contrario un rincaramento di ogni genere. Il quale disquilibrio non potrebbe durare, ma rivendendosi in copia i nostri prodotti, subito l'oro e l'argento vi tornerebbero da ogni

estimasi da Humboldt di 600 milioni di lire tornesi. Da quell'epoca poi fino al 1803 si reputa che ne fosse importato dall' America pel valore di 25,586 milioni. Alla qual somma si dee aggiungere quella ricavata dalle miniere dell' Europa stessa, dell' Asia Russa, e delle coste dell' Affrica. D'altra parte si vuol detrarue quella che dall' Europa è importata in Asia o pel commercio marittimo col Levante, l'Egitto, il mar Rosso, l'India, e la China. Inoltre la quantità che fu convertita in vascllami, in ornamenti, in giojelli, e l'altra che fu consunta e dispersa. Ondechè fatto il ragguaglio credesi che la moneta in oro e argento che corre al presente in Europa sia di 8,603 milioni di lire tornesi (V. Humboldt, Essai sur le Royaume de la Nouvelle-Espagne, T. 3, Cap. XI.) Gl'Italiani scrissero intorno alla moneta i primi, e molto dottamente. Sono degnissimi di menzione il Davanzati, il Galliani, il Genovesi, il Beccaria, il Vasco, ed altri parecchi.

banda. Depongano adunque i troppo timorosi questo sospetto mal fondato, e si persuadano che quanto più vi ha importazione più vi ha esportazione, che è assurdo il ricevere e il non dare, e che se per uno strano supposito ciò potesse avverarsi sarebbe un godere senza veruna fatica. E d' altra parte guardino alla Spagna dopo il regno d'Isabella e di Ferdinando il Cattolico, la quale volendo gelosamente custodire l'oro che nel decimosesto secolo dalle sue colonie strabocchevolmente gli pioveva, e pensandosi perciò di arricchire, inceppato il commercio, fini in una dispregiata inerzia, e in una dolorosa povertà.

Ma si dirà per avventura che se alcuna nazione sia corrotta ed inoperosa, questo libero concorso potrebbe nuocerle. Perchè l'ozio e la cupidità di godere andando il più delle volte congiunti, accadrà per avventura che una classe disperda nell'acquisto dei prodotti di lusso, anche quei capitali che dovrebbero servire al miglioramento delle altre arti, e come potenze riproduttive. Nè io negherò che ciò non potesse forse accelerare la sua decadenza: la quale nondimeno sarebbe ad ogni modo inevitabile, perchè dove non è dignità nei costumi, nè operosità materiale e industria, bisogna che la società langua e a poco a poco declini. Nè certo alle dogane e ai sistemi proibitivi dovrebbe il Legislatore aver ricorso per metter argine alla piena dei vizi traboccanti, ma se pur è possibile più alti principii, e più nobili sentimenti sforzarsi di restaurare. Che se altri veggendo che alcuni gravi mali apparvero là dove è più viva la concorrenza fra i fabbricatori e gli operai di uno stesso paese, voglia immaginare il medesimo pericolo della concorrenza fra le nazioni, io gli farò considerare che una tal comparazione la quale a prima giunta ha sembiante di vera, considerata un poco sottilmente non può reggere.

Perchè senza disaminare qui a lungo l'entità e le cagioni di quei mali, dirò solo che la diminuzione del salario, e il cessar dei lavori che talvolta arrecano perturbazione e miseria, derivavano da un eccesso di produzione rispettivamente ai mezzi di acquisto del povero, il che non sarebbe avvenuto probabilmente senza le dogane protettrici, che mentre per l' una parte impedivano di smaltire all'estero la soverchia copia di quelle merci, per l'altra rendevano più costosi all' operaio gli oggetti di prima necessità. E d' altra banda perchè questi difenditori della proibizione, o della protezione non seguono la conseguenza logica dei loro principii sino a chiedere il disgregamento commerciale di provincia a provincia? Perchè restringon solo a certe materie il privilegio? Oh non è egli coerente che tutte le industrie siano per aiuto privilegiate, che noi bastiamo a noi medesimi in ogni cosa, e così tronchiamo i nervi di ogni commercio straniero! Io veramente non veggo come essi sappiano schermirsi da queste strette.

Ma enunciando il principio della libertà del commercio io non voglio perciò inferire che debba essere prosciolto da ogni misura, e sempre e da per tutto e senza alcuna riserva introdotto. Ogni facoltà se non è ordinata alfine degenera in anarchia, ed è questo il problema più arduo e sovrano delle scienze sociali di conciliare l'ordine colla libertà. Per la qual cosa può essere utile in certi momenti e in alcuni casi speciali porre ai traffici regola e misura, e serbare nella nazione una industria anche più costosa perchè necessaria. Similmente non si vuol negare a certe manifatture inci pienti, quando si riconoscano appropriate al paese, lo aiutarle finchè abbiano pigliato saldezza. Da considerazioni politiche e morali verranno ancora argomenti a modificare i principii dell' economia. Perchè siccome

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