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Firenze dagli eredi di Filippo Giunta, edizione che fu in breve seguita da altre parecchie. Nel 1533 gli eredi d'Aldo lo ristampavano in minore formato, dicendo essere più corretto del primo, secondo l'esemplare iscritto di mano propria d'esso Autore; ma fatto sta che nulla vi è mutato, e soltanto corretti i manifesti errori di impressione. Non così la terza Aldina, fatta da Giovanni Padovano, ma ad istanza e spesa di Messer Federico Torresano d'Asola (1538); poichè in questa il testo in più luoghi è mutato in modo, da non potersi attribuire fuorchè ad una più diligente collazione del manoscritto. Tracce ancor più evidenti di un nuovo esame del manoscritto si trovano nella quarta Aldina (1541), sebbene abbia pure non pochi proprii errori. L'ultima Aldina (1547) non è che una materiale ristampa della terza; come la quinta, in foglio (1545), è a un di presso una ripetizione dell' edizione originale del 1528.

Numerosissime sono le ristampe di quest' opera nel secolo decimosesto, contandosene presso a quaranta oltre le Aldine, e oltre le traduzioni che tosto se ne fecero in quasi tutte le lingue di Europa; e ben può dirsi, che fra le opere in prosa che illustrarono la letteratura italiana nel secolo di Leone X, non altra fu accolta con più universale favore.—Le anzidette edizioni, fino a quelle del Dolce del 1556 e del 1559, sono una materiale ristampa di alcuna delle Aldine. Il Dolce poi asserisce bensì avere emendato il testo secondo l' esemplare del proprio Autore; ma è evidente ch'ei non ebbe sott'occhio il manoscritto originale, nè appare ben certo se abbia raffrontato almeno l'edizione Aldina del 1528; le mutazioni nel testo che s'incontrano nelle edizioni del Dolce scorgonsi fatte ad arbitrio, sebbene alcune colgano nel segno. Il testo del Dolce fu seguito in tutte le altre edizioni di quel secolo, compresa quella del Ciccarelli (1584), che diede il Cortegiano espurgato, e fù più volte ripetuta gli anni seguenti. Se non che appunto pei vincoli frapposti alla libera publicazione di

quest' opera, più non ne fu publicata in Italia che una sola edizione intera nei secoli decimosettimo e decimottavo, e sole tre secondo la correzione del Ciccarelli; fra le quali tuttavia è degna di memoria quella dei fratelli Volpi (1733), che, oltre all' avere restituito alcuni più innocenti fra i passi tolti dal Ciccarelli, corresse accuratamente il testo con un diligente confronto dell' edizione originale del 1528; e su questa edizione, ma coll'aggiunta dei passi omessi dal Volpi, è fatta l'edizione di Vicenza, come pure, quantunque assai negligentemente, quella di Milano detta dei Classici, dalla quale derivano tutte le edizioni posteriori.

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In difetto del manoscritto originale, il quale sembra essere passato in Francia, e, venuto in potere del Professore Guglielmo Libri, trovarsi ora colla maggior parte della ricca sua biblioteca in Inghilterra: abbiamo creduto dover seguire esclusivamente le edizioni Aldine, tratte dall' esemplare spedito di Spagna per la stampa dall'Autore. A fondamento dell'edizione abbiamo posto quella del 1528, la quale, non tenuto conto degli evidenti errori tipografici, pel testo e per l' ortografia appare avvicinarsi più che alcun' altra all' originale dell'Autore; nè mai da questa ci siamo dipartiti senza avvertirne in nota il lettore: sebbene siansi tenute ad accurato confronto anche le seguenti Aldine, delle quali abbiamo portato in nota le principali varianti. Restano tuttavia alcuni luoghi, dove la lezione di tutte le Aldine è evidentemente falsa; e quivi, avvertendone il lettore, abbiamo ricevuto le emendazioni del Dolce o dei Volpi, e rare volte alcuna nostra congettura. In fine dell' opera riproduciamo alcuni passi del Cortegiano diversi da quelli che si trovano nelle edizioni, i quali furono per la prima volta publicati dall'Abbate Pierantonio Serassi, tratti dalla prima bozza del Cortegiano, che si conservava e sembra conservarsi tuttora presso gli eredi del Castiglione. Nè vi ha dubio, che il confronto di quella bozza Revue des Deux-Mondes, 1852, cahier de mai, page 323.

VII

sarebbe di grande utilità in correggere molti luoghi dubii od errati delle edizioni.

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Non lieve difficoltà ci si presentava nella scelta della ortografia, in che si avessero a publicare le opere del nostro Autore. La maggior parte degli scrittori di quella età posero alla ortografia poca cura, scrivendo spesso le stesse parole con diversa forma, ora strettamente attenendosi all'etimologia, ora seguendo la pronunzia volgare. Non così il Castiglione, il quale, non nella tessitura dei periodi, ma nella scrittura dei vocaboli, reputa doversi conservare e conserva difatti la forma latina in modo, che le sue opere a' nostri giorni riescirebbero di pressochè impossibile lettura. Noi pure opiniamo, e l'abbiamo altrove dichiarato, doversi nella scrittura delle voci italiane seguire piuttosto l'etimologia, che non l'incerta ed incostante pronunzia del volgo. Ma questa regola non deve estendersi tant' oltre, che più che l'ortografia si muti la forma stessa dei vocaboli, ovvero si ammettano modi repugnanti all' indole della nostra lingua, figliola bensì della latina, ma avente regole, carattere, scrittura propria. Chi tolererebbe, che per popolo scrivessimo populo, come vuole il Castiglione, ed Hercule, ed excepto, e così via? Ritenemmo adunque bensì costantemente la forma di vocaboli adottata dall'Autore; ma quanto all'ortografia non la seguimmo se non in parte, onde non allontanarci di troppo dalla scrittura che l'Autore professa voler seguire, nè tuttavia rendere il libro illegibile.

Abbiamo conservato le più importanti fra le annotazioni dei precedenti editori, ed aggiuntone alcune nostre; alle annotazioni abbiamo premesso brevi cenni biografici sui personaggi introdotti dal Castiglione ad interlocutori nel Dialogo. Il testo fu con somma diligenza e a più riprese confrontato e

Dialogo di Santo Gregorio: Volgarizzamento di Fra Domenico Cavalca. Testo di lingua ridotto alla vera lezione da Carlo Baudi di Vesme. Torino, Stamperia Reale, 1851: nella prefazione, a pag. XII.

corretto sulle edizioni Aldine. Insomma non fu da noi omessa cura o fatica, affinchè questa nostra riesca ottima fra le edizioni del Cortegiano; e simile diligenza porremo intorno agli altri scritti del Conte Baldassar Castiglione, che daremo fra breve, accresciuti di un gran numero di lettere inedite, non meno importanti per argomento, che notevoli per purezza di lingua, e per chiarezza, semplicità e nobiltà di dettato.

1 gennajo 1854.

CARLO VESME.

DON MICHEL DE SILVA

VESCOVO DI VISEO.

Quando il signor Guid' Ubaldo di Montefeltro, duca d'Urbino, passò di questa vita, io, insieme con alcun'altri cavalieri che l'aveano servito, restai alli servizii del duca Francesco Maria dalla Rovere, erede e successor di quello nel stato; e come nell'animo mio era recente l'odor delle virtù del duca Guido, e la satisfazione che in quegli anni aveva sentito dell'amorevole compagnia di così eccellenti persone, come allora si ritrovarono nella corte d'Urbino, fui stimolato da quella memoria a scrivere questi Libri del CORTEGIANO: il che io feci in pochi giorni, con intenzione di castigar col tempo quegli errori, che dal desiderio di pagar tosto questo debito erano nati. Ma la fortuna già molt' anni m' ha sempre tenuto oppresso in così continui travagli, che io non ho mai potuto pigliar spazio di ridurgli a termine, che il mio debil giudicio ne restasse contento. Ritrovandomi adunque in Ispagna, ed essendo d'Italia avvisato, che la signora Vittoria dalla Colonna, marchesa di Pescara, alla quale io già feci copia del libro, contra la promessa sua ne avea fatto trascrivere una gran parte, non potei non sentirne qualche fastidio, dubitandomi di molti inconvenienti, che in simili casi possono occorrere; nientedimeno mi confidai che l'ingegno e prudenza di quella Signora (la virtù della quale io sempre ho tenuto in venerazione come cosa divina) bastasse a rimediare che pregiudicio alcuno non mi venisse dall'aver obedito a' suoi comandamenti. In ultimo seppi, che quella parte del libro si ritrovava in Napoli in mano di molti; e, come sono gli uomini sempre cupidi di novità, parea che quelli tali tentassero di farla imprimere. Ond' io, spaventato da questo pericolo, determinaimi di riveder subito nel libro quel poco che mi comportava il tempo, con intenzione di publicarlo; estimando men male lasciarlo veder poco castigato per mia mano, che molto lacerato per man d'altri. Così, per eseguire questa deliberazione, cominciai a rileggerlo; e subito nella prima fronte, ammonito dal titolo, presi non mediocre tristezza, la qual ancora nel passar più avanti molto si accrebbe, ricordandomi, la maggior parte di coloro che sono introdotti nei ragionamenti, esser già morti: chè, oltre a quelli de chi si

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