Immagini della pagina
PDF
ePub

Cortegiano basti dire, oltre alle cose già dette, ch' el sia tale, che mai non gli manchin ragionamenti buoni, e commodati a quelli co' quali parla, e sappia con una certa dolcezza recrear gli animi degli auditori, e con motti piacevoli e facezie discretamente indurgli a festa e riso, di sorte che, senza venir mai a fastidio o pur a saziare, continuamente diletti.

XLII. Io penso che ormai la signora Emilia mi darà licenza di tacere; la qual cosa s' ella mi negarà, io per le parole mie medesime sarò convinto non esser quel buon Cortegiano di cui ho parlato; chè non solamente i buoni ragionamenti, i quali nè mo nè forse mai da me avete uditi, ma ancor questi miei, come voglia che si siano, in tutto mi mancano.— Allor disse, ridendo, il signor PREFETTO: Io non voglio che questa falsa opinion resti nell' animo d' alcun di noi, che voi non siate buonissimo Cortegiano; chè certo il desiderio vostro di tacere più presto procede dal voler fuggir fatica, che da mancarvi ragionamenti. Però, acciò che non paja che in compagnia così degna come è questa, e ragionamento tanto eccellente, si sia lasciato a drieto parte alcuna, siate contento d'insegnarci come abbiamo ad usar le facezie, delle quali avete or fatta menzione, e mostrarci l'arte che s' appartiene a tutta questa sorte di parlar piacevole, per indurre riso e festa con gentil modo, perchè in vero a me pare che importi assai, e molto si convenga al Cortegiano. Signor mio, rispose allor messer FEDERICO, le facezie e i motti sono più presto dono e grazia di natura che d'arte; ma bene in questo si trovano alcune nazioni pronte più l'una che l'altra, come i Toscani, che in vero sono acutissimi. Pare ancor che ai Spagnoli sia assai proprio il motteggiare. Trovansi ben però molti, e di queste e d'ogni altra nazione, i quali per troppo loquacità passan talor i termini, e diventano insulsi ed inetti, perchè non han rispetto alla sorte delle persone con le quai parlano, al loco ove si trovano, al tempo, alla gravità ed alla modestia che essi proprii mantenere devriano.

XLIII. Allor il signor PREFETTO rispose: Voi negate che nelle facezie sia arte alcuna; e pur, dicendo mal di que' che non servano in esse la modestia e gravità, e non hanno ri

spetto al tempo ed alle persone con le quai parlano, parmi che dimostriate che ancor questo insegnar si possa, ed abbia in sè qualche disciplina. Queste regole, Signor mio, rispose messer FEDERICO, son tanto universali, che ad ogni cosa si confanno e giovano. Ma io ho detto nelle facezie non esser arte, perchè di due sorti solamente parmi che se ne trovino; delle quai l'una s'estende nel ragionar lungo e continuato; come si vede di alcun' uomini, che con tanto buona grazia e cosi piacevolmente narrano ed esprimono una cosa che sia loro intervenuta, o veduta o udita l'abbiano, che coi gesti e con le parole la mettono inanzi agli occhi, e quasi la fan toccar con mano: e questa forse, per non ci aver altro vocabolo, si poria chiamar festività, ovvero urbanità. L'altra sorte di facezie è brevissima, e consiste solamente nei detti pronti ed acuti, come spesso tra noi se n'odono, e de' mcrdaci; nè senza quel poco di puntura par che abbian grazia: e questi presso agli antichi ancor si nominavano detti; adesso alcuni le chiamano arguzie. Dico adunque che nel primo modo, che è quella festiva narrazione, non è bisogno arte alcuna, perchè la natura medesima crea e forma gli uomini atti a narrare piacevolmente; e dà loro il volto, i gesti, la voce e le parole appropriate ad imitar ciò che vogliono. Nell' altro, delle arguzie, che può far l' arte? con ciò sia cosa che quel salso detto dee esser uscito ed aver dato in brocca, prima che paja che colui che lo dice v'abbia potuto pensare; altramente è freddo, e non ha del buono. Però estimo, che 'l tutto sia opera dell'ingegno e della natura. Riprese allor le parole messer PIETRO BEMBO, e disse: Il signor Prefetto non vi nega quello che voi dite, cioè che la natura e lo ingegno non abbiano le prime parti, massimamente circa la invenzione; ma certo è che nell' animo di ciascuno, sia pur l'uomo di quanto buono ingegno può essere, nascono dei concetti buoni e mali, e più e meno ; ma il giudicio poi e l'arte i lima e corregge, e fa elezione dei buoni e rifiuta i mali. Però, lasciando quello che s'appartiene allo ingegno, dechiarateci quello che consiste nell' arte: cioè, delle facezie e dei motti che inducono a ridere, quai son convenienti al Cortegiano e quai no, ed in qual tempo e

modo si debbano usare; chè questo è quello che 'l signor Prefetto v' addimanda.

[ocr errors]

XLIV. Allor messer FEDERICO, pur ridendo, disse: Non è alcun qui di noi al qual io non ceda in ogni cosa, e massimamente nell' esser faceto; eccetto se forse le sciocchezze, che spesso fanno rider altrui più che i bei detti, non fossero esse ancora accettate per facezie. — E così, voltandosi al conte Ludovico ed a messer Bernardo Bibiena, disse: Eccovi i maestri di questo; dai quali, s'io ho da parlare de' detti giocosi, bisogna che prima impari ciò che m'abbia a dire.— Rispose il conte LUDOVICO: A me pare che già cominciate ad usar quello di che dite non saper niente, cioè di voler far ridere questi signori, burlando messer Bernardo e me; perchè ognun di lor sa, che quello di che ci laudate, in voi è molto più eccellentemente. Però se siete faticato, meglio è dimandar grazia alla signora Duchessa, che faccia differire il resto del ragionamento a domani, che voler con inganni sutterfugger la fatica. Cominciava messer Federico a rispondere; ma la signora EMILIA subito l' interruppe e disse: Non è l'ordine, che la disputa se ne vada in laude vostra; basta che tutti siete molto ben conosciuti. Ma perchè ancor mi ricordo che voi, Conte, jersera mi deste imputazione ch' io non partiva egualmente le fatiche, sarà bene che messer FEDERICO si riposi un poco, e 'l carico del parlar delle facezie daremo a messer Bernardo Bibiena, perchè non solamente nel ragionar continuo lo conoscemo facetissimo, ma avemo a memoria che di questa materia più volte ci ha promesso voler scrivere, e però possiam creder che già molto ben vi abbia pensato, e per questo debba compiutamente satisfarci. Poi, parlato che si sia delle facezie, messer Federico seguirà in quello che dir gli avanza del Cortegiano. - Allor messer FEDERICO disse: Signora, non so ciò che più mi avanzi; ma io, a guisa di viandante già stanco dalla fatica del lungo camminare a mezzo giorno, riposerommi nel ragionar di messer Bernardo al suon delle sue parole, come sotto qualche amenissimo ed ombroso albero al mormorar soave d'un vivo fonte; poi forse, un poco ristorato, potrò dir qualche altra cosa. - Rispose, ridendo, messer BERNARDO: S'io

1

vi mostro il capo, vederete che ombra si può aspettar dalle foglie del mio albero. Di sentire il mormorio di quel fonte vivo, forse vi verrà fatto, perch'io fui già converso in un fonte, non d'alcuno degli antichi Dei, ma dal nostro Fra Mariano, e da indi in qua mai non m' è mancata l'acqua. Allor ognun cominciò a ridere, perchè questa piacevolezza, di che messer Bernardo intendeva, essendo intervenuta in Roma alla presenza di Galeotto cardinale di san Pietro in Vincula, a tutti era notissima.

-

XLV. Cessato il riso, disse la signora EMILIA: Lasciate voi adesso il farci ridere con l' operar le facezie, e a noi insegnate come l'abbiamo ad usare, e donde si cavino, e tutto quello che sopra questa materia voi conoscete. E, per non perder più tempo, cominciate omai. Dubito, disse messer BERNARDO, che l'ora sia tarda; ed acciò che 'l mio parlar di facezie non sia infaceto e fastidioso, forse buon sarà differirlo insino a domani. Quivi subito risposero molti, non esser ancor, nè a gran pezza, l'ora consueta di dar fine al ragionare. Allora, rivoltandosi messer BERNARDO alla signora Duchessa ed alla signora Emilia, Io non voglio fuggir, disse, questa fatica; bench' io, come soglio maravigliarmi dell'audacia di color che osano cantar alla viola in presenza del nostro Jacomo Sansecondo, così non devrei in presenza d'auditori che molto meglio intendon quello che io ho a dire che io stesso, ragionar delle facezie. Pur, per non dar causa ad alcuno di questi signori di ricusar cosa che imposta loro sia, dirò quanto più brevemente mi sarà possibile ciò che mi occorre circa le cose che movono il riso; il qual tanto a noi è proprio, che per descriver l'uomo, si suol dir che egli è un animal risibile: perchè questo riso solamente negli uomini si vede, ed è quasi sempre testimonio d'una certa ilarità che dentro si sente nell' animo, il qual da natura è tirato al piacere, ed appetisce il riposo e 'l recrearsi; onde veggiamo molte cose dagli uomini ritrovate per questo effetto, come le feste, e tante varie sorti di spettacoli. E perche noi amiamo que' che son causa di tal nostra recreazione, usavano i re antichi, i Romani, gli Ateniesi, e molti altri, per acquistar la benivolenza dei popoli, e pascer gli occhi

e gli animi della moltitudine, far magni teatri ed altri publici edificii; ed ivi mostrar nuovi giochi, corsi di cavalli e di carrette, combattimenti, strani animali, comedie, tragedie e moresche; nè da tal vista erano alieni i severi filosofi, che spesso e coi spettacoli di tal sorte e conviti rilasciavano gli animi affaticati in quegli alti lor discorsi e divini pensieri; la qual cosa volentier fanno ancor tutte le qualità d' uomini: chè non solamente i lavoratori de' campi, i marinari, e tutti quelli che hanno duri ed asperi esercizii alle mani, ma i santi religiosi, i prigionieri che d'ora in ora aspettano la morte, pur vanno cercando qualche rimedio e medicina per recrearsi. Tutto quello adunque che move il riso, esilara l'animo e då piacere, nè lascia che in quel punto l' uomo si ricordi delle nojose molestie, delle quali la vita nostra è piena. Però a tutti, come vedete, il riso è gratissimo, ed è molto da laudare chi lo move a tempo e di buon modo.Ma che cosa sia questo riso, e dove stia, ed in che modo talor occupi le vene, gli occhi, la bocca e i fianchi, e par che ci voglia far scoppiare, tanto che per forza che vi mettiamo, non è possibile tenerlo, lasciarò disputare a Democrito; il quale, se forse ancor lo promettesse, non lo saprebbe dire.

XLVI. II loco adunque e quasi il fonte onde nascono i ridicoli consiste in una certa deformità; perchè solamente si ride di quelle cose che hanno in sè disconvenienza, e par che stian male, senza però star male. Io non so altrimenti dichiarirlo; ma se voi da voi stessi pensate, vederete che quasi sempre quel di che si ride è una cosa che non si conviene, e pur non sta male. Quali adunque siano quei modi che debba usar il Cortegiano per mover il riso, e fin a che termine, sforzerommi di dirvi, per quanto mi mostrerà il mio giudicio; perchè il far rider sempre non si convien al Cortegiano, nè ancor di quel modo che fanno i pazzi e gl'imbriachi, ed i sciocchi ed inetti, e medesimamente i buffoni; e benchè nelle corti queste sorti d' uomini par che si richieggano, pur non meritano esser chiamati Cortegiani, ma ciascun per lo nome suo, ed estimati tali quai sono. II termine e misura di far ridere mordendo bisogna ancor es

« IndietroContinua »