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che quelle che appartengono alla instituzion del principe, ed a questo fine della Cortegianía. Rispose il signor OTTAVIANO: Non sono di poca importanza tutte quelle che giovano al guadagnar la grazia del principe, il che è necessario, come avemo detto, prima che 'l Cortegiano si aventuri a volergli insegnar la virtù; la qual estimo avervi mostrato che imparar si può, e che tanto giova, quanto nuoce la ignoranza, dalla quale nascono tutti i peccati, e massimamente quella falsa persuasion che l'uom piglia di sè stesso: però parmi d'aver detto a bastanza, e forse più ch'io non aveva promesso. Allora la signora DUCHESSA, Noi saremo, disse, tanto più tenuti alla cortesia vostra, quanto la satisfazione avanzerà la promessa; però non v'incresca dir quello che vi pare sopra la dimanda del signor Gaspar; e, per vostra fè, diteci ancora tutto quello che voi insegnareste al vostro principe s'egli avesse bisogno d'ammaestramenti, e presupponetevi d'avervi acquistato compitamente la grazia sua, tanto che yi sia licito dirgli liberamente ciò che vi viene in animo.

XXVI. Rise il signor OTTAVIANO e disse: S' io avessi la grazia di qualche principe ch'io conosco, e li dicessi liberamente il parer mio, dubito che presto la perderei; oltra che per insegnarli bisogneria ch'io prima imparassi. Pur poichè a voi piace ch'io risponda ancora circa questo al signor Gaspar, dico che a me pare che i principi debbano attendere all'una e l'altra delle due vite, ma più però alla contemplativa, perchè questa in essi è divisa in due parti: delle quali l'una consiste nel conoscer bene e giudicare; l'altra nel comandare drittamente e con quei modi che si convengono, e cose ragionevoli, e quelle di che hanno autorità, e comandarle a chi ragionevolmente ha da obedire, e nei lochi e tempi appartenenti; e di questo parlava il duca Federico quando diceva, che chi sa comandare è sempre obedito: e'l comandare è sempre il principal officio de' principi, li quali debbono però ancor spesso veder con gli occhi ed esser presenti alle esecuzioni, e secondo i tempi e i bisogni ancora talor operar essi stessi; e tutto questo pur partecipa della azione: ma il fin della vita attiva deve esser la contemplativa, come della guerra la pace, il riposo delle fatiche.

XXVII. Però è ancor officio del buon principe instituire talmente i popoli suoi e con tai leggi ed ordini, che possano vivere nell'ozio e nella pace, senza pericolo e con dignità, e godere laudevolmente questo fine delle sue azioni che deve esser la quiete; perchè sonosi trovate spesso molte republiche e principi, li quali nella guerra sempre sono stati florentissimi e grandi, e subito che hanno avuta la pace sono iti in ruina e hanno perduto la grandezza e 'l splendore, come il ferro non esercitato: e questo non per altro è intervenuto, che per non aver buona instituzion di vivere nella pace, nè saper fruire il bene dell'ozio; e lo star sempre in guerra, senza cercar di pervenire al fine della pace, non è licito: benchè estimano alcuni principi, il loro intento dover esser principalmente il dominare ai suoi vicini, e però nutriscono i popoli in una bellicosa ferità di rapine, d'omicidii e tai cose, e lor danno premii per provocarla, e la chiamano virtù. Onde fu già costume fra i Sciti, che chi non avesse morto un suo nemico non potesse bere ne' conviti solenni alla tazza che si portava intorno alli compagni. In altri lochi s'usava indrizzare intorno il sepolcro tanti obelisci, quanti nemici avea morti quello che era sepolto; e tutte queste cose ed altre simili si faceano per far gli uomini bellicosi, solamente per dominare agli altri: il che era quasi impossibile, per esser impresa infinita, insino a tanto che non s'avesse subjugato tutto 'l mondo; e poco ragionevole, secondo la legge della natura, la qual non vuole che negli altri a noi piaccia quello che in noi stessi ci dispiace. Però debbon i principi far i popoli bellicosi non per cupidità di dominare, ma per poter difendere sè stessi e li medesimi popoli da chi volesse ridurgli in servitù, ovver fargli ingiuria in parte alcuna; ovver per discacciar i tiranni, governar bene quei popoli che fossero mal trattati, ovvero per ridurre in servitù quelli che fossero tali da natura, che meritassero esser fatti servi, con intenzione di governargli bene e dar loro l'ozio e 'l riposo e la pace: ed a questo fine ancora debbono essere indrizzate le leggi e tutti gli ordini della giustizia, col punir i mali, non per odio, ma perchè non siano mali ed acciò che non impediscano la tranquillità dei buoni; perchè in vero è cosa enorme

e degna di biasimo, nella guerra, che in sè è mala, mostrarsi gli uomini valorosi e savii; e nella pace e quiete, che è buona, mostrarsi ignoranti e tanto da poco, che non sappiano godere il bene. Come adunque nella guerra debbono ntender i popoli nelle virtù utili e necessarie per conseguirne il fine, che è la pace; cosi nella pace, per conseguirne ancor il suo fine, che è la tranquillità, debbono intendere nelle oneste, le quali sono il fine delle utili: ed in tal modo li sudditi saranno buoni, e'l principe arà molto più da laudare e premiare che da castigare; e'l dominio per li sudditi e per lo principe sarà felicissimo, non imperioso, come di padrone al servo, ma dolce e placido, come di buon padre a buon figliolo. —

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XXVIII. Allor il signor GASPAR, Volentieri, disse, saprei quali sono queste virtù utili e necessarie nella guerra, quali le oneste nella pace. Rispose il signor OTTAVIANO: Tutte son buone e giovevoli, perchè tendono a buon fine; pur nella guerra precipuamente val quella vera fortezza, che fa l'animo esento dalle passioni, talmente che non solo non teme li pericoli, ma pur non li cura; medesimamente la costanza, e quella pazienza tolerante, con l'animo saldo ed imperturbato a tutte le percosse di fortuna. Conviensi ancora nella guerra e sempre aver tutte le virtù che tendono all'onesto, come la giustizia, la continenza, la temperanza; ma molto più nella pace e nell'ozio, perchè spesso gli uomini posti nella prosperità e nell'ozio, quando la fortuna seconda loro arride, divengono ingiusti, intemperati, e lasciansi corrompere dai piaceri: però quelli che sono in tale stato hanno grandissimo bisogno di queste virtù, perchè l'ozio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani. Onde anticamente si diceva in proverbio, che ai servi non si dee dar ozio; e credesi che le Piramidi d'Egitto fossero fatte per tener i popoli in esercizio, perchè ad ognuno lo essere assueto a tolerar fatiche è utilissimo. Sono ancor molte altre virtù tutte giovevoli, ma basti per or l' aver detto insin qui; chè s' io sapessi insegnar al mio principe, ed instituirlo di tale e cosi virtuosa educazione come avemo disegnata, facendolo, senza più mi crederei assai bene aver conseguito il fine del buon Cortegiano. —

XXIX. Allor il signor GASPAR, Signor Ottaviano, disse, perchè molto avete laudato la buona educazione, e mostrato quasi di credere che questa sia principal causa di far l'uomo virtuoso e buono, vorrei sapere se quella instituzione che ha da far il Cortegiano nel suo principe deve esser cominciata dalla consuetudine, e quasi dai costumi cotidiani, li quali, senza che esso se ne avvegga, lo assuefacciano al ben fare; o se pur se gli deve dar principio col mostrargli con ragione la qualità del bene e del male, e con fargli conoscere, prima che si metta in cammino, qual sia la buona via e da seguitare, e quale la mala e da fuggire: in somma, se in quell'animo si deve prima introdurre e fondar le virtù con la ragione ed intelligenza, ovver con la consuetudine. Disse il signor OTTAVIANO: Voi mi mettete in troppo lungo ragionamento; pur acciò che non vi paja ch' io manchi per non voler rispondere alle dimande vostre, dico, che secondo che l'animo e 'l corpo in noi sono due cose, cosi ancora l'anima è divisa in due parti, delle quali l'una ha in sè la ragione, l'altra l'appetito. Come adunque nella generazione il corpo precede l'anima, cosi la parte irrazionale dell'anima precede la razionale: il che si comprende chiaramente nei fanciulli, ne'quali quasi subito che son nati si vedeno l'ira e la concupiscenza, ma poi con spazio di tempo appare la ragione. Però devesi prima pigliare cura del corpo che dell'anima, poi prima dell'appetito che della ragione; ma la cura del corpo per rispetto dell'anima, e dell'appetito per rispetto della ragione: chè secondo che la virtù intellettiva si fa perfetta con la dottrina, cosi la morale si fa con la consuetudine. Devesi adunque far prima la erudizione con la consuetudine, la qual può governare gli appetiti non ancora capaci di ragione, e con quel buon uso indrizzargli al bene; poi stabilirgli con la intelligenza, la quale benchè più tardi mostri il suo lume, pur då modo di fruir più perfettamente le virtù a chi ha bene instituito l'animo dai costumi, nei quali, al parer mio, consiste il tutto.

XXX. Disse il signor GASPAR: Prima che passiate più avanti, vorrei saper che cura si deve aver del corpo, perchè avete detto che prima devemo averla di quello che dell'ani

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Dimandatene, rispose il signor OTTAVIANO ridendo, a questi, che lo nutriscon bene e son grassi e freschi; che 'l mio, come vedete, non è troppo ben curato. Pur ancora di questo si poria dir largamente, come del tempo conveniente del maritarsi, acciò che i figlioli non fossero troppo vicini nè troppo lontani alla età paterna; degli esercizii e della educazione subito che sono nati e nel resto della età, per fargli ben disposti, prosperosi e gagliardi. - Rispose il signor GASPAR: Quello che più piaceria alle donne per far i figlioli ben disposti e belli, secondo me saria quella communità che d'esse vuol Platone nella sua Republica, e di quel modo. Allora la signora EMILIA ridendo, Non è ne'patti, disse, che ritorniate a dir mal delle donne. - Io, rispose il signor GASPAR, mi presumo dar lor gran laude, dicendo che desiderino che s' introduca un costume approvato da un tanto uomo. - Disse ridendo messer CESARE GONZAGA: Veggiamo se tra li documenti del signor Ottaviano, che non so se per ancora gli abbia detti tutti, questo potesse aver loco, e se ben fosse che 'l principe ne facesse una legge. Quelli pochi ch'io ho detti, rispose il signor OTTAVIANO, forse porian bastare per far un principe buono, come posson esser quelli che si usano oggidi; benchè chi volesse veder la cosa più minutamente, averia ancora molto più che dire. — Soggiunse la signora DuCHESSA: Poichè non ci costa altro che parole, dichiarateci, per vostra fè, tutto quello che v'occorreria in animo da insegnar al vostro principe.·

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XXXI. Rispose il signor OTTAVIANO: Molte altre cose, Signora, gl'insegnarei, pur ch'io le sapessi; e tra l'altre, che dei suoi sudditi eleggesse un numero di gentiluomini e dei più nobili e savii, coi quali consultasse ogni cosa, e loro desse autorità e libera licenza, che del tutto senza risguardo dir gli potessero il parer loro; e con essi tenesse tal maniera, che tutti s'accorgessero che d'ogni cosa saper volesse la verità, ed avesse in odio ogni bugia; ed oltre a questo consiglio de'nobili, ricordarei che fossero eletti tra 'l popolo altri di minor grado, dei quali si facesse un consiglio popolare, che communicasse col consiglio de' nobili le occorrenze della città appartenenti al publico ed al privato: ed in tal modo si

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