Immagini della pagina
PDF
ePub

zii più che mediocremente esperto, penso che debba lasciar gli altri da canto; come volteggiar in terra, andar in su la corda, e tai cose, che quasi hanno del giocolare, e poco sono a gentiluomo convenienti. Ma, perchè sempre non si può versar tra queste così faticose operazioni, oltra che ancor la assiduità sazia molto e leva quella ammirazione che si piglia delle cose rare, bisogna sempre variar con diverse azioni la vita nostra. Però voglio che 'l Cortegiano discenda qualche volta a più riposati e placidi esercizii, e per schivar la invidia e per intertenersi piacevolmente con ognuno, faccia tutto quello che gli altri fanno, non s'allontanando però mai dai laudevoli atti, e governandosi con quel buon giudicio che non lo lasci incorrere in alcuna sciocchezza; ma rida, scherzi, motteggi, balli e danzi, nientedimeno con tal maniera, che sempre mostri esser ingenioso e discreto, ed in ogni cosa che faccia o dica sia aggraziato.

XXIII. Certo, disse allor messer CESARE GONZAGA, non si dovria già impedir il corso di questo ragionamento; ma se io tacessi, non satisfarei alla libertà ch' io ho di parlare, nè al desiderio di saper una cosa: e siami perdonato s'io, avendo a contradire, dimanderò; perchè questo credo che mi sia licito, per esempio del nostro messer Bernardo, il qual, per troppo voglia d'esser tenuto bell'uomo, ha contrafatto alle leggi del nostro gioco, domandando, e non contradicendo. Vedete, disse allora la signora DUCHESSA, come da un error solo molti ne procedono. Però chi falla, e dà mal esempio, come messer Bernardo, non solamente merita esser punito del suo fallo, ma ancor dell'altrui. Rispose allora messer CESARE: Dunque io, Signora, sarò esente di pena, avendo messer Bernardo ad esser punito del suo e del mio errore.

[ocr errors]

Anzi, disse la signora DUCHESSA, tutti dui devete aver doppio castigo: esso del suo fallo, e dello aver indutto voi a fallire; voi del vostro fallo, e dello aver imitato chi falliva.Signora, rispose messer CESARE, io fin qui non ho fallito; però, per lasciar tutta questa punizione a messer Bernardo solo, tacerommi. — E già si taceva; quando la signora EMILIA ridendo, Dite ciò che vi piace, rispose, chè, con licenza però della signora Duchessa, io perdono a chi ha fallito e a

[ocr errors]

Soggiunse la signora DUCHES

chi fallirà in cosi piccol fallo. SA: lo son contenta: ma abbiate cura che non v'inganniate, pensando forse meritar più con l'esser clemente che con l'esser giusta; perchè, perdonando troppo a chi falla, si fa ingiuria a chi non falla. Pur non voglio che la mia austerità, per ora, accusando la indulgenza vostra, sia causa che noi perdiamo d'udir questa domanda di messer Cesare. — Cosi esso, essendogli fatto segno dalla signora Duchessa e dalla signora Emilia, subito disse:

XXIV. Se ben tengo a memoria, parmi, signor Conte, che voi questa sera più volte abbiate replicato, che 'l Cortegiano ha da compagnar l'operazion sue, i gesti, gli abiti, in somma ogni suo movimento con la grazia; e questo mi par che mettiate per un condimento d'ogni cosa, senza il quale tutte l'altre proprietà e buone condizioni siano di poco valore. E veramente credo io, che ognun facilmente in ciò si lasciarebbe persuadere, perchè, per la forza del vocabolo, si può dir che chi ha grazia, quello è grato. Ma perchè voi diceste, questo spesse volte esser don della natura e de' cieli, ed ancor quando non è così perfetto potersi con studio e fatica far molto maggiore: quegli che nascono così avventurosi e tanto ricchi di tal tesoro come alcuni che ne veggiamo, a me par che in ciò abbiano poco bisogno d'altro maestro; perchè quel benigno favor del cielo quasi al suo dispetto i guida più alto che essi non desiderano, e fagli non solamente grati ma ammirabili a tutto il mondo. Però di questo non ragiono, non essendo in poter nostro per noi medesimi l'acquistarlo. Ma quegli che da natura hanno tanto solamente, che son atti a poter essere aggraziati aggiugnendovi fatica, industria e studio, desidero io di saper con qual'arte, con qual disciplina e con qual modo possono acquistar questa grazia, cosi negli esercizii del corpo, nei quali voi estimate che sia tanto necessaria, come ancor in ogni altra cosa che si faccia o dica. Però, secondo che col laudarci molto questa qualità a tutti avete, credo, generato una ardente sete di conseguirla, per lo carico dalla signora Emilia impóstovi siete ancor, insegnarci, obligato ad estinguerla. -

con lo

XXV. Obligato non son io, disse il CONTE, ad insegnarvi

a diventar aggraziati, nè altro; ma solamente a dimostrarvi qual abbia ad essere un perfetto Cortegiano. Nè io già pigliarei impresa di insegnarvi questa perfezione; massimamente avendo poco fa detto che 'l Cortegiano abbia da saper lottare e volteggiare, e tant'altre cose, le quali come io sapessi insegnarvi, non le avendo mai imparate, so che tutti lo conoscete. Basta che si come un buon soldato sa dire al fabro di che foggia e garbo e bontà hanno ad esser l'arme, nè però gli sa insegnar a farle, nè come le martelli o tempri; cosi io forse vi saprò dir qual abbia ad esser un perfetto Cortegiano, ma non insegnarvi come abbiate a fare per divenirne. Pur per satisfare ancor quanto è in poter mio alla domanda vostra, benchè e' sia quasi in proverbio, che la grazia non s'impari: dico, che chi ha da esser aggraziato negli esercizii corporali, presupponendo prima che da natura non sia inabile, dee cominciar per tempo, ed imparar i principii da ottimi maestri; la qual cosa quanto paresse a Filippo re di Macedonia importante, si può comprendere, avendo voluto che Aristotele, tanto famoso filosofo e forse il maggior che sia stato al mondo mai, fosse quello che insegnasse i primi elementi delle lettere ad Alessandro suo figliolo. E degli uomini che noi oggidi conoscemo, considerate come bene ed aggraziatamente fa il signor Galeazzo Sanseverino gran scudiero di Francia tutti gli esercizii del corpo; e questo perchè, oltre alla natural disposizione ch'egli tiene della persona, ha posto ogni studio d'imparare da buon maestri, ed aver sempre presso di sè uomini eccellenti, e da ognun pigliar il meglio di ciò che sapevano: chè siccome del lottare, volteggiare, e maneggiar molte sorti d'armi, ha tenuto per guida il nostro messer Pietro Monte, il qual, come sapete, è il vero e solo maestro d'ogni artificiosa forza e leggerezza, cosi del cavalcare, giostrare, e qualsivoglia altra cosa, ha sempre avuto inanzi agli occhi i più perfetti che in quelle professioni siano stati conosciuti.

XXVI. Chi adunque vorrà esser buon discepolo, oltre al far le cose bene, sempre ha da metter ogni diligenza per assimigliarsi al maestro, e se possibil fosse, trasformarsi in lui. E quando già si sente aver fatto profitto, giova molto ve

[ocr errors][merged small][merged small]

bee

der diversi uomini di tal professione, e, governandosi con quel buon giudicio che sempre gli ha da esser guida, andar scegliendo or da un or da un altro varie cose. E come la pecchia ne' verdi prati sempre tra l'erbe va carpendo i fiori, cosi il nostro Cortegiano averà da rubare questa grazia da que' che a lui parerà che la tenghino, e da ciascun quella parte che più sarà laudevole; e non far come un amico nostro, che voi tutti conoscete, che si pensava esser molto simile al re Ferrando minore d'Aragona, nè in altro avea posto cura d'imitarlo, che nel spesso alzar il capo, torzendo una parte della bocca, il qual costume il re avea contratto cosi da infirmità. E di questi, molti si ritrovano, che pensan far assai, pur che sian simili ad un grand' uomo in qualche cosa; e spesso si appigliano a quella che in colui è sola viziosa. Ma avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l'hanno, trovo una regola universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcuna altra: e ciò è fuggir quanto più si può, e come un aspe- ! rissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, e dimostri, ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perchè delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficoltà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario, il sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, då somma disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia. Però si può dir quella esser vera arte, che non appare esser arte; nè più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perchè se è scoperta, leva in tutto il credito, e fa l'uomo poco estimato. E ricórdomi io già aver letto, esser stati alcuni antichi oratori eccellentissimi, i quali, tra l'altre loro industrie, sforzavansi di far credere ad ognuno, sè non aver notizia alcuna di lettere; e, dissimulando il sapere, mostravan le loro orazioni esser fatte semplicissimamente, e piuttosto secondo che loro porgea la natura e la verità, che lo studio e l'arte: la qual se fosse stata conosciuta, aría dato dubio negli animi

del popolo di non dover esser da quella ingannati. Vedete adunque come il mostrar l'arte, ed un cosi intento studio, levi la grazia d'ogni cosa. Qual di voi è che non rida, quando il nostro messer Pierpaolo danza alla foggia sua, con que’saltetti e gambe stirate in punta di piede, senza mover la testa, come se tutto fosse un legno, con tanta attenzione, che di certo pare che vada numerando i passi? Qual occhio è cosi cieco, che non vegga in questo la disgrazia della affettazione? e la grazia in molti uomini e donne che sono qui presenti, di quella sprezzata disinvoltura (chè nei movimenti del corpo molti cosi la chiamano), con un parlar o ridere o adattarsi, mostrando non estimar e pensar più ad ogni altra cosa che a quello, per far credere a chi vede quasi di non saper nè poter errare?

[ocr errors]

XXVII. Quivi non aspettando, messer BERNARDO BIBIENA disse: Eccovi che messer Roberto nostro ha pur trovato chi lauderà la foggia del suo danzare, poichè tutti voi altri pare che non ne facciate caso; chè se questa eccellenza consiste nella sprezzatura, e mostrar di non estimare, e pensar più ad ogni altra cosa che a quello che si fa, messer Roberto nel danzare non ha pari al mondo; chè per mostrar ben di non pensarvi, si lascia cader la roba spesso dalle spalle e le pantoffole de' piedi, e senza raccôrre nè l'uno nè l'altro, tuttavia danza. Rispose allor il CONTE: Poichè voi volete pur ch'io dica, dirò ancor de'vizii nostri. Non v'accorgete che questo, che voi in messer Roberto chiamate sprezzatura, è vera affettazione? perchè chiaramente si conosce che esso si sforza con ogni studio mostrar di non pensarvi: e questo è il pensarvi troppo; e perchè passa certi termini di mediocrità, quella sprezzatura è affettata e sta male; ed è una cosa che appunto riesce al contrario del suo presupposito, cioè di nasconder l'arte. Però non estimo io che minor vizio della affettazion sia nella sprezzatura, la quale in sè è laudevole, lasciarsi cadere tei panni da dosso, che nella attillatura, che pur medesimamente da sè è laudevole, il portar il capo cosi fermo per paura di non guastarsi la zazzera, o tener nel fondo della berretta il specchio, e 'l pettine nella manica, ed aver sempre drieto il paggio per le strade con la sponga e la scopet

[ocr errors]
« IndietroContinua »