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da, acciò che messer Federico non abbia escusazione alcuna di non dir ciò che sa, credo che sia buono differire il resto del ragionamento a domani; e questo poco tempo che ci avanza si dispensi in qualche altro piacer senza ambizione. - Cosi confermando ognuno, impose la signora Duchessa a madonna Margherita e madonna Costanza Fregosa, che danzassero. Onde subito Barletta, musico piacevolissimo e danzator eccellente, che sempre tutta la corte teneva in festa, cominciò a sonare suoi instrumenti; ed esse, presesi per mano, ed avendo prima danzato una bassa, ballarono una roegarze con estrema grazia, e singolar piacer di chi le vide; poi, perchè già era passata gran pezza della notte, la signora Duchessa si levò in piedi: e così ognuno reverentemente presa licenza, se ne andarono a dormire.

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IL SECONDO LIBRO DEL CORTEGIANO

DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE

A MESSER ALFONSO ARIOSTO.

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I. Non senza maraviglia ho piu voite considerato, onue nasca un errore, il quale, perciò che universalmente ne'vecchi si vede, creder si può che ad essi sia proprio e naturale: e questo è, che quasi tutti laudano i tempi passati e biasimano i presenti, vituperando le azioni e i modi nostri e tutto quello che essi nella lor gioventù non facevano; affermando ancor, ogni buon costume e buona maniera di vivere, ogni virtù, in somma ogni cosa, andar sempre di mal in peggio. E veramente par cosa molto aliena dalla ragione e degna di maraviglia, che la età matura, la qual con la lunga esperienza suol far nel resto il giudicio degli uomini più perfetto, in questo lo corrompa tanto, che non si avveggano, che se 'l mondo sempre andasse peggiorando, e che i padri fossero generalmente migliori che i figlioli, molto prima che ora saremmo giunti a quell' ultimo grado di male, che peggiorar non può. E pur vedemo, che non solamente ai di nostri, ma ancor nei tempi passati, fu sempre questo vizio peculiar di quella età; il che per le scritture di molti autori antichissimi chiaro si comprende, e massimamente dei Comici, i quali più che gli altri esprimeno la imagine della vita umana. La causa adunque di questa falsa opinione nei vecchi estimo io per me ch' ella sia, perchè gli anni fuggendo se ne portan seco molte commodità, e tra l'altre levano dal sangue gran parte degli spiriti vitali; onde la complession si

muta, e divengon debili gli organi, per i quali l'anima opera le sue virtù. Però dei cori nostri in quel tempo, come allo autunno le foglie degli alberi, caggiono i soavi fiori di contento, e nel loco dei sereni e chiari pensieri entra la nubilosa e torbida tristizia, di mille calamità compagnata; di modo che non solamente il corpo, ma l'animo ancora è infermo; nè dei passati piaceri riserva altro che una tenace memoria, e la imagine di quel caro tempo della tenera età, nella quale quando ci ritrovamo, ci pare che sempre il cielo e la terra ed ogni cosa faccia festa e rida intorno agli occhi nostri, e nel pensiero, come in un delizioso e vago giardino, fiorisca la dolce primavera d'allegrezza. Onde forse saria utile, quando già nella fredda stagione comincia il sole della nostra vita, spogliandoci di quei piaceri, andarsene verso l'occaso, perdere insieme con essi ancor la loro memoria, e trovar, come disse Temistocle, un'arte che a scordar insegnasse; perchè tanto sono fallaci i sensi del corpo nostro, che spesso ingannano ancora il giudicio della mente. Però parmi che i vecchi siano alla condizion di quelli, che partendosi dal porto tengon gli occhi in terra, e par loro che la nave stia ferma e la riva si parta, e pur è il contrario; chè il porto, e medesimamente il tempo ed i piaceri, restano nel suo stato, e noi con la nave della mortalità fuggendo n'andiamo l'un dopo l'altro per quel procelloso mare che ogni cosa assorbe e devora, nè mai più ripigliar terra ci è concesso, anzi, sempre da contrarii venti combattuti, al fine in qualche scoglio la nave rompemo. Per esser adunque l'animo senile subjetto disproporzionato a molti piaceri, gustar non gli può; e come ai febricitanti, quando dai vapori corrotti hanno il palato guasto, pajono tutti i vini amarissimi, benchè preziosi e delicati siano: cosi ai vecchi per la loro indisposizione, alla qual però non manca il desiderio, pajon i piaceri insipidi e freddi, e molto differenti da quelli che già provati aver si ricordano, benchè i piaceri in sè siano i medesimi; però, sentendosene privi, si dolgono, e biasimano il tempo presente come malo, non discernendo che quella mutazione da sè e non dal tempo procede; e, per contrario, recandosi a memoria i passati piaceri, si arrecano ancor il tempo nel

quale avuti gli hanno, e però lo laudano come buono, perchè pare che seco porti un odore di quello che in esso sentiano quando era presente; perchè in effetto gli animi nostri hanno in odio tutte le cose che state sono compagne de' nostri dispiaceri, ed amano quelle che state sono compagne dei piaceri. Onde accade, che ad uno amante è carissimo talor vedere una finestra, benchè chiusa, perchè alcuna volta quivi arà avuto grazia di contemplar la sua donna; medesimamente, vedere uno anello, una lettera, un giardino o altro loco o qualsivoglia cosa, che gli paja esser stata consapevol testimonio de' suoi piaceri; e, per lo contrario, spesso una camera ornatissima e bella sarà nojosa a chi dentro vi sia stato prigione, o patito v' abbia qualche altro dispiacere. Ed ho già io conosciuto alcuni, che mai non beveriano in un vaso simile a quello, nel quale già avessero, essendo infermi, preso bevanda medicinale; perchè, cosi come quella finestra, o l'anello o la lettera, all' uno rappresenta la dolce memoria che tanto gli diletta, per parergli che quella già fosse una parte de' suoi piaceri: così all'altro la camera o 'l vaso par che insieme con la memoria rapporti la infermità o la prigionia. Questa medesima cagion credo che mova i vecchi a laudare il passato tempo, e biasimar il presente.

II. Però come del resto, cosi parlano ancor delle corti, affermando, quelle di che essi hanno memoria esser state molto più eccellenti e piene d'uomini singolari, che non son quelle che oggidi veggiamo; e subito che occorrono tai ragionamenti, cominciano ad estollere con infinite laudi i Cortegiani del duca Filippo, ovvero del duca Borso; e narrano i detti di Nicolò Piccinino; e ricordano che in quei tempi non si saria trovato, se non rarissime volte, che si fosse fatto un omicidio; e che non erano combattimenti, non insidie, non inganni, ma una certa bontà fedele ed amorevole tra tutti, una sicurtà leale; e che nelle corti allor regnavano tanti buoni costumi, tanta onestà, che i Cortegiani tutti erano come religiosi; e guai a quello che avesse detto una mala parola all' altro, o fatto pur un segno men che onesto verso una donna: e per lo contrario dicono, in questi tempi esser

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tutto l' opposito; e che non solamente tra i Cortegiani è perduto quell' amor fraterno e quel viver costumato, ma che neile corti non regnano altro che invidie e malivolenze, mali costumi, e dissolutissima vita in ogni sorte di vizii; le donne lascive senza vergogna, gli uomini effeminati. Dannano ancora i vestimenti, come disonesti e troppo molli. In somma riprendono infinite cose, tra le quali molte veramente meritano riprensione, perchè non si può dir che tra noi non siano molti mali uomini e scelerati, e che questa età nostra non sia assai più copiosa di vizii, che quella che essi laudano. Parmi ben che mal discernano la causa di questa differenza, e che siano sciocchi; perchè vorriano che al mondo fossero tutti i beni senza male alcuno; il che è impossibile; perchè essendo il mal contrario al bene, e 'l bene al male, è quasi necessario che per la opposizione e per un certo contrapeso l'un sostenga e fortifichi l'altro, e mancando o crescendo l'uno cosi manchi o cresca l'altro, perchè niuno contrario è senza l'altro suo contrario. Chi non sa che al mondo non saria la giustizia, se non fossero le ingiurie? la magnanimità, se non fossero li pusillanimi? la continenza, se non fosse la incontinenza? la sanità, se non fosse la infermità? la verità, se non fosse la bugia? la felicità, se non fossero le disgrazie? Però ben dice Socrate appresso Platone, maravigliarsi che Esopo non abbia fatto uno apologo, nel quale finga, Dio, poichè non avea mai potuto unire il piacere e'l dispiacere insieme, avergli attaccati con la estremità, di modo che 'l principio dell'uno sia il fin dell' altro; perchè vedemo, niuno piacer poterci mai esser grato, se 'l dispiacere non gli precede. Chi può aver caro il riposo, se prima non ha sentito l'affanno della stracchezza? chi gusta il mangiare, il bere e 'l dormire, se prima non ha patito fame, sete e sonno? Credo io adunque, che le passioni e le infermità sian date dalla natura agli uomini non principalmente per fargli soggetti ad esse, perchè non par conveniente, che quella che è madre d'ogni bene dovesse di suo proprio consiglio determinato darci tanti mali; ma facendo la natura la sanità, il piacere e gli altri beni, conseguentemente dietro a questi furono congiunte le infermità, i dispiaceri e gli altri mali. Però, essendo le virtù

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