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state al mondo concesse per grazia e don della natura, subito i vizii, per quella concatenata contrarietà, necessariamente le furono compagni; di modo che sempre, crescendo o mancando l'uno, forza è che cosi l'altro cresca o manchi.

III. Però quando i nostri vecchi laudano le corti passate, perchè non aveano gli uomini cosi viziosi come alcuni che hanno le nostre, non conoscono che quelle ancor non gli aveano così virtuosi come alcuni che hanno le nostre; il che non è maraviglia: perchè niun male è tanto malo, quanto quello che nasce dal seme corrotto del bene; e però producendo adesso la natura molto miglior ingegni che non facea allora, si come quelli che si voltano al bene fanno molto meglio che non facean quelli suoi, così ancor quelli che si voltano al male fanno molto peggio. Non è adunque da dire, che quelli che restavano di far male per non saperlo fare, meritassero in quel caso laude alcuna; perchè avvenga che facessero poco male, faceano però il peggio che sapeano. E che gli ingegni di que'tempi fossero generalmente molto inferiori a que' che son ora, assai si può conoscere da tutto quello che d'essi si vede, cosi nelle lettere, come nelle pitture, statue, edificii, ed ogni altra cosa. Biasimano ancor questi vecchi in noi molte cose che in sè non sono nè buone nè male, solamente perchè essi non le faceano; e dicono, non convenirsi ai giovani passeggiar per le città a cavallo, massimamente nelle mule; portar fodre di pelle, nè robe lunghe nel verno; portar berretta, finchè almeno, non sia l'uomo giunto a diciotto anni, ed altre tai cose: di che veramente s'ingannano; perchè questi costumi, oltra che sian commodi ed utili, son dalla consuetudine introdotti, ed universalmente piacciono, come allor piacea l'andar in giornea con le calze aperte e scarpette pulite, e, per esser galante, portar tutto di un sparvieri in pugno senza proposito, e ballar senza toccar la man della donna, ed usar molti altri modi, i quali, come or sariano goffissimi, allor erano prezzati assai. Però sia licito ancor a noi seguitar la consuetudine de' nostri tempi, senza esser calunniati da questi vecchi, i quali spesso, volendosi laudare, dicono: Io aveva vent'anni, che ancor dormiva con mia madre e mie sorelle, nè seppi ivi a

gran tempo che cosa fossero donne; ed ora i fanciulli non hanno appena asciutto il capo, che sanno più malizie che in que'tempi non sapeano gli uomini fatti: nè si avveggono, che dicendo così, confermano i nostri fanciulli aver più ingegno, che non aveano i loro vecchi. Cessino adunque di biasimare i tempi nostri, come pieni di vizii, perchè levando quelli, levariano ancora le virtù; e ricordinsi, che tra i buoni antichi, nel tempo che fiorivano al mondo quegli animi gloriosi e veramente divini in ogni virtù, e gli ingegni più che umani, trovavansi ancor molti sceleratissimi; i quali, se vivessero, tanto sariano tra i nostri mali eccellenti nel male, quanto que' buoni nel bene: e di ciò fanno piena fede tutte le istorie.

IV. Ma a questi vecchi penso che omai a bastanza sia risposto. Però lasciaremo questo discorso, forse ormai troppo diffuso, ma non in tutto fuor di proposito; e bastandoci aver dimostrato, le corti de' nostri tempi non esser di minor laude degne che quelle che tanto laudano i vecchi, attenderemo ai ragionamenti avuti sopra il Cortegiano, per i quali assai facilmente comprender si può, in che grado tra l'altre corti fosse quella d'Urbino, e quale era quel Principe e quella Signora a cui servivano cosi nobili spiriti, e come fortunati si poteano dir tutti quelli, che in tal commercio viveano.

V. Venuto adunque il seguente giorno, tra i cavalieri e le donne della corte furono molti e diversi ragionamenti sopra la disputazion della precedente sera; il che in gran parte nasceva perchè il signor Prefetto, avido di sapere ciò che detto s'era, quasi ad ognun ne dimandava, e, come suol sempre intervenire, variamente gli era risposto; però che alcuni laudavano una cosa, alcuni un' altra, ed ancor tra molti era discordia della sentenza propria del Conte, chè ad ognuno non erano restate nella memoria cosi compiutamente le cose dette. Però di questo quasi tutto 'l giorno si parlò; e come prima incominciò a farsi notte, volse il signor Prefetto che si mangiasse, e tutti i gentiluomini condusse seco a cena; e subito fornito di mangiare, n' andò alla stanza della signora DUCHESSA; la quale vedendo tanta compagnia, e più per tempo che consueto non era, disse: Gran peso parmi, messer Federico, che sia quello che posto è sopra le spalle vostre,

e grande aspettazion quella a cui corrisponder dovete. Quivi, non aspettando che messer Federico rispondesse: E che gran peso è però questo?- disse l'UNICO ARETINO: Chi è tanto sciocco, che quando sa fare una cosa non la faccia a tempo conveniente?-Cosi di questo parlandosi, ognuno si pose a sedere nel loco o modo usato, con attentissima aspettazion del proposto ragionamento.

VI. Allora messer FEDERICO, rivolto all' Unico, A voi adunque non par, disse, signor Unico, che faticosa parte e gran carico mi sia imposto questa sera, avendo a dimostrare in qual modo e maniera e tempo debba il Cortegiano usar le sue buone condizioni, ed operar quelle cose che già s'è detto convenirsegli? - A me non par gran cosa, rispose l'UNICO; e credo che basti tutto questo, dir che 'l Cortegiano sia di buon giudicio, come jersera ben disse il Conte essere necessario; ed essendo cosi, penso che senza altri precetti debba poter usare quello che egli sa a tempo e con buona maniera: il che volere più minutamente ridurre in regola, saria troppo difficile e forse superfluo; perchè non so qual sia tanto inetto, che volesse venire a maneggiar l'arme quando gli altri fossero nella musica; ovvero andasse per le strade ballando la moresca, avvenga che ottimamente far lo sapesse; ovvero andando a confortar una madre, a cui fosse morto il figliolo, cominciasse a dir piacevolezze e far l' arguto. Certo questo a niun gentiluomo, credo, interverria, che non fosse in tutto pazzo. - A me par, signor Unico, disse quivi messer FEDERICO, che voi andiate troppo in su le estremità: perchè intervien qualche volta esser inetto di modo che non così facilmente si conosce, e gli errori non son tutti pari: e potrà occorrere che l'uomo si astenerà da una sciocchezza publica e troppo chiara, come saria quel che voi dite d'andar ballando la moresca in piazza, e non saprà poi astenersi di laudar sè stesso fuor di proposito, d'usar una prosunzion fastidiosa, di dir talor una parola pensando di far ridere, la qual, per esser detta fuor di tempo, riuscirà fredda e senza grazia alcuna. E spesso questi errori son coperti d'un certo velo, che scorger non gli lascia da chi gli fa, se con diligenza non vi si mira; e benchè per molte cause la vista nostra poco discerna, pur

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sopra tutto per l'ambizione divien tenebrosa: chè ognun volentier si mostra in quello che si persuade di sapere, o vera o falsa che sia quella persuasione. Però il governarsi bene in questo, parmi che consista in una certa prudenza e giudicio di elezione, e conoscere il più e 'l meno che nelle cose si accresce e scema per operarle opportunamente o fuor di stagione. E benchè il Cortegian sia di così buon giudicio che possa discernere queste differenze, non è però che più facile non gli sia conseguir quello che cerca essendogli aperto il pensiero con qualche precetto, e mostratogli le vie e quasi i lochi dove fondar si debba, che se solamente attendesse al generale.

VII. Avendo adunque il Conte jersera con tanta copia e bel modo ragionato della Cortegiania, in me veramente ha mosso non poco timor e dubio di non poter cosi ben satisfare a questa nobil audienza in quello che a me tocca a dire, come esso ha fatto in quello che a lui toccava. Pur per farmi partecipe più ch' io posso della sua laude, ed esser sicuro di non errare almen in questa parte, non gli contradirò in cosa alcuna. Onde, consentendo con le opinioni sue, ed, oltre al resto, circa la nobilità del Cortegiano, e lo ingegno, e la disposizion del corpo e grazia dell'aspetto, dico, che per acquistar laude meritamente e buona estimazione appresso ognuno, e grazia da quei signori ai quali serve, parmi necessario che e' sappia componere tutta la vita sua e valersi delle sue buone qualità universalmente nella conversazion di tutti gli uomini senza acquistarne invidia: il che quanto in sè difficil sia, considerar si può dalla rarità di quelli che a tal termine giunger si veggono; perchè in vero tutti da natura siamo pronti più a biasimar gli errori, che a laudar le cose ben fatte, e par che per una certa innata malignità molti, ancor che chiaramente conoscano il bene, si sforzino con ogni studio ed industria di trovarci dentro o errore, o almen similitudine d'errore. Però è necessario, che 'l nostro Cortegiano in ogni sua operazion sia cauto, e ciò che dice o fa sempre accompagni con prudenza; e non solamente ponga cura d'aver in sè parti e condizioni eccellenti, ma il tenor della vita sua ordini con tal disposizione, che 'l tutto corrisponda a queste parti, e si

vegga il medesimo esser sempre ed in ogni cosa tal che non discordi da sè stesso, ma faccia un corpo solo di tutte queste buone condizioni; di sorte che ogni suo atto risulti e sia composto di tutte le virtù, come dicono i Stoici esser officio di chi è savio: benchè però in ogni operazion sempre una virtù è la principale; ma tutte sono talmente tra sè concatenate, che vanno ad un fine, e ad ogni effetto tutte possono concorrere e servire. Però bisogna che sappia valersene, e per lo paragone e quasi contrarietà dell' una talor far che l'altra sia più chiaramente conosciuta: come i buoni pittori, i quali con l'ombra fanno apparere e mostrano i lumi de' rilievi ; e cosi col lume profondano l'ombre dei piani, e compagnano i colori diversi insieme di modo, che per quella diversità l'uno e l'altro meglio si dimostra, e 'l posar delle figure contrario l'una all' altra le ajuta a far quell' officio che è intenzion del pittore. Onde la mansuetudine è molto maravigliosa in un gentiluomo il qual sia valente e sforzato nell'arme; e come quella fierezza par maggiore accompagnata dalla modestia, cosi la modestia accresce e più compar per la fierezza. Però il parlar poco, il far assai, e 'l non laudar sè stesso delle opere laudevoli, dissimulandole di buon modo, accresce l'una e l'altra virtù in persona che discretamente sappia usar questa maniera; e così intervien di tutte l'altre buone qualità. Voglio adunque che 'l nostro Cortegiano in ciò che egli faccia o dica usi alcune regole universali, le quali io estimo che brevemente contengano tutto quello che a me s'appartiene di dire; e per la prima e più importante, fugga, come ben ricordò il Conte jersera, sopra tutto l'affettazione. Appresso, consideri ben che cosa è quella che egli fa o dice, e 'l loco dove la fa, in presenza di cui, a che tempo, la causa perchè la fa, la età sua, la professione, il fine dove tende, e i mezzi che a quello condur lo possono; e così con queste avvertenze s'accomodi discretamente a tutto quello che fare o dir vuole.-

VIII. Poi che cosi ebbe detto messer Federico, parve che si fermasse un poco. Allor subito, Queste vostre regole, disse il signor MORELLO DA ORTONA, a me par che poco insegnino; ed io per me tanto ne so ora, quanto prima che voi ce le mostraste; benchè mi ricordi ancor qualche altra volta averle

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