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gnuole, e s'informasse meglio dello stato delle cose, per prender poi più esatte deliberazioni.

Dall'altra parte, giunto alla corte di Spagna l'avviso della sollevazione di Messina, fu deliberato che si proseguissero i mezzi per ridurla non men colle armi, che co' trattati d'accordo, mostrando indulgenza e promettendole il perdono. Ma nell'istesso tempo fu risoluto che prima che potessero venire i soccorsi che si temevano di Francia, con tutte le forze di mare (non profittandosi i Messinesi della regal clemenza) si procurasse la sua riduzione. Fu pertanto dalla regina reggente conceduto loro un general perdono, che fu mandato al Baiona, perchè lo pubblicasse in quell'isola ; e comandato al marchese del Viso che ripigliasse il comando delle galee di Spagna, del quale si trovava essersi già fatta mercede all'istesso marehese di Baiona, ch'era suo figliuolo: ordinando parimente così a lui, come a don Melchior della Queva, generale dell'armata, che unitamente si fossero portati con tutte le galee e vascelli ne' mari della Sicilia.

Ma così l'uno, come l'altro mezzo ebbero infelice successo; poichè i Messinesi, insolentiti per i promessi soccorsi di Francia, e vie più resi animosi per alcuni fatti d'arme intanto seguiti con lor vantaggio, rifiutarono il perdono che aveva fatto pubblicare il Baiona in Melazzo; anzi essendo stato mandato dal general delle galee di Malta il capitano don Francesc' Antonio Dattilo, marchese di Santa Catterina, figliuolo del rinomato maestro di campo Roberto Dattilo, a portar loro il perdono, e con sue lettere assicurargli che lo

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avrebbe con buona fede fatto puntualmente valere; essi non solo disprezzarono le insinuazioni, ma fecero prigioniere il marchese, rinchiudendolo in oscuro e stretto carcere.

La corte di Spagna a questi avvisi infelici deliberò mutar governadore in quell'isola, e comandò al marchese di Villafranca che tosto si portasse in Sicilia a governarla, e nell'istesso tempo sollecitava il marchese del Viso e don Melchior della Queva, i quali aveano già unite amendue l'armate nel porto di Barcellona, che sciogliesser presto da quel porto ed accorressero a' bisogni di quel regno. Parti il general de' vascelli nel di 18 settembre di quest'anno 1674; ma il marchese del Viso colle galee, impedito da' venti, non potè partire fino a 18 del seguente mese d'ottobre, nè prima de' 5 di novembre potè giungere in Sardegna nel porto di Cagliari; d'onde col marchese di Villafranca, calmato alquanto il mare, partirono finalmente per la vôlta di Palermo nel di ro di dicembre, dove giunsero con le galee nel dì 12 dello stesso mese. Il nuovo vicerè, avendo preso il possesso in Palermo, si trasferi subito a Melazzo, per assister da vicino alle cose di Messina, dove anche si condusse per mare colle sue galee il marchese del Viso; e facendo notabili progressi, avendo occupata la torre del Faro, si risolsero di stringer Messina, toglierle per mare e per terra ogni adito di ricever soccorsi, e sopra tutto invigilare che non ne fossero introdotti da' Francesi; avendo per tal effetto il general dell'armata col grosso de' suoi vascelli dato fondo nella fossa di San Giovanni, affinchè,

posto con tutti i vascelli a vista della città, si dêsse maggior calore all'impresa.

Ma mentr'eransi in cotal guisa disposte le cose, tal che si sperava tra pochi giorni la riduzione di quella città, s' intese nel di primo di gennaio del nuovo anno 1675 che s'eran scoverti sei vascelli da guerra francesi, che con quattro da fuoco ed alcune tartane venivano per tentar d'introdursi in Messina. Era questa la squadra spedita dal duca di Vivonne, la quale, guidata dal comandante Valbel, uscita poco dianzi da Tolone, veniva per tentare un furtivo soccorso, in congiuntura che l'armata spagnuola per tempesta, o per altra cagione non si fosse trovata in istato di poterlo impedire; nè di questa squadra si era avuta alcuna notizia, poichè tutti gli avvisi parlavano del soccorso reale che si preparava dal duca di Vivonne, il qual ben si conosceva che per doversi apprestare un sì gran numero di vascelli, non avría potuto arrivare se non molto tardi. Giunto il Valbel presso Messina, insospettito d'aver trovata in poter degli Spagnuoli la torre del Faro, ed avuta notizia che la città stava deliberando per rendersi, ancorché avesse potuto il medesimo giorno condursi senz'opposizione in Messina, poichè il vento a lui favorevole impediva in contrario all'armata nemica l'uscir dalla fossa di San Giovanni, non volle però entrare, per tema d'esser tradito da' Messinesi. Ma o che veramente fosse che per i venti contrari l'armata, con tutto che si fosse usata ogni umana industria, non s'avesse potuto condurre in quel tempestoso canale in posto che

avesse potuto impedire il soccorso; o veramente gara di comando fra'generali, o lor negligenza, di che ne furon poi imputati; assicuratosi nel terzo giorno il Valbel dell'ostinazione de' Messinesi, si risolse finalmente d'entrare, passando nel di 3 di gennaio a vista dell' armata nemica, senza che avesse potuto farsegli resistenza.

Il soccorso però che vi fu introdotto non era tale che avesser dovuto gli Spagnuoli disperar dell'impresa. Ma i Messinesi, fattisi più arditi, ed in contrario sorpresi i capi, che guardavano i posti occupati, da soverchio timore, con troppo presta disperazione, senz'aspettare d'essere cacciati dal nemico, gli abbandonarono; con che si perdè l'occasione di poter per allora ridurre la città col terrore dell'armi. Non si abbatterono contuttociò d'animo gli Spagnuoli, prevedendo che, per la scarsezza de' viveri, la città si sarebbe in breve ridotta all' angustia di prima, onde erano tutti intesi che non vi s'introducessero per via di mare. Ma mentr'essi, lusingati da queste speranze, deliberavan de' mezzi, il duca di Vivonne, avvisato del felice successo della sua squadra e dell'ostinazione de' Messinesi, fece concepire al suo sovrano più certe speranze di ridurre quel regno sotto il suo dominio; onde, assunto il titolo di vicerè di Messina ed il comando generale delle galee di quella corona, sciolse dal porto di Tolone con nove navi di guerra, tre da fuoco ed otto di vettovaglie, ed incamminatosi per la vôlta di Messina, pervenne egli in que' mari a' 10 di febbraio. I generali spagnuoli, all'avviso del suo avvicinamento, uniron tutte le loro forze per an

dare ad incontrarlo, siccome fecero, e nella giornata degli 11 si combattè con tanto valore, che la pugna cominciò dalle nove della mattina e si continuò sino alla sera. Ma o fosse lor fatalità, negligenza, o perchè mutossi il vento a favor de' Francesi, furono costrette le lor galee dalla forza del vento a ritirarsi; ond' ebbe campo il Valbel d'uscir dal porto di Messina con altri dodici vascelli, co' quali, posti in mezzo gli Spagnuoli, furono obbligati combattere non più per vittoria, ma per la salute; sin che verso la sera si divisero per la tempesta, con che riuscì a' Francesi il giorno appresso con vento prospero entrar senza contrasto in Messina.

la

Quest' infelici successi portarono ancora, che le galee di Sicilia e di Napoli, conoscendo infruttuosa la lor dimora in que' mari, prendendo il cammino verso Melazzo, ed alcune verso Napoli, per gran tempesta ne naufragassero due nell' acque di Palinuro, ed un'altra se ne sommergesse ne' mari di Maratea. I vascelli dell'armata spagnuola si ritirarono in Napoli per risarcirsi de' danni patiti nella passata battaglia. Perì in quest' ostinata guerra molta gente, che bisognava dal nostro regno riclutarsi; e ciò non bastando, fu d'uopo far venire d'Alemagna quattromila cinquecento Tedeschi, i quali, giunti in Napoli, quasi tutti s'ammalarono, onde bisognò che il vicerè provvedesse loro più d'ospedali che di quartieri; nè per essi e per i soldati dell'armata regale bastando gli spedali della città, bisognò che in Pozzuoli se ne formassero de' nuovi.

La corte di Spagna, all'avviso di si funesti ac

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