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loro studi: prescrive il modo da tenersi nelle dispute e pubbliche conclusioni; i loro esercizi nella rettorica, nella lingua greca, matematica ed anatomia; ed in fine le repetizioni che avran da fare ogni anno a' medesimi i lettori delle letture perpetue.

Queste furono le leggi accademiche che stabili il conte di Lemos per la nostra università degli studi, le quali, partito che fu egli dal governo di Napoli, vedendo il suo successore don Pietro di Giron, duca d'Ossuna, che non erano con quel rigore osservate che ordinato avea il conte, promulgò sotto il 30 novembre del medesimo anno 1616 nuova prammatica, nella quale, inserendo tutte le sopradette leggi, ordinò che quelle inviolabilmente si fossero osservate (1).

La stima che il conte di Lemos teneva per le lettere da lui cotanto favorite, fece sì che a que. sti tempi fiorissero in Napoli molti letterati, e che si rinnovellasse l'istituto dell' accademie, incominciato in tempo di don Pietro di Toledo. Sopra tutte le altre fioriva a questi tempi l'Accademia degli Oziosi; che nacque sotto gli auspicii del cardinal Brancaccio, e che ragunavasi dentro il chiostro del convento di Santa Maria delle Grazie, presso la chiesa di Sant'Agnello, della quale era principe Giambattista Manso, marchese di Villa; ed alle volte in San Domenico Maggiore, nella stanza nella quale, in memoria d'avervi insegnato san Tommaso, è rimasta la cattedra in pie

(I) Prammatica I, de Regim. Stud.

di (1). Si ascrissero a quella, oltre i letterati di questi tempi, molti nobili e signori che avevano buon gusto delle lettere: fra' quali erano don Luigi Carafa, principe di Stigliano; don Luigi di Capua, principe della Riccia; don Filippo Gaetano, duca di Sermoneta; don Carlo Spinelli, principe di Cariati; don Francesco Maria Carafa, duca di Nocera; don Giantommaso di Capua, principe di Rocca Romana; don Giovanni di Capua, don Francesco Brancaccio, don Giambattista Caracciolo, don Cesare Pappacoda, frà Tommaso Carafa dell'ordine de' Predicatori, don Ettore Pignatelli, don Fabrizio Carafa e don Diego Mendozza. Ma il maggior lustro glielo diede il conte istesso di Lemos, il quale sovente in quest'accademia insieme con gli altri andava a leggere le sue composizioni, ed una volta vi recitò una commedia da lui composta, che fu intesa con gran. dissimo plauso (2).

S'ascrissero parimente in quest'accademia quasi tutti i letterati che si riputavano a que' tempi migliori, come il cavalier Giambattista Marini, Giambattista della Porta, Pietro Lasena, Francesco de Petris, il nostro consigliere Scipione Teodoro, Giulio Cesare Capaccio, Ascanio Colelli, Tiberio del Pozzo, Anton-Maria Palomba, Giannandrea di Paulo, Paolo Marchese, Giancamillo Cacace, che fu poi reggente, Colantonio Mamigliola, Ottavio Sbarra e molti altri (3).

(1) Lasena, Ginnasio Napoletano, c I,

(2) Parrino, Teatro de' Vicerè, di don Pietro Fernandez di Castro, conte di Lemos.

(3) Parrino, loco citato.

A questi medesimi tempi nel chiostro di San Pietro a Maiella ne fioriva un'altra, della quale era principe don Francesco Carafa, marchese d'Anzi, e vi s'arrolarono don Tiberio Carafa, principe di Bisignano, monsignor Pier-Luigi Carafa, Giammatteo Ranieri, Ottavio Caputi, Scipione Milano ed alcuni altri (1).

Ma per vizio di quest'età erano professate le lettere non da tutti con quella politezza e candore che si vide da poi verso la fine dello stesso secolo. La nostra giurisprudenza non mutò sembiante, ed i professori così nelle cattedre come nel fôro, de' quali era il numero cresciuto, seguitavano i vestigi de' loro maggiori. La filosofia era ancora ristretta ne' chiostri, dove s'insegnava al lor modo scolastico. La medicina era professata da' Galenici. Lo studio delle lingue, e spezialmente della latina, e l'erudizione era ristretta ne' Gesuiti. La poesia, tutta stravolta e trasformata, era esercitata da stravaganti cervelli; e l'istoria da pochi era trattata con dignità e net

tezza.

Non fu però che, in mezzo a tanti, alcuni nobili spiriti allontanandosi da' comuni sentieri, non calcassero le vere strade, i quali a lungo andare diedero lume a' posteri di seguire le loro pedate; ma a questi tempi essendo pochi e rari, non poterono far argine ad un così ampio ed im petuoso fiume. Rilusse Giambattista della Porta, cotanto noto per le opere che ci lasciò; Pietro Lasena, avvocato ne' nostri tribunali, e letterato di

(1) Parino, loco citato.

profonda erudizione; Fabio Colonna, celebre filosofo e matematico; Mario Schipani, valente medico, e cotanto amico del virtuosissimo viaggiante Pietro della Valle; Costantino Sofia, al quale il Lasena dedicò il suo libro de' Vergati; ed Antonio Arcudio, sacerdote del rito greco, ed arciprete di Soleto nella provincia d'Otranto, professori di lingua greca, amendue maestri del Lasena; e Niccolo-Antonio Stelliola, maestro del famoso M. Aurelio Severino. E se Francesco de Petris diede fuori a questi tempi quella sua sciocca istoria napoletana, ben vi furono alcuni valenti investigatori delle nostre memorie che la derisero, e che diedero saggi ben chiari di quanto sopra lui valessero, fra' quali non deve tralasciarsi qui privo della meritata lode Bartolommeo Chioccarello. Costui, per la testimonianza che a noi ne rende Pietro Lasena (1), che fu suc grande amico, non cedeva ad uomo nelle più laboriose ricerche delle nostre antichità, tanto che s' acquistò il titolo di Can bracco. Egli per lo spazio di quaranta e più anni consumò sua vita in ricercare tutti i regii archivi di questa città: quello della regia Zecca, l'altro grande della regia Camera, e quello dei Quinternioni, ed anche l'altro della regia Cancellaria: vide quasi tutti i protocolli ed atti dei notari antichi di Napoli; le scritture de' monasteri più antichi, e tutti gli archivi de' monasteri famosi e delle città più celebri del regno; donde, per commessione datagli nel 1626 dal duca d'Alba, vicerè, raccolse que' diciotto volumi di scrit

(1) Lasena, Dell'antico Ginnasio Napoletano, c. I.

ture attenenti alla regal giurisdizione: raccolta quanto laboriosa, altretanto gloriosa e degna d'eterna ed immortal memoria, per la quale i sostenitori della regal giurisdizione si fanno scudo e difesa contro le tante intraprese degli ecclesiastici, che non hanno altro scopo che d'abbatterla.

Le costui pedate seguitarono don Ferdinando della Marra, duca della Guardia, e don Camillo Tutini, sacerdote napoletano, celebre ancor egli per le opere che ci lasciò. Se don Francesco Capecelatro, suo coetaneo, avesse proseguito il suo lavoro, certamente avrebbe a noi lasciata una perfetta istoria napoletana. Ed Antonio Caracciolo, cherico Regolare Teatino, diede, ne' suoi libri che ci lasciò, saggi ben chiari quanto sopra questi studi intendesse. S'innalzò poi sopra tutti costoro il famoso Camillo Pellegrino, capuano, il più diligente scrittore ed il più savio ed acuto critico che abbiamo noi delle nostre antichità e delle nostre memorie.

Ma ritornando al conte di Lemos, dopo avere illustrata Napoli con l'innalzamento dell'università degli studi, non tralasciò d'adornarla d'altri edifici. A lui devono i Gesuiti la fondazione del nuovo collegio di San Francesco Saverio. A lui dobbiamo quella grand' opera de' mulini aperti fuori le mura della città presso Porta Nolana; ed a lui deve anche il regno d'aver resi più comodi i viaggi terrestri, con far costruire nuovi ponti. Ma furono interrotte le speranze di ricevere da lui benefizi maggiori, dall'avviso che s'ebbe d'avergli il re Filippo destinato per successore il duca d'Ossuna, che si trovava allora vicerè in Si

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