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cilia. Abbandonò tosto egli il governo del regno, e lasciato don Francesco, suo fratello, in sua vece fino all'arrivo del successore, si parti agli 8 di luglio di quest'anno 1616 alla volta di Spagna, per andare ad esercitare la carica di presidente del supremo Consiglio d'Italia. Ci lasciò ancor egli più di quaranta utili e saggie prammatiche, le quali secondo l'ordine de' tempi s'additano nella tante volte rammentata Cronologia (1).

CAPO IV.

Del governo di don Pietro Giron, duca d'Ossuna, e delle sue spedizioni fatte nell' Adriatico contro i Veneziani, ch' ebbero per lui infelicissimo fine.

Il duca d'Ossuna ne' principi del suo governo mostrò un'applicazione grandissima ed una assiduità indefessa nell'ascoltare e provvedere a' bisogni del regno, usando molto rigore perchè la giustizia fosse, senz' accezione di persone, rettamente amministrata, e nell' istesso tempo somma magnificenza e liberalità per cattivarsi universale applauso e benevolenza: per cattivarsi quella del popolo fece togliere due gabelle, poco prima per certo determinato tempo imposte; e per quietare la corte di Spagna, insospettita di ciò, diede a credere che ciò notabilmente avrebbe giovato al patrimonio regale, ed alleggeriti i sudditi, e resigli più abili a soffrire le imposi zioni; e per confermare questi concetti con le

(1) Parrino, loco citato.

opere, sollecitò un donativo dal regno d'un milione e dugentomila ducati, che mandò a presentare al re per i bisogni della corona (1).

la

Ma una nuova guerra accesa in Italia per morte di Francesco Gonzaga, duca di Mantova, della quale il cavalier Battista Nani (2) distesamente notò i successi e le cagioni, intrigò il duca d'Ossuna in cose più difficili e gravi. Per le cagioni rapportate da questo scrittore, Filippo III fu indotto ad entrarvi, e ad opporsi al duca di Savoia, al quale con sopraciglio spagnuolo imperiosamente avea comandato che restituisse tutto l'occupato in Monferrato. I Veneziani, all'incontro, favorivano il duca con forze e danari, onde nacquero i disgusti tra la corte di Spagna con quella repubblica. S'aggiunse ancora, che al re Filippo, essendosi il senato veneto per cagion degli Uscocchi disgustato coll' arciduca Ferdinando, fu duopo assistere all'arciduca, cotanto a lui stretto di parentela, e di sovvenirlo. Ma non perciò s'era fra la repubblica ed il re dichiarata aperta guerra, ne' licenziati dalle loro corti gli

ambasciadori.

Il duca d'Ossuna però, secondando il genio degli Spagnuoli che pubblicavano di voler movere apertamente le loro truppe contra Veneziani, nell'istesso tempo che il cardinal Borgia procurava in Roma concitargli contra il pontefice, non tralasciò quest'occasione d' ubbidire insieme a' comandi della corte di Madrid, e di soddisfare il

(1) Parrino, Teatro de' Vicerè, del duca di Ossuna. (2) Nani, Istoria Veneta, lib. I.

suo animo, che tenne sempre avverso a' Veneziani; e per opporsi al duca di Savoia per la guerra del Monferrato, spedi al governador di Milano replicati soccorsi, mandandovi quattro compagnie di cavalli leggieri e sedici d'uomini d'arme sotto la scorta di don Camillo Caracciolo, principe di Avellino, e secento corazze comandate da don Marzio Carafa, duca di Madda. loni; e per l'altra guerra che per cagion degli Uscocchi si faceva dalla Repubblica agli Stati dell' arciduca, armava vascelli per infestare l'Adria-tico, parte alla Repubblica sommamente gelosa. Sapeva l'Ossuna che non poteva più nel vivo toccare i Veneziani, che col turbare il dominio ch'essi vantano del mare Adriatico, infestare il commercio e rompere il traffico, ancorchè da ciò ne dovessero ricevere danno i sudditi stessi del regno che tenevano opulente negozio nella città di Venezia. Perciò fu tutto inteso non tanto a raccogliere milizie per soccorrere il Milanese, quanto d'armar vascelli per molestare i Veneziani; onde, rotta la sicurtà de' porti, rappresagliò la nave di Pellegrino de' Rossi. Narra il Nani (1), che avendo la Repubblica per mezzo del suo am. basciador Gritti fattane di ciò doglianza colla corte di Spagna, avesse ottenuti ordini diretti all'Ossuna di rilasciarla; ma che costui con superbissimo animo gli disprezzasse, non senza sospetto di connivenza della stessa corte, la quale godesse di coprire i disegni più arcani con l'inobbedienza di capriccioso ministro. Per la qual cosa i

(1) Nani, Istoria Veneta, lib. 3, all'anno 1617.

Veneziani, risolutissimi alla difesa di quel golfo, s' applicarono a rinforzarsi nel mare con due galeazze ed alcune navi, ed elessero trenta governadori di galee, acciocchè, secondo il bisogno, a parte a parte andassero armando.

Ma dall'altra parte il vicerè, vedendo che gli Uscocchi aveano perduti molti de' loro nidi, gli allettò a ricovrarsi nel regno con porto franco e con premii, quelli più accarezzando che a' Veneziani riuscivano maggiormente molesti. Presero perciò costoro sotto il colore di tal protezione la nave Doria, che con merci ed altri navilii minori da Corfù passava a Venezia, vendendo sotto lo stendardo del vicerè pubblicamente le spoglie; e sebbene i gabellieri de' porti principali del regno esclamavano che col traffico mancherebbero i dazi e l'entrate reali, furono dall' Ossuna minacciati della forca, se più ardissero di dolersi. Il Nani, quanto buon cittadino, altretanto appassionato istorico nelle azioni del duca d'Ossuna, rapporta che costui, per natura vanissimo di lingua e d'animo, non solo applicava a turbare il mare, ma di continuo parlava di sorprendere porti dell'Istria, saccheggiar isole e penetrare ne' recessi medesimi della città dominante: che ora in carta, ora in voce delineava e divisava i disegni, ordinava barche di fondo atte a' canali e paludi, tracciava macchine, nè più volentieri alcuno ascoltava, che coloro i quali lo trattenessero con adulazioni al suo nome, o con facilità dell'impresa; ma che però non era tanto ciò ch'egli credeva di poter eseguire, quanto quello che desiderava che si credesse, accioc

chè si tenesse la Repubblica involta in maggiori dispendi, e distratta a tal segno, che più debolmente ed offender potesse l'arciduca, ed assistere a Carlo, duca di Savoia. Spinse pertanto l'Ossuna sotto Francesco Rivera dodici ben armati vascelli nell'Adriatico; e benchè nel procinto di spiegare le vele giungessero ordini della corte di Spagna di sospender le mosse, parendo strano che nel tempo d'aprire trattati di pace in Madrid s'inferissero dal vicerè durissime offese: egli, ad ogni modo, facendo assembrare il Collaterale, fece far relazione dal medesimo alla corte, rappresentando che avendo alcune barche armate della Repubblica preso un grosso vascello che voleva entrare in Trieste, conveniva al decoro e servizio del re che il Rivera partisse, e si reprimessero i Veneziani; onde fece partire i vascelli; ed affinchè non fosse ciò imputato ad atto di rompere la guerra in nome del re colla Repubblica, fecegli partire colle sue insegne sola

mente.

La Repubblica perciò impose al Belegno, che comandava la sua armata, d'unire in Lesina quella parte che potesse avere più pronta per passare a Curzola, per coprire le isole, ed in particolare, per rompere il principal disegno dell'Ossuna, di comparire a vista dell'Istria per dar fomento all'armi dell'arciduca Ferdinando, e divertire quelle della Repubblica. Conseguì l'intento il Belegno, poichè, giunte che furono le navi dell'Ossuna a Galamota, spinse loro la sua armata incontro; onde il Rivera, dubitando d'essere con disavvantaggio combattuto in quel sito,

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