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re Illustrissimo, grascia grascia; alle quali voci essendosi voltato il cardinale con volto allegro e ridente, un di coloro temerariamente gli disse in faccia: Non bisogna che V. S. Illustrissima se ne rida, essendo negozio da lagrimare; e seguitando a dire altre parole piene di contumelie, si mossero gli altri a far lo stesso, ed a lanciar pietre al cocchio, talchè a gran passi fu duopo tornare indietro e ritirarsi in palagio. Allora stimossi dannosa ogni sofferenza, e fu riputato por mano a severi castighi; onde formatasi Giunta di quattro più rinomati ministri, che furono il reggente don Giovan-Battista Valenzuola, ed i consiglieri Scipione Rovito, Pomponio Salvo e Cesare Alderisio, fabbricatosi il processo, furono imprigionate più di trecento persone. Convinti i rei, contro essi a' 28 maggio fu profferita sentenza, colla quale dieci ne furono condennati a morire su la ruota all'uso germanico, dopo essersi sopra carri per i pubblici luoghi della città fatti tanagliare: furono le lor case diroccate ed adeguate al suolo: pubblicati i loro beni, ed applicati al fii loro cadaveri divisi in pezzi, e posti pendenti fuori le mura della città per cibo degli uccelli, e le loro teste furono poste sopra le più frequentate porte della medesima in grate di ferro. Sedici altri meno colpevoli furono condennati a remare, e fu diroccato ancora il fondaco di San Giacomo nella strada di Porto, dove fu aperta quella strada che si vede al presente; ed in cotal maniera finirono i tumulti che sotto il governo del cardinal Zapatta cagionarono la fame e le

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zannette.

A questi tempi, mentre la città era involta in questi rumori, giunse in Napoli don FrancescoAntonio Alarcone, al quale il re avea delegata la

causa del duca d'Ossuña, Il Genovino intanto era stato preso, ed in istretto carcere era detenuto in Madrid, donde fu condotto con buone guardie a Barcellona, e da poi trasportato nella fortezza di Portolongone, dove fu strettamente custodito per lo spazio di molti mesi. Passando l'Alarcone, lo portò seco in Napoli, e chiuso nel Castel Nuovo, fu dopo due giorni mandato in quello di Baia, da dove passò in quello di Capua, e poi a quello di Gaeta. Trattatasi la sua causa, fu il Genovino condannato a perpetuo carcere nella fortezza di Orano, ed i suoi nepoti e seguaci furono condennati a remare. Ma il Ge novino dopo molti anni ottenne finalmente libertà; e narrasi che fosse per aver mandato al re Filippo IV, che lo bramava, un modello di legno della fortezza del Pignone, da lui lavorato nelle prigioni dell' Africa; e ritornato poi in Napoli, benchè fattosi prete, fu colui che più di ogni altro fomentò le revoluzioni popolari del regno accadute nell'anno 1647, delle quali più innanzi faremo parola.

Intanto la città di Napoli, perchè a disordini si gravi si dêsse pronto ristoro, aveva segretamente spedito alla corte il Padre Taruggio Taruggi, prete della congregazione dell'Oratorio; e consideratosi lo stato miserabile del regno, e che per riparare alle tante strettezze che cagionava la mancanza de' viveri e della moneta eran necessari rimedi forti e solleciti, e che il genio

facile ed indulgente del cardinale non era confacente allo stato nel quale eransi le cose ridotte; fu riputato espediente di levar il cardinale, e mandare per vieerè in Napoli il duca d'Alba, il quale prestamente si pose in cammino, e giunse in Pozzuoli a' 14 del mese di decembre di questo anno 1622, e pochi giorni da poi prese il governo del regno. Il cardinale parti lasciando di sè concetto di mal fortunato ministro, e che la sua natura troppo indulgente e dolce avesse più tosto fomentati i disordini accaduti in tempo del suo governo. Egli però ci lasciò savi provvedimenti, che si leggono nel volume delle nostre Prammatiche, e s'additano nella Cronologia prefissa al primo tomo delle medesime (1).

In tempo del suo governo, e propriamente a' 31 marzo del 1621, accadde la morte del re Filippo III, in età di quarantatre anni, de' quali ne regnò ventidue e mezzo. Ne fece egli nel duomo di Napoli celebrare pompose esequie, dopo aver fatto acclamare il re Filippo IV con cavalcata e pubblica celebrità 2). Mori Filippo d'acuta febbre, che gli tolse intempestivamente la vita in età cotanto acerba ed immatura. Egli di Margherita d'Austria, che fu sua moglie, procreò tre maschi ed altretante femmine: don Filippo, che fu suo successore ne' regni; don Carlo, che poi morì; e don Ferrante, diacono cardinale del titolo di Santa Maria in Portico, detto comunemente il Cardinal Infante. Delle femmine, don

(1) Parrino, Teatro de' Vicerè, del cardinal Zapatta. (2) Idem, ibidem.

na Anna fu moglie di Lodovico XIII, re di Francia; donna Maria maritossi con Ferdinando, re di Ungheria, e poscia imperadore; ed ebbene un'altra, che mori bambina. Il suo regnare fu più tosto d'apparenza, che di realtà; poichè, contento della regal dignità, lasciò governare a' favoriti ed a' Consigli. Si credette che quando per le istigazioni del duca d'Uzeda e di frà Luigi Aliaga, con. fessore del re, fu comandato al cardinal di Lerma che si ritirasse, fosse il re per assumere in sè stesso il governo: ma la morte, che poco da poi lo rapi a' travagli che seco porta l'imperio, ne interruppe le speranze. Principe, ch'essendo decorato degli ornamenti della vita, meglio che dotato dell'arte di comandare, siccome la bontà, la pietà e la continenza lo costituirono superiore a' sudditi, così la disapplicazione al governo lo rese inferiore al bisogno. Tenendo oziosa la volontà, si credeva che altra funzione non avesse riserbata a sè stesso, che d'assentire a tutto ciò che il favorito voleva; e si credette che nell'agonia della sua morte non fosse tanto consolato dalla memoria de' suoi innocenti costumi, quanto agitato dagli stimoli della coscienza per omissione del governo. Contuttociò dal primo anno del suo regnare insino al penultimo stabili per noi molte leggi savie e prudenti, le quali, -secondo il tempo che si pubblicarono, vengono additate nella Cronologia prefissa al tomo primo delle nostre Prammatiche.

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LIBRO TRENTESIMOSESTO

FILIPPO IV succede al padre in età così giovanile, che non avea oltrepassati i sedici anni, per esser egli nato in Valladolid agli 8 di aprile dell'anno 1605. Il suo regno fu molto lungo, avendo durato quarantaquattro anni e mezzo, insino al 1665, anno della sua morte. Si sperava che per l'assunzione al soglio d'un nuovo re dovessero céssare i favoriti, ed assumere egli in sè stesso il governo. Ma riuscì vana ogni lusinga; poichè portati al re i dispacci, gli consegnò a don Gaspare di Gusman, conte d'Olivares, il quale, ancorchè lo desiderasse, mostrandosene alieno, con questa sua simulata modestia mosse il re a comandargli che fossero dati a chi il conte volesse. Egli, simulando moderazione, gli rassegnò a don Baldassare di Zunica, vecchio ed accreditato ministro, ma però di concerto tra loro, perchè essendo il Zunica suo zio, aveano convenuto di sostenersi reciprocamente: onde presto caduta la maschera, tutto l'arbitrio ed il potere si restrinse nel conte, che, decorato ancora col titolo di duca, si scoprirà ne' seguenti racconti con questo doppio titolo di Conte Duca. Nel suo lungo

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