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forastiere (1), ed intorno ad altri bisogni; e date varie altre provvidenze, che si leggono sparse nel quarto e quinto tomo delle nostre Prammatiche. Non potè questo vicerè compire il terzo incominciato triennio; poichè il duca di Medina Coeli, che si trovava ambasciadore del re in Roma presso il pontefice Innocenzio XII, Antonio Pignatelli, già nostro arcivescovo, ch'era succeduto ad Alessandro VIII fin da' 12 luglio dell'an. no 1691, sollecitava la corte di Spagna, perchè da quella per lui dispendiosa ambasceria lo facesse passar tosto nel governo del regno. Portossi egli in Napoli in quest'anno 1695, e scelse, per dar tempo al suo predecessore d'accingersi con la contessa sua moglie e famiglia alla partenza, il palagio del principe di San Buono nel largo di Carbonara per sua abitazione: dove dimorò infin che, terminate le consuete visite, il conte di Santo Stefano partisse per la vôlta di Spagna; lasciandoci pur egli, oltre le già rapportate, una più perenne memoria del suo governo, come quella del fortino da lui fatto costrurre alla punta del castel dell' Uovo.

CAPO III.

Governo di don Luigi della Zerda, duca di Medina Coeli: sua condotta ed infelicissimo fine.

Il duca di Medina Coeli prese il governo del regno con idee magnifiche e gloriose; e scor

(1) Prammatica 12, de Expul. Gallor., tomo 5.

gendo che il marchese del Carpio avea in quello Lasciato di sè luminosa fama per suoi magnifici e generosi fatti, pensò imitarlo, in quella parte almeno dove credette essersi da colui trascurata. Credea aver sì bene il Carpio sterminati gli sbanditi, e tolti molti altri abusi nella città e nel regno, ma non già d'aver sterminati i controbandi e le frodi che si commettevano nell'introduzione delle merci e nelle dogane, donde ne derivavano notabilissimi danni non meno all'erario regale che agli assegnatari degli arrendamenti. Perciò applicò egli nel principio del suo tutti i suoi talenti con severe pramma. tiche a rigorosamente proibirgli. Favoreggiò le loro pruove in guisa che, riputandosi sommo eccesso, convenne alle piazze d'opporsegli per mitigare in parte il rigore.

governo

Pretese ancora imitar il Carpio nella magnificenza degli spettacoli, onde nel suo tempo se ne videro di superbissimi; e sopra ogni altro intese ad ingrandir il nostro teatro di San Bartolomeo, e fornirlo non meno di maestose e superbe scene, che di provvederlo de' migliori musici che fiorissero a' suoi tempi in Europa; talchè oscurò la fama de' teatri di Venezia e dell' altre città d'Italia. Egli cominciò e ridusse a fine quella magnifica strada, adorna d'ameni alberi e di limpidissime fonti, che al lido del mare costrusse per quanto corre la spiaggia di Chiaia. La pompa ed il fasto della sua corte fu veramente regale e magnifico, nè in altri tempi fu veduta presso noi altra più numerosa e splendida. Favorì le lettere, e sopra modo i letterati, ragunandogli spesso nel regal

palazzo, dove egli con somma attenzione e compiacimento ascoltava nell' assemblee i loro varii componimenti. Talchè le buone lettere, che nel preceduto governo s'erano presso noi stabilite, ai suoi tempi per i suoi favori presero maggior vigore, e più fermamente si confermarono.

Ma tutte queste nobili ed amene applicazioni venivano amareggiate da altri più severi e gravi pensieri. Col correr degli anni sempre più si confermavano i popoli nella credenza che nemmeno dal secondo matrimonio avrebbe il nostro re lasciata prole, e si teneva per fermo che la sterilità non già dalla regina, giovane sana e valida, ma dal re procedesse, e dalla sua complessione debole ed infermiccia. Le continue sue malattie ei recavano degli spessi timori; e sebbene talora migliorava, nell' istesso tempo che noi per gli avvisi della sua ricuperata salute facevamo feste ed illuminazioni, egli era già caduto nel pristino malore. Il duca nostro vicerè, per rallegrar i popoli e divertire i loro animi da sì funesti pensieri, in occasione di miglioramento faceva celebrar feste magnifiche, e nel regal palagio tenne accademie de' più famosi letterati, nelle quali per la ricuperata salute del re recitarono nobilissimi componimenti in varie lingue, così in prosa, come in verso, che furono ancora dati alle stampe. Fece ancora nell'anno 1697 coniare una moneta d'oro col nome di scudo riccio, nella quale alludendosi alla sua ricuperata salute, da una parte, sostenute da un'aquila coronata, vi erano scolpite le sue regali arme, e dall' altra un mezzo busto del re, e per base avea una palma che

stendeva sopra il capo

Reviviscit.

le sue foglie, col motto:

(Questa moneta, come qui sta descritta, dal Vergara fu impressa nella tavola 52, e per essersene coniate pochissime si è presentemente resa molto rara.)

Ma non pertanto non si ricadeva appresso, per contrarie novelle, ne' pristini timori di dover fra breve il re mancare senza posterità.

Si vedeva all'incontro la Francia formidabile e tremenda, la quale nell'anno 1696 avea posto in piede cinque fioritissimi eserciti, e gli sosten

ne nel paese nemico per tutta la campagna. Che quel re pien di gloria e di vasti pensieri meditava alte imprese; e che per togliersi l'ostacolo del duca di Savoia, avea conchiusa col medesimo la pace, e per maggiormente stabilirla, a' 4 luglio del medesimo anno affrettò le nozze tra Maria Adelaide di Savoia, figliuola del duca, col duca di Borgogna, figliuolo del Delfino di Francia, suo nipote. Che perciò avea rivolte tutte le sue forze contro la Spagna in Fiandra, dove nel 1697 conquistò molte piazze, ed in Catalogna, dove prese la città di Barcellona, nell'istesso tem po che avea nominati i plenipotenziari per la pace. Anzi, per più speditamente pervenire al gran disegno, sollecitò in quest'istesso anno coll'Inghilterra, coll' Olanda e colla Spagna istessa la pace, la quale fra queste potenze fu conchiusa in Riswic il dì 20 di settembre, e dopo sei settimane coll'Alemagna. Ma alquanto dopo la conchiusione di questa pace fu sottoscritto in Loo un segreto trattato fra gl' Inglesi, gli Olandesi, la

Francia e la Savoia, col quale s'era fatto un partaggio della monarchia di Spagna, in caso che il nostro re venisse a mancare senza figliuoli, come vi era molta apparenza.

(In questo primo partaggio, che si trattò nel 1698, essendo ancora vivente il principe Ferdinando Giuseppe di Baviera, il quale si legge nella nuova Raccolta del Dumont, tomo II, pag. 52, era divisa la monarchia in cotal guisa. Al suddet to principe di Baviera assegnavasi la Spagna con l'America: al Delfino di Francia i regni di Napoli e di Sicilia colla provincia di Guipuscoa ed i porti de' Presìdi: all'arciduca Carlo il ducato di Milano.)

L'imperador Leopoldo, ancorchè vedesse gli altri principi a ciò consentire, con somma costanza non volle mai dar suo consentimento a divisione alcuna.

Si credette nascondersi sotto questa voce, ch'erasi già divolgata, di partaggio, un più profondo arcano; poichè l'istesso re di Francia Lodovico prevedeva che non sarebbe cosa che toccasse tanto più al vivo gli animi degli Spagnuoli, che lor proporre un tal partito, stando certo che avrebbe lor recato sommo abborrimento: gelosi che una si vasta ed ampia monarchia, con tanta gloria dei loro maggiori unita e stabilita in tant'altezza, dovesse così miseramente lacerarsi, e, divisa in pezzi, estinguersene il nome e la gloria. Siccome in effetto non pur gli Spagnuoli, ma l'istesso re Carlo II l'ebbe in orrore; e per prevenire i disegni e rompere quest' impertinenti ed intempestivi trattati che si facevano sopra i suoi regní, rivolse in

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