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1.

ANTONIO BARATELLA

DA LOREJA.

non

OLENDO noi parlar de' discepoli di Vittorino, per serbar quanto è possibile l'ordin de' tempi, cominceremo da que' ch'egli ebbe in Padova, poscia direm di que' che a Vinegia ed a Mantova. Sappiam che anche i primi furono molti, ma per fatalità possiam ragionar che d'un solo, cioè di Antonio Baratella da Loreja, con error chiamato dal Tira boschi Francesco (1), scambiando egli il figliuolo col padre. Il merito d' avere scoperto costui qual discepolo di Vittorino, è tutto dovuto al chiar, signor abate Morelli, che d'alcune nuove notizie in⚫ torno a lui s'è compiaciuto fornirci, delle quali ci varremo oltre a quelle che trarrem dal Padre degli Agostini (2), e dal Conte Mazzuchelli (3), che n'ha egli pur ragionato.

Nacque Antonio Baratella in Laureja, villaggio del Padovano, non in Camposanpiero come lo Scardeone, il Mazzuchelli, ed il Tiraboschi affermarono. D'esser nato a Laureja confessa egli stesso nel suo Poema intitolato Polydoreis (4), che inedito si conserva presso

(1) Stor. della Letterat. Ital. Tom. VI, pag. 960. 2) Istor. degli Scritt. Venez. Tom. I, pag. 101, e seg. (3) Scritt. d' Ital. Tom. II, pag. 231, e seg. (4) Ille ego sum, genuit pia quem Musonis ad undam, Jam lauris Laureja ferax, quo palmite nomen Urbs Laurea prius, nunc rus Laurelia sumpsit.

il signor abate Morelli. Fece i suoi studj a Padova ov'egli ebbe molti precettori, e fra questi Vittorino da Feltre, che l'astronomia gli spiegò; il che s'impara da un carme latino, che il discepolo diresse al maestro, posseduto con altri molti del medesimo autore dal signor abate Canonici (1). Gli altri suoi precet tori, e tutti celebri, da lui in altre sue poesie ricor dati, si furono Gasparino Barzizza, Biagio Pelacani, Paolo Veneto, Prosdocimo Beldomando, Lazzaro Belvofondi. Lo studio per altro, che al Baratella più piacque e in cui più riuscì, fu la Poesia, ed è grandissimo il numero de'latini suoi carmi ricordati dal Mazzuchelli, dal Padre degli Agostini, e dal Tiraboschi, Aveva egli sortito il dono d'una vena spontanea tutta Ovidiana, e i suoi componimenti infatti mostran più la natura che l'arte.

Ebbe un figliuolo per nome Francesco, a cui diresse un suo poema intitolato Asella Camela. Ebbe di molti amici ed illustri cui dedicò sue poesie, e fra questi il Conte Lodovico S. Bonifacio, Lodovico Foscarini, Cicco Polentone, Guarin Veronese, ed altri. Quando Vittorino fu stabilito in Mantova, il Baratella gli scrisse, perchè gli procaciasse presso il Gonzaga un qualche impiego, onde per tal via procurargli il modo di rivedersi, di vivere insieme, e di rammentar le passate studiose vicende. Non sappiam se i voti suoi fossero esauditi, ma ciò di cui siam sicuri si è ch' ei fu professore di rettorica in Feltre ove mori ai 27 di luglio l'anno 1448, e fu seppellito in

(1) Ecco i versi del Baratella, che alludono ai suoi studj astronomici sotto la disciplina di Vittorino.

Feltrine memento

Alterni plausus, cum tu mea castra regebas
Extollens super astra caput: tunc ordine motus
Sidereos avidum Patava sub sede docebas.

quella Chiesa Cattedrale, il che appar da una nota posta in principio della sua Asella Camela, riportata dal Mazzuchelli al luogo citato.

Del Baratella parlano, oltre gli autori nominatí, altri molti, e fra questi il Papadopoli, il Tomasini, il Salamoni, il Ciacconio, il Pignoria, ecc., de' quali fa ricordanza il suddetto compilator della vita degli Scrittori d'Italia.

11.

GIORGIO DA TRABISONDA.

Se narrar si volesse la vita ex professo di questo

insigne Greco, e le sue molte vicende, in luogo di un breve articolo, qual è nostro intendimento di tessere, un grosso volume non basterebbe. Ma la nostra fatica sarebbe inutile ed inopportuna, perciocchè molti sono gli autori, che intorno a lui si occuparono. Il Boernero con altri ne ha disteso la vita, e ne parlan poi il Giovio, l'Allazio, il Papadopoli, il Nicerono, citati da Bruchero e il Bruchero medesimo (1), ma tutti questi però non senza errori. Più esattamente al contrario ne dicono Apostolo Zeno (2), il Cardinal Querini (3), il Padre degli Agostini in varj luoghi della sua Storia degli Scrittori Veneziani, Alberto Fabricio, com mentato da monsignor Mansi (4), e ultimamente, per ta cere degli altri, il cavalier Tiraboschi (5). Questi scrittori si potranno consultar per chi voglia formarsi una

(1) Hist. Crit. Philosoph. Tom. IV, Part. I, pag. 65

e seg.

(2) Dissert. Voss. Tom. II, pag. 2 e seg.

(3) Diatriba ad Espist. Franc. Barb., pag. LXXVI e seg. (4) Bibl. Med. et Infim. Latin. Lib. VII, pag. 36.

(5) Stor. della Letterat. Ital. Tom. VI, pag. 357 e seg.

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distinta idea di Giorgio da Trabisonda. Noi non toccheremo di lui, che quel solamente che sarà più opportuno al nostro intento e che all'idea di quest'opera nostra più si conviene.

Nacque egli in Candia l'anno 1395, ma perciocchè la sua famiglia era originaria di Trabisonda, non mai Cretese volle chiamarsi, ma Trapezunzio, e ciò per fuggire la taccia di menzognero, che il Poeta Epime. nide imputar volle ai Cretesi. Fu fatto venir da Candia in Italia e a Venezia dal celebre Mecenate de' lette rati Francesco Barbaro, e ciò per avventura perch'ei credeva di vedere in esso un forte campione a combattere gli errori de' Greci ch'egli avea già abbjurati, e ad unir quella Nazione alla Chiesa Romana. Prima che di Bologna io mi partissi (scrive il Barbaro a Lodovico Scarampi, vescovo di Trau, poi cardinale, in una sua latina epistola pubblicata dal Padre degli Agostini) (1) ti dichiarai ciò ch' io pensassi della virtù, dottrina ed eloquenza del Trapezunzio, e mi sono studiato di persuaderti, che la sua persona, la sua fede e prudenza poteano non mediocremente contribuire a ricondurre e restituire i Greci alla Chiesa Romana. Il Prendilacqua nel breve elogio che ci ha la sciato di lui nel suo dialogo intorno a Vittorino (2), dice che questi l' ebbe a discepolo a Vinegia, e l'i. strui nella lingua latina, e nell' arte oratoria, e che siccome il Trapezunzio era allora povero ed oscuro il mantenne di tutto, e il foruì ancor di danari e di raccomandazioni, mercè delle quali potè egli aspirare a quegli onori, ai quali in processo di tempo pervenne. Ma comecchè tali cose conformi sieno a quel cuore misericordioso e paterno con cui Vittorino riguardava e trattava i discepoli, non son però punto vere, e il Prendilacqua fu poco informato, e volle gratuitamente

(1) Scritt. Venez. Tom. II, pag. 57. (2) Pag. 43.

merito di cui

tanti altri ric

attribuir a quel gran Precettore un punto non abbisogna, essendo egli di chissimo. Un uomo che fu chiamato a Vinegia da Francesco Barbaro, non potea nè essere ignoto, nè mancar tampoco del necessario a sostentare la vita. Infatti fu il Barbaro, che sotto la disciplina di Vittorino pose il Trapezunzio, che suppli a tutto ciò ch'eragli necessario, come col suo patroncinio contribui in appresso al suo avanzamento. Ciò attesta il Barbaro stesso nell' accennata lettera al Vescovo di Trau. Io già è gran tempo, scriv' egli, dall' Isola di Crela feci venir Giorgio in Italia, e il feci istruire nelle latine lettere, e d'ogni cosa il fornii, ecc.; e ciò Giorgio medesimo riconoscente confessa nel suo Proemio ai 12 libri delle Leggi di Platone da lui tradotti dal greco, che voleva indirizzare al Barbaro, ed al Veneto Senato. Tu, dopo Dio, parla col Barbaro, fosti cagione che dalla Grecia venissi in Italia, e che alle latine letlere mi applicassi. Quindi è ben dovere che a quella Repubblica in che vidi la prima luce del giorno (era l'Isola di Creta allora soggetta ai Veneti) e fui educato, e a te, per opera del quale, dirò così, a novella vita rinacqui o renda se non al merito eguali, almen quelle maggiori grazie ch' io posso (1).

Prima che da Vittorino, imparò il Trapezunzio gli elementi della lingua latina da Guarin Veronese, ma ciò sol per due mesi. Tanto afferma egli medesimo all'occasion di rispondere all' invettiva del Guarino contro di lui, nella quale il Veronese il rimprovera d'essere stato suo discepolo. Appena due mesi, gli risponde egli, fui tuo discepolo, ne' quali più che ad imparare fui occupato in trascrivere, se pure imparar può chiamarsi una confusa cognizione de' primi Ele

(1) Card. Querini, Diatr. ad Epist. Fran. Barb., p. LXXVI.

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