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vivande più squisite e più ghiotte: gran parte del giorno stavano a tavola, quindi al fuoco, poscia al letto dormendo, niente gli studj curando e i cavallereschi esercizj. Vittorino si sgomentò e si avvili affatto al ciò scorgere, tanto più che temea quindi col crescere degli anni gli altri vizj più obbrobriosi, necessarj seguaci d' una vita si turpe ed infingarda,

Disperando già d'essere in tempo d'apportar rimedio a tanto disordine, pensava al congedarsi, e per non ingannar le speranze dell'ottimo Principe, e per non essere egli stesso senz'alcun frutto spettatore e quasi partecipe di tanta mollezza. Temea le accuse de' maligni e de' parassiti, che non sarebbono stati per sofferire in pace d essere espulsi dal posto che con tanto lor vantaggio occupavano; temea l'odio stesso degli allievi, che non avvrebbon per avventura tollerato senza ribellione un tal cangiamento di vita, che pure assolutamente esser vedea necessario. Insomma stette lungamente in forse sul partito che prender dovesse. In fine, fattosi cuore, volle piuttosto esporsi a qualunque pericolo, che abbandonare un si buon Principe che in lui avea posta ogni fiducia (1). Fatta la ferma risoluzione di rimanersi, volle per qualche tempo essere ozioso e tacito spettatore di tutto, quasi approvando e, plaudendo alla comune condotta. Già ognun sapea qual ampia autorità aveva il Feltrense avuta dal Principe; però s' egli avesse in sulle prime svelato palesemente l'animo suo, e fatto conoscere tutto quello che gli dispiaceva, molti de? più accorti per avventura potevan anche a tempo na scondersi ed ingannare il Precettore, coprendo il vizio col manto della virtù. Ma egli permettendo che tutto procedesse coll' ordin di prima, e col suo silenzio quasi approvando, diede campo a quegli animi gio

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(4) Prend., pag. 45 é seg.

vanili di dimostrarsi nel loro verace aspetto, ed a se di meditare il più pronto e più sicuro rimedio.

Poichè credette d'aver diligentemente esaminata ogni cosa, e la vera radice scoperta del male, diede mano da coraggioso alla scure. De' molti giovani nobili che viveano in compagnia de' Principi, non elesse che i pochi, che trovò d' indole buona e non contaminata da' vizj, e gli altri accommiatò del modo migliore che a lui fu possibile. Fra camerieri e i ser. venti (sono costoro, se guasti sieno, la prima origine de' vizj ne' lor giovinetti padroni) anche questi scemati di numero, e scelti, distribui gli ufficj e i doveri, onde ogni confusion si togliesse e tumulto. Collocò alla porta della casa una guardia fidata, la quale nè lasciasse entrar persona alcuna, nè mai sortire senza il consenso di lui. Temea troppo i falsi zelanti i quai tentassero di esacerbar gli animi de' discepoli, mettendo in cattiva vista la sua riforma, e spronandogli all' ostinazione e alla rivolta. La mensa non fu più quella di prima, non più que' di prima gli abbi• gliamenti e i vestiti; ogni cosa, in una parola, ad un girar, dirò così, di ciglia cambiata. Intanto egli severo e dolce volea che gli ordini suoi fossero eseguiti a dovere, ma nel tempo stesso trattava tutti con mansuetudine, con carità, con amore. Interteneva i discepoli con discorsi all' età loro adattati, ma che tendessero a innamorargli della virtù, dello studio, e della gloria. Tutte queste mutazioni egli fece senza mai consultare il Signore di Mantova, e ciò per due motivi: L'uno perchè se il Principe si fosse preso l'incarico di far egli stesso l'esclusione e la scelta già dette, potea per avventura accadere che l'ami❤ cizia, i maneggi, le raccomandazioni, la nascita avessero ottenuto grazia a preferenza de' buoni costumi, della virtù, e dell' innocenza che Vittorino volea sole privilegiate; l'altro poi, perchè se il Gonzaga

soffriva con pace questa sua necessaria riforma, già si dava a lui l'adito di eseguire gli altri più importanti disegni che meditava, o di dileguarsi in sul momento da Mantova, ove il Principe negato avesse di prestarvi il suo assenso (1).

Non mancò già chi di tutto informasse il Prin cipe, e furono singolarmente i padri e i parenti de' giovani esclusi, che ciò gli rapportarono, com'è ben naturale, in aria d'accusa, e come di violata maestà. Ma egli, anzi che prender ciò in mala parte, approvò tutto altamente, ond' è difficile il giudicare se fosser più degne di lode la filosofica libertà e fermezza del Precettore, o la prudenza ed intelligenza del Principe. Come seppe Vittorino quanto fosse da Gian-Francesco applaudito il suo metodo, non è da dire qual nuovo coraggio assumesse a innoltrarsi nella carriera intrapresa, e a tentar cose ancor più difficili. L'impresa che siam per narrare diede una grande idea della sua abilità, e del suo sapere. Fra i regi allievi i due maggiori erano Lodovico (2), e Carlo. Il primo era di così smisurata grassezzza che potea a gran pena

(1) Prend., pag. 46 e seg.

(2) Apostolo Zeno nelle sue Dissertazioni Vossiane (tom. II, pag. 159.) affermò che Lodovico Gonzaga prima di Vittorino ebbe altro precettore in Padova, ove fu suo compagno e condiscepolo Bernardo Giustiniano, che a lui in quel tempo indirizzò la sua traduzione del Libretto d' Isocrate al Re Nicocle. Quest'opinione dello Zeno fu seguita anche da altri. Veramente il Giustiniano nella lettera con cui manda al Gonzaga questa sua traduzione non fece alcun motto d'essere stato suo condiscepolo, il che non avrebbe egli taciuto, ove ciò stato fosse: ma solamente gli dice di dedicargli un tal libro, per esser cosa degna d' un principe. Antonio Stella, al contrario, nella Vita del citato Bernardo narra appunto quanto dietro l'autorità sua fu dallo Zeno affermato, ma

muover le membra. Dice il Platina (1), che lo stomaco e il ventre di lui non si distinguevano l'un dall'altro, ed un sol membro facevano. Al vederlo camminare parea che plumbeo fosse il suo corpo, o almeno senza giunture.

Carlo, al contrario, era alto assai della persona, e di gran membra, ma così macilente e disfatto che mettea pena al vederlo. Nel suo portamento poi mal composto e sgraziato. Con medicine opposte giunse il nostro Vittorino a modellare e perfezionare queste due, a cosi dir, masse informi. Cominciò gradatamente a sottrarre al pranzo i cibi a Lodovico, a non coprir la mensa che di poche vivande e semplici (percioc chè dalla varietà e squisitezza nasce la ghiottornia), e allora il lasciava pascersi a sazietà. In appresso bandi la cena per lui. A non usar di violenza, ch'egli ab borriva, quando vedea che Lodovico sorpassava, cibandosi, i limiti della sobrietà, facea entrar nel tinello cantori e musici, i quali co' lor concenti e vaghe rappresentazioni allettavano e distraevano il giovinetto per forma, che molte volte spontaneamente abbandomava la mensa, e tal diletto poscia ne prese, che ciò faceva assai fiate mezzo digiuno. Con tale avviso, e con simili ingegnosi artifizj così si cambiò Lodovico, che non era più da conoscersi, tanto ben disposto e ben formato divenne della persona. In abito poi convertissi in lui la parsimonia de' cibi e delle bevande, che n' era divenuto un modello, e che conservò quindi tutta la vita (2). A Carlo, al contrario, perchè

niuna prova adduce di sua asserzione, ed egli che scriveva nel 1555 è autor troppo recente per credergli ciò di che tutti tacquero i contemporanei del Gustiniano e del Gonzaga, e il Giustiniano medesimo.

(1) In Vit. Vict. Feltr.

(2) Prend., pag. 48.

di gran persona è bisognoso di nutrimento, lasciò tutta la libertà di cibarsi all'ora del pranzo, sì però che volea che le vivande fossero semplici, e di facile digestione. Fra il giorno non gli concedeva che pane (1), e ciò quante volte a lui piacesse: anche questo me. todo ebbe l'effetto desiderato, e tutti ammiravauo questi due giovani Principi così mutati con soddi sfazione e stupore. Essi poi sotto l'ulterior disciplina di Vittorino riuscirono così agili del corpo e insie memente robusti, ch'egli con tenera compiacenza poi, fatto già vecchio, osservandogli lagrimava, e l'ono il suo Ercole, l'altro chiamava il suo Achille (2): felicissimo Achille d'aver avuto a precettore un si saggio Chirone!

Ma tempo è oggimai di entrare in questo Vittoriniano Liceo, dal qual sortirono tauti eccellentissimí discepoli in ogni maniera d'arti belle e di scienze, che non sol per tutta l'Italia, ma per buona parte altresi d'Europa diffusero la dottrina, il buon gusto, la religione, i costumi. Esaminiam più partitamente il sistema d'educazione di Vittorino, e vedremo che tanti Piani o Metodi, che da'moderni Scrittori intorno a questa materia spacciati sono con aria di mistero e di novità, non erano ignoti ai nostri valenti Italiani, in un secolo, che, per rispetto alle cognizioni, rozzo ed ignorante viene solo riputato da coloro che perfetta. mente l'ignorano.

(1) Se un fanciullo chiede da mangiare fuori del desinare, non gli date che pane asciutto. S'ei mangia per fame, e non per gola, manyerà anche il pane asciutto, e se non ha fame non è necessario ch'ei mangi. Locke, dell'Educazion de' Fanciulli., tom. I, pag. 22.

(2) Prend., pag. 50.

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