Immagini della pagina
PDF
ePub

l'impeto della passione, di conoscer meglio il suo fallo, e di approfittar a suo pro del gastigo, ed a sè stesso di darlo più opportuno al carattere del delinquente. Certi delitti occulti non solea mai palesare, ma segretamente punivagli; e se la punizione era inu tile, veniva scacciato il colpevole dal liceo: poichè certi rami putridi, ove dall'albero non si separino a tempo, ben presto infettano tutta la pianta. Uno de' falli, che più gli dispiacevano, era la bugia, la qual è vizio indegno d'uomo ragionevole e libero. Il più delle volte i giovani assumon l'abito di mentire al solo fine di nasconder con esso i proprj errori, e fuggir il gastigo. Vittorino per togliere quest'incentivo alla menzogna avea in costume di perdonar sempre quel fallo che senza raggiri e senza infinti colori fosse a lui confessato da chi l'aveva commesso. E a questo proposito narra il Prendilacqua (1) un fatto ingenuo d'Alessandro Gonzaga, figliuolo del Marchese Gian Francesco, che mostra l'indole amabile di quel fanciullo, di cui avremo altrove occasione di ragionare. Essendo Alessandro ammalato, Vittorino gl'impose di Don mai bere senza il suo consentimento. Ora av. venne che il giovine, ardendo un giorno di sete, si dimenticò del precetto, e trovando i servi dispostissimi a compiacerlo, vôtò un fiasco intero. Quindi ri cordandosi del divieto, comechè i serventi gli offrissero di tener il fallo occulto, e di negarlo anche per avventura al bisogno, egli non potè risolversi d'ingannare il caro suo Precettore, e a lui corso, se'tu contento, gli disse con vezzo infantile, o Maestro, ch' io abbia bevuto? Sì il sono, rispose Vittorino ridendo, da che non si può mutar ciò ch'è fatto.

Questo suo sistema di perdonar i falli che gli fossero confessati facea, che tutti i discepoli a lui cor.

(1) Prend., pag. 57.

revano ad accusarsi, e così venne a togliersi affatto l'abito pericolosissimo del mentire. Tal metodo assai lodevole viene con gran calore inculcato dal Locke, dal Rollino, e dagli altri moderni.

Dove per altro Vittorino era inesorabile, e dove metteva in opera i più severi gastighi, era nel caso che un qualche discepolo suo di espressioni usasse invereconde e impudiche, e più ancora se nel calore del giuoco, o in qualche contesa bestemmiasse giuo cando, e con poca venerazione parlasse della santa nostra Religione e de'dogmi (1). Giuocava un giorno alla palla Carlo Gonzaga, già adulto e grande della persona, e stavan molti a vederlo con compiacenza, e fra questi pur Vittorino. Avvenne che il Principe male riuscendogli il giuoco se ne sdegnasse, e vinto dall' ira con un motto uscisse che inchiudeva poco rispetto verso de'Santi. Vittorino ciò udito, cruc cioso oltre ogni credere, a lui corse d'un salto, e datogli d'un manrovescio nel volto, presolo per la chioma fieramente lo scosse, e il caricò di mille rimproveri, dicendogli che, perciocchè s'era dichiarato nemico di Dio, disprezzando le cose che a lui eran più care, non più ardisse d'alzare gli occhi, non più di mirare in volto i suoi concittadini, non più di presentarsi agli ottimi suoi genitori, non più di avvicinarsi al suo Precettore: non più nè pur viver dovea, poichè un nemico del Nume era indegno di vivere. Tal impeto Vittorino infuse in queste parole, che il giovine alla presenza di tutti pentito e dolente si gittò a' piedi di lui, confessò e detestò la sua colpa, dimandandogliene umilmente perdono. Allora l'ottimo Precettore, vinto da tanta umiltà in un Principe, ardente per bollore degli anni e delle forze, non potè frenare le lagrime;

(1) Prend., pag. 82. Platin., Castill., 1. c.

e volto agli astanti disse, che il Ciel ringraziava d'averlo fatto degno d'un tanto discepolo (1).

[ocr errors]

Di questa guisa conducendosi, e sempre fermo e costante ne'suoi propositi, giunse Vittorino ad allevar un numero grande di discepoli, i quali colla loro celebrità più che mai celebre rendettero la disciplina di lui. Ma questa disciplina medesima, comechè in ogni sua parte eccellente, non avrebbe prodotti per avventura i frutti felici e ubertosi ch'essa produsse se il Feltrense ai precetti non avesse fatto sempre il proprio esempio precedere, il qual meglio persuade e convince, ed alla volontà, dirò quasi, fa forza. Veggiamo dunque partitamente qual fosse questo gran precettore; e poichè del suo ingegno e degli studj suoi abbiam già parlato abbastanza, parliam de' suoi pregi morali, e più ancor del cuor suo, tutto angelico. Ciò sarà il fecondo subbietto del libro seguente.

(1) Prend., pag. 83. Ptatin., 1. c.

MOLTI uomini nè cattivi nè viziosi riescono a ca. gione che, nati, per così dir, senz'affezioni, mancano di quel pericoloso fomite che al male gl'iuciti ; ma non per questo perchè viziosi non sono, non son però punto buoni, nè meritan lode nessuna, e ciò per lo stesso motivo, cioè perchè non sentono che debolinente gl'influssi di quelle passioni, le quali, ove dalla ragion sieno imbrigliate, producon gli eroi. Al contra rio, l'uom che nasca con un temperamento ad esse inclinato, e che pur giunga non tanto a frenarle, quanto a rivolgerle altresì alle più eccelse virtù, merita ed ottiene talvolta incensi ed altari. Color che dettaron la vita di Stilpone, celebre e virtuoso filosofo di Megara, scrivono ch'egli era dedito per natura al vino ed alle femmine, e ciò non dicono già a suo vituperio, ma a grande suo elogio; perciocche poi soggiungono, ch'egl: per tal maniera seppe domare queste viziose sue inclinazioni, che niuno lo vide mai vinto dal vino, nè mai scorse in lui pure un vestigio solo di disonestà o di lascivia. Medesimamente Zopiro, famoso greco fisonomista, lesse nell'aria del volto di Socrate una grandissima pendenza alla libidine, di che rise molto in ciò udendo Alcibiade, che sapea quanto il suo maestro fosse puro ed incontaminato così del corpo, come ancor dello spirito (1).

[ocr errors][merged small]

Dovendo noi scriver de' pregi e delle virtù di Vittorino, cominceremo dal dire com' egli era nato con una forte disposizione all' iracondia e agli amori, ma per tal modo e con tanti sforzi egli seppe correggerla, che i suoi malevoli stessi non poterono mai rimproverargli cosa alcuna su ciò (1). E in quanto agli amori non può negarsi che molti versi così latini, che italici, per quel tempo assai colti, ne' primi anni suoi egli non pubblicasse, ne'quali celebrava una sua Donna, ma con sì modesti colori, e con sì pudiche espressioni, che la più rigida Vestale in leggendoli non vi avrebbe trovato onde arrossire. Nato però con indole virtuosa inorridi alla riflession de' pericoli in cui queste due perturbazioni dell'animo potevan condurlo, le quali, a vero dire, ove si lascino vagar senza freno, di foggia offuscan la mente, e ottenebran l'intelletto,che l'uom fatalmente strascinano a quegli eccessi, ond' egli si confonde co' bruti i più sfrenati, e gli supera ancora. Quella sensibilità dunque e quell'ardor che all' ira e che all' amore inchinavaulo, coll' ajuto della ragione all' acquisto della virtù rivolse, e a porre in opra que' mezzi che il mantenessero immune da colpa. Fu per avventura in Padova ch' ei cedette un poco all'umanità collo scrivere gli accennati versi amorosi, e fu quivi altresì ch'ei, pensando seriamente al suo stato, venne più volte in dubbio d'abbracciar la vita claustrale, di che s'è detto, e di abbandonar il mondo e i molti suoi scogli. Ma, rispettando sempre quelle interne chiamate che muovon dall'alto, e che ognor portan seco uno scudo che ci guarda da ogni pericolo, umanamente parlando, la solitudine non è sempre la più sicura barriera contro le passioni, le quali talvolta nel silenzio e ne' claustri più infuriano, o almeno quai Protei novelli trasfor

(1) Prend., pag. 36, 74, 77. Plat., Castill., Saxol. Prat l. c.

« IndietroContinua »