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rendersi più tardi. Perduta adunque Piacenza, Filippo
passò nel Friuli a servigio dei Veneziani, Bartolomeo
Colleoni recossi nella Puglia alle tende di Braccio che,
datogli un cavallo, il ricevette tra i suoi ragazzi, ossia
valletti.

Se non che era il giovinetto ormai pervenuto ai 20 anni, e dal bollore dell' età e dalla confusione delle pubbliche faccende sentivasi accendere in petto un'ambizione pari al coraggio. In breve concepì un odio ed uno schifo grandissimo verso le servili sue occupazioni. In conseguenza abbandonò Braccio, e soletto con due partigiane, l'una in mano, l'altra al collo, dirizzossi a Napoli. Quivi si imbarcò con proposito di andare in Francia e pigliarvi soldo. Per A. 4417 viaggio volle il destino, forse per serbare all'Italia un circa tanto guerriero, che il legno, sul quale questi si ritro

vava, venisse predato dai corsari e ricondotto addietro.
Stava allora all'assedio di Napoli Iacopo Caldora colle
genti della regina Giovanna II. Tosto il Colleoni gli
si presentò e ne ebbe condotta di 20 cavalli: quindi
sia per la straordinaria virtù da lui mostrata nella
presa della città, sia per le amorose fiamme svegliate
(come asserivasi) dal suo virile aspetto nella impudica
regina, fatto è che in poche settimane veniva promosso
al comando di 35 cavalli e otteneva il privilegio di
innalberare per proprio stemma una sbarra vermiglia
imboccata da due capi di leone (1).

Vinta Napoli, accompagnò egli poscia il Caldora ▲. 1424 alla liberazione dell'Aquila, sotto la quale, come nar

(1) E di capi di leone era formata la sua impresa gentilizia, conforme al nome del casato, che poi si corruppe in Colleoni.

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rammo, Braccio fu vinto ed ucciso; per la qual cosa essendosi un po' quetate le cose di colà, Bartolomeo passò in Lombardia al servigio dei Veneziani. Quivi ebbe a capitano il Carmagnola; quivi, se è vera la fama, col seguito di 40 cavalli primo fu a penetrare in Cremona, ultimo ad uscirne, allorchè ogni speranza di aiuto fu perduta. Riportò il Carmagnola di tal fatto biasimo e morte, il Colleoni ne consegui lodi e raddoppiamento di condotta: sicchè la stessa impresa troncava all'uno il corso di sua gloria, e lo apriva all'altro. L'ignavia del Gonzaga, che dopo il supplizio del Carmagnola successe nel comando dell'esercito veneto, rese poscia tanto chiara la solerzia e la sagacità del Colleoni, che a mano a mano veniva promosso al comando di 100, e poi di 300, ed alla fine di 800 cavalli, e veniva creato capitano generale della fanteria, ed eletto governatore di Verona, ed investito di tre buone castella (1).

Tali furono i progressi di Bartolomeo Colleoni fin- A. 4441 chè durò la guerra. Terminata ch'essa fu, il senato per diminuire le spese diede ordine di licenziare una parte dei condottieri, e di scemare le condotte ai rimanenti. Di ciò sdegnato Bartolomeo non senza acerbe proteste partissi dal servigio della Repubblica e andossene a Milano con 1500 cavalli. Il duca Filippo Maria lo accolse onestamente, e a prima giunta donollo di Castell'Adorno sul Pavese; quindi con speciali concerti lo inviò in Romagna a mantener

(1) Spino, Vita di B. Colleoni, l. I-III. p. 1-83 (Venezia, 1569). — Ant, Cornazani, Vita di B. Colleoni, 1, I-III. p. 1-17 (ap. Burmann, t. IX. part, VII).

l'equilibrio tra Francesco Sforza e Niccolò Piccinino, che allora vi stavano a fronte. Ma vi era egli appena arrivato che di repente per ordine del medesimo duca veniva, come reo di tradimento, preso e rinchiuso nei forni di Monza. Erano questi orrende cellette l'una all'altra sovrapposte e così strette che i prigionieri nè potevano rizzarsi in piè, nè lungo distendersi aggiungi, che da ogni parte eran seminate di punte, sicchè lo stare, come il moversi, era di perpetuo supplizio. Le aveva fatte costrurre un secolo innanzi Galeazzo Visconti per martoriarvi i sudditi desiosi di libertà; volle la fortuna, giusta in ciò, che egli per il primo con tutta la sua famiglia li assaggiasse. Quivi stette adunque il Colleoni più di anno, combattendo costantemente cogli strazii e colle minaccie, messe in opera dai ministri del duca per indurlo a spogliarsi del comando delle sue schiere. Ma intanto egli non aveva cessato di macchinare giorno e notte il modo di uscirne. A tale effetto sceglie un di, in cui per la morte del duca tutta la A. 1447 città era a subbuglio, fingesi ammalato, e tanto

s'industria che sotto vani pretesti manda fuori dal carcere i guardiani. Allora col mezzo di molte fascie e lenzuola già prima apparecchiate calasi frettolosamente ai piedi della torre e varca il fosso. Tornate le guardie, nè più il ritrovando, suonarono la campana a stormo, e al lume dei torchi strepitando e minacciando dieronsi a ricercarlo qua là. Bartolomeo, senza scomporsi, col favore delle tenebre si mescolò tra essi, e alle loro grida ed alle loro minaccie uni le proprie; finchè, colto l'istante, corre al sito

ove un buon cavallo lo attende, montavi sopra, e vola alle sue schiere alloggiate a Landriano.

Quivi il primo avviso della sua liberazione e venuta colmò di gioia e di stupore le soldatesche, che a gara si precipitano verso il padiglione maestro per vederlo e abbracciarlo, e baciarlo, e toccarne le vesti, e udire la sua voce tanto tempo muta, tanto tempo desiderata: e, se mai capitano veruno si deliziò nella soddisfazione così preziosa ad ogni animo gentile di amare e di essere amato, fu questo il Colleoni in quel momento, in cui passava dalle miserie di un orribile carcere al governo di una forte e affezionata soldatesca (1). Ringraziatili, abbracciatili tutti, li fece armare e li passò a rassegna, e tosto costrinse i Pavesi a somministrargli stanza e vitto. Pochi di appresso, come soldato dei Milanesi presentava battaglia sotto le mura del Bosco alle genti del duca d'Orleans, guidate da Rinaldo di Dresnay.

Avevano costoro, come accostumati alle guerre vere e sanguinose della Francia, col non dare quartiere a veruno, reso grande e temuto per tutta l'alta Italia il proprio nome e la potenza francese. Ma venuti al cimento delle armi, non ressero contro alla disciplina ed alla avvedutezza degl'Italiani. Cominciarono l'attacco dalla parte del Colleoni alcune bande di fanteria. Queste, come di ragione, fatta breve resistenza, non sostennero l'impeto della cavalleria del Dresnay, e andarono in volta: subito i Francesi si infuriarono ad incalzarle e ucciderle. Ciò li disor- 1 8bre dinò: il Colleoni se n'accorse, e senza indugio spinse

(1) Spino, Vita di B. Colleoni, 1. IV. 102.

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sopra di essi i suoi uomini d'arme, che di leggieri lì oppressero ed inseguirono sino al Castellazzo. Così la milizia italiana, ancorchè meno feroce, vinceva la oltremontana, ancorchè ferocissima. Contaminarono la vittoria le crudeltà usate ai prigionieri sulla piazza di Alessandria da quella plebe arrabbiata per la morte, quale del congiunto, quale dell'amico. Restò negli Italiani, non ostante la vittoria, una terribile ricordanza di quegli stranieri, i quali, abbattuto il nemico, gli alzavano la visiera, e detto fatto scannavanlo col pugnale (1).

Vinto il Dresnay, Bartolomeo, con immenso ma occulto sdegno di Francesco Sforza, il quale, come dicemmo, aveva ricevuto Tortona nella propria sua obbedienza, astrinse questa città a inalberare le insegne della repubblica Milanese. Quindi, sia che non gli fossero attese le condizioni della suâ condotta, sia che ne trovasse delle migliori presso il nemico, fatto un nodo de'suoi, traghettò l'Adda a Brivio, e si ridusse a Bergamo agli stipendii dei Veneziani.

III.

Tra questi travagli fu chiuso l'anno 1447, e le riA. 1448 gidezze del verno, imponendo tregua alle operazioni di guerra, resero più vivo nell'universale il desiderio di pace. Già i fondatori della repubblica Milanese s'erano miserabilmente divisi in due fazioni, e, rinnovati gli antichi nomi di Guelfi e di Ghibellini, i Triulzi

(1) Cagnola, St. di Milano, p. 80 (Arch. Stor. t. III). — Joh. Simonett. X. 430. — Ant. Cornazani, cit. IV. 18-20. - Sanuto, 1127. — Second. Ventur. Chr. Ast. p. 278 (R. I. S. t. XI).

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