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Tra questi preparativi, frequenti erano le scaramuccie ed i parziali assalti, che, stante la vicinanza, succedevano fra i due eserciti. Talora dopo avere combattuto gran pezza, facevano tregua di qualche ora, e seduti gli uni di qua, gli altri di là dal margine del medesimo fosso, vinti e vincitori, Milanesi e Veneziani ciarlavano e bevevano, cantando e braveggiando, per ripigliare subito dipoi gli archi, gli scoppietti e le lancie, e rinnovare più fiera la battaglia. Talora i più valorosi, al cospetto dei capitani e delle schiere, venivano tra un alloggiamento e l'altro a singolare certame, a ciò incitati sia dall'esca dell'onore e delle ricompense, sia dal desiderio di uccidere o di far prigioniero l'avversario, e guadagnarne le spoglie o il prezzo del riscatto. Così passavansi i giorni; e già Caravaggio, smantellata di mura, niun ostacolo avrebbe opposto a una scalata, se il timore dell'esercito veneto non avesse trattenuto lo Sforza dall'intraprenderla.

Non erano le gravi condizioni degli assediati ignote ai condottieri di Venezia: ma intorno al modo di alleviarle varii e tumultuarii pareri tra loro s'elevavano. Aveva Tiberto Brandolini in certa sua esplorazione scoperto tra il pattume e la boscaglia una specie di strada che da Morengo metteva a Caravaggio: però non si era accorto del fosso che, siccome dicemmo, l'attraversava. Laonde, persuadendosi di non avere a incontrare alcuna difficoltà, proponeva di scegliere quella via per attaccare all'impensata dio, pane a dovizia in supplemento degli stipendii: il che mostrerebbe che il vitto quotidiano era a carico de'soldati. V. Joh. Simon. XIII. 457 C..

con molto vantaggio gli alloggiamenti ostili. Al contrario Michele Attendolo esortava di ridursi a Martinengo, e attendere quivi di queste due cose l'una, o che il nemico per noia abbandonasse l'assedio di Caravaggio, e allora travagliarlo alla coda; o che si avventurasse a darle la scalata, e allora opprimerlo con poca fatica. Lodovico Gonzaga, riputando impos sibile o inutile la difesa di Caravaggio, consigliava a modo di diversione di porre il campo a Mozanega: Bartolomeo Colleoni stava pel non combattere punto punto; Niccolò Guerrero voleva, che si trasferisse l'esercito a Treviglio allo scopo di tagliare le comunicazioni al nemico: infine Gentile da Leonessa, Roberto di Montalbotto, Cesáre da Martinengo, Guido Rangoni, Cristofaro da Tolentino, Iacopo Catelano, e Carlo di Braccio da Montone, tutti i quali capitani per causa di certo loro straordinario attaccamento alla repubblica venivano chiamati i Marcheschi, concordavano nella sentenza del Brandolini, ma al patto di non porre tempo in mezzo. Mandatosi a Venezia per la decisione, venne risposta di dare battaglia: ed essa pel giorno seguente fu risoluta.

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Ebbe in quella notte stessa Francesco Sforza sicura 15 7bre novella della risoluzione presa dai Veneziani; ma dandosi a credere di venire assalito dalla banda di Mozanega, già aveva colà rivolto il nerbo de'suoi, e s'incamminava a udire la messa; quand'ecco alcuni correndo a fiaccacollo l'avvisano: « approssimarsi i nemici con tagliate e graticci per la selva situata tra Fornuovo e Caravaggio; già le prime squadre loro essersi scontrate con Carlo Gonzaga e Manno Barile usciti dai trincieramenti per ributtarle; ma troppo es

sere numerosi gli offensori, troppo disuguale la zuffa, perché eglino possano resistere a lungo; già instare i Veneziani al fosso, dietro ai fuggitivi superato il fosso, chi salverà gli alloggiamenti e l'onore della giornata? » Sforza, vestita appena la corazza, si avviò volando al luogo della mischia, e seco traendo tutti coloro in cui si abbatteva. Vi giunse appunto in quel mentre che Manno Barile veniva fatto prigione, e Carlo Gonzaga, ferito in un occhio, se ne fuggiva portando a Milano la falsa nuova di una sconfitta. Ma il fosso non era ancora superato, e, alzato il ponte levatoio, poteva essere tuttavia di grave e d'impreveduto ostacolo agli assalitori. Sforza quanti soldati ritrovò, tutti ve li radunò a far testa: poscia a mano a mano li distribuì per le trinciere: alla fine, ripigliato animo, impose al fratello Alessandro di girare il bosco, e percuotere i nemici di fianco, e a Mariano di Calabria e al Turco comandò di occupare con più lungo circuito la bocca del cammino pel quale essi erano entrati. Ciò fatto, si mescolò egli medesimo tra quelli che combattevano alla prima fronte, e, intermesso l'ufficio di capitano, assunse quello di soldato. Lo raffigurò dalla banda opposta Roberto di Montalbotto, e: «Conte, gli gridò, quest'oggi non te ne parti senz'acqua calda ». A cui Sforza con chiara voce: « Bada di non dover rifare i conti con l'oste» (1).

Frattanto l'iniquità del luogo boscoso e sdrucciolevole, e lo spingersi che facevano le schiere venienti le une addosso alle altre, avevano generato nei Veneziani una non piccola confusione e perplessità. Sforza, al

(1) Cagnola, St. di Mil. p. 93.

vedere le loro lancie mescolarsi e ondeggiare, come se agitate dal vento, se ne accorse, e tosto: « su via, grida ai suoi, passate il fosso, la vittoria è nostra! » Detto fatto. Nel medesimo punto altre squadre feriscono i Veneziani alle spalle, altre li percuotono nei fianchi, sicchè la vittoria solo per pochi istanti è contesa. Proseguendo la quale, gli Sforzeschi entrarono insieme coi fuggitivi negli alloggiamenti custoditi dal Colleoni, e, tranne lui, che per incognite vie fuggì a Bergamo, di ogni cosa e persona che vi era s'impadronirono. Militavano nell'esercito della Repubblica 5000 fanti, e 12,500 cavalli; di tutto questo numero 1500 uomini appena, chi quà chi là, gettando armi e bagagli, si misero in salvo.

Fu la giornata di Caravaggio pei suoi effetti la più importante di quante e prima e dopo venissero combattute in Italia per tutto quel secolo: pure un uomo appena, se merita fede l'accurato Sanuto, vi restò morto: così bene le soldatesche erano difese nella zuffa dalle armature, nella disfatta dallo arrendersi! (4) Chi ne pagò le pene fu al solito il più innocente. Michele Attendolo, fuor della cui saputa e volontà avevano i provveditori fatto cominciare la battaglia, fu dal Senato rimosso dal comando dell'esercito e confinato in Conegliano, con provvigione di mille ducati (2).

(1) Sanuto, 1129. Joh. Simonett. 1. XIII. Cristoforo da Soldo, 851. Cagnola cit., p. 91-94.

(2) Navagero, 1113 (t. XXIII).

IV.

Però Francesco Sforza, che in questa campagna s'era acquistato, ed a buon diritto, la fama di grandissimo capitano, a ben altro fine che alla esaltazione dei Milanesi intendeva indirizzare la vittoria di Caravaggio. Era tra i prigionieri un Clemente Tealdini segretario dei provveditori veneziani e molto famigliare di Francesco Simonetta, che esercitava uguale ufficio presso di lui. Avutolo a sè, Sforza gli impose, che in gran segreto si recasse a Venezia, e in caso che trovasse il Senato desideroso di pace, lo consigliasse a mandare incontanente a trattarne Iacopo Marcello, o Pasquale Malipiero. Giunse il Tealdini a Venezia quasi ad un tempo cogli oratori inviati a somigliante effetto dalla repubblica di Milano. Il Senato trattenne questi a parole, e spedì senza indugio il Malipiero con ampie facoltà allo Sforza. Insomma non erano ancora trascorsi trentatrẻ giorni dalla bat18 8bre taglia di Caravaggio, che tra lui e i Veneziani venivano a Roveltella conclusi siffatti capitoli di accordo, che rovesciavano a' danni dei Milanesi tutti i vantaggi della vittoria riportata coi proprii denari.

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Importava la somma di que'capitoli, che quindi innanzi sarebbe stata pace e sincera alleanza offensiva e difensiva tra il conte Francesco Sforza e la serenissima Repubblica di Venezia: che questa lo avrebbe aiutato a sottomettere Milano con 6000 cavalli, con 2000 fanti e con una provvigione di 13,000 ducati al mese: che, ciò fatto, avrebbe il conte ritenuto per sè la parte della Lombardia, la quale era appartenuta negli ultimi tempi a Filippo Maria Visconti; il resto

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