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compagno Bernardino figliuolo di Carlo da Montone.

Rapidi progressi segnalarono a prima giunta le fatiche di questi due capitani. Occupato il Polesine di Rovigo, occupato Comacchio e Lendinara, dopo un Jungo assedio sulla fronte di Federico d'Urbino s'impadronirono altresì di Figheruolo; per lo che oramai le loro scorrerie si distendevano sino a Ferrara, e molto più in là ne sarebbero andate le armi, se un esercito napoletano capitanato dal duca di Calabria non avesse astretto il Papa a richiamare piucchè in fretta alla difesa di Roma Roberto Malatesta con tutte le soldatesche della Chiesa. Vennero queste a battaglia col nemico a Civita Lavina presso Velletri. Prima della mischia, scôrse il Malatesta tra i capi squadra un giovinetto di nobile presenza e riccamente armato. Chiamatolo a sẻ, gli domandò chi fosse.

Son Gian Jacopo Piccinino, rispose il garzone arrossendo». Ebbene! sclamò Malatesta, eccoti una bella occasione di vendicare nel sangue aragonese l'iniqua morte del padre tuo ». Detto fatto, consegnogli il destro corno e mandollo alla pugna: commise il sinistro ai fuorusciti del regno di Napoli, riserbò la battaglia a se medesimo. Entrambi gli eserciti combatterono a lungo con disusata costanza e ferocia. Alfine l'arrabbiata foga del Piccinino e la superiorità delle fanterie pontificie, che, inframmettendosi a' cavalli nemici, sbudellavänli alla sicura, costrinsero i Napoletani a volgere le spalle. Roberto Malatesta accolto in Roma a trionfo, di fatica, o, come si disse, di veleno ministratogli invece di premio, vi mori (4)..

(1) Alb. de Ripalta, 967 (t. XX). → Sanuto, 1222.

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V..

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Poche ore dopo la morte di Roberto Malatesta man- 40 7bre cava in Ferrara d'infermità Federico d'Urbino, emulo del padre di lui Sigismondo, e principe, intorno al quale restò in dubbio se meritasse maggiori lodi dalle arti della pace ovvero da quelle della guerra. Nato nel 1422 d'illegittimi natali da Guid'Antonio da Montefeltro, signore d'Urbino, di Cagli, d'Agobbio e di Casteldurante, i nomi di Guido, di Nolfo e degli altri suoi antenati, saliti a fama ed a potenza nel mestiero delle armi, inclinaronlo fino dai primi anni verso questa professione. A ciò lo spingeva eziandio la necessità; posciachè l'origine sua l'escludeva dal seggio paterno in concorrenza d'Oddantonio figliuolo legittimo. A varcare dell'infanzia ebbe per maestro Venturino da Feltre, il più illustre institutore di quel secolo nelle buone lettere e nel gentil sentire. Quindi una giovenile amistà da lui contratta con un Ubaldino della Carda ed un Guidazzo Manfredi lo indusse ad entrare sotto la disciplina di Niccolò Pieeinino, ehe militava al soldo del duca Filippo Maria Visconti. V'entrò come uomo d'arme, solo, senza seguito, senza danari, senz'apparecchi. Poco stante, essendo morto il padre d'Ubaldino della Carda, e rimastane perciò vacante la compagnia, il Visconti ne distribui il comando tra Ubaldino medesimo e Fede+ rico. Era allora l'età di lui verso i sedici anni, e bol liva guerra tra Milano e Venezia. Il giovinetto con

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quel grado guerreggiò bravamente nel Bresciano contro il Gattamelata, accompagnò il Piccinino in Toscana, e stava appunto occupato a trasportare artiglierie nel Casentino, quando accadde la disfatta di Anghiari.

Essendosi perciò rivolti gli sforzi dei vincitori verso la Marca e la Romagna, ei li sostenne valorosamente, massime contro Sigismondo Malatesta, cui ruppe a Montelocco, e spogliò con ardito colpo di S. Leo, fortissima piazza, che rimase poi sempre nelle sue mani. Di qui i rudimenti della mortale inimicizia tra Sigismondo e Federico, superiormente accennata. Federico militò poscia sotto il Piccinino nell'Umbria, pugnò con Ciarpellone, e dopo la funesta giornata di Montelauro difese per ben 18 mesi la città di Pesaro dalle armi unite di Francesco Sforza e del Malatesta. A. 1414 Da Pesaro un inaspettato evento portollo alla signoria di Urbino. Avevano gli abitatori di essa ucciso Oddantonio fratello di Federico, e vendicato in un istante le oppressioni di molti anni: Federico entrandovi fra le acclamazioni del popolo, giurò perdono e obblio del passato e una nuova era di prosperità cominciò non meno pei sudditi che pel principe (1)..

Era uso dei signorotti della Romagna, che, non potendo colle rendite dello Stato sostenere il decoro conveniente al proprio grado, vi sopperissero colle paghe e cogli acquisti da condottiero; i sudditi, numerosi, agguerriti e poveri, di buon grado li seguivano ad acquistarsi nelle guerre di fuori oro ed onore. Talora quei signorotti concedevano per certo

(1) Baldi, Vita di Federico d'Urbino, L. I.

prezzo ai maggiori principi la facoltà di reclutare soldati nelle proprie terre: più spesso, parte col comando, parte colle allettative, essi medesimi ne levavano il numero pattuito, e li guidavano al soldo altrui. A tale effetto di tempo in tempo, si scriveva sui ruoli il fiore della gioventù: al sopraggiungere di un pericolo, al crescere della sua condotta, il signore chiamava a servirlo la quantità d'uomini necessaria, somministrava loro vesti ed armi, distribuiva la presta, ed eccó la compagnia fornita (1). Così le milizie di Urbino, di Rimini, di Faenza e di Città di Castello venivano mantenute a spese di Mi-. lano, di Venezia, di Firenze e di Roma: nè ad un bell'uopo mancavano esse alla difesa della patria : imperocchè il medesimo principe solitamente le comandava fuori, e le reggeva dentro; sicchè anzi pel continuo uso della guerra vi si rendevano più atte. Aggiungasi la protezione e la stima, che il principe. si conciliava presso gli Stati da lui serviti.

In questo modo il nuovo ufficio di conte di Urbino, anzichè rimuovere Federico dall' esercizio di condottiero, gli prestò i mezzi onde professarlo con maggior vantaggio e magnificenza. Morto Niccolò Piccinino, accettò egli coll' assenso del Papa da Francesco Sforza (il quale non era ancora duca di Milano) la condotta di 400 lancie di altrettanti fanti, a comune conservazione degli Stati. Qual fede gli serbasse, ricettando lui perseguitato e misero

(1) Cron'd' Agobbio, p. 996 (t. XXI). — Baldi, Pita di Guidobaldo duca d'Urbino, 1. ¡X. 121. VIII. 78. — Sacchetti, Novella, 119.

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nelle proprie terre, sovvenendolo con tutte le sue forze, rifornendolo di arme e di viveri, epperciò appunto esponendosi all'odio ed alle ostilità di tutta la Lega, già raccontammo. Partito lo Sforza per la Lombardia, Sigismondo Malatesta fece ribellare Fossombrone a Federico. Ricuperolla questi in capo a tre di le sue soldatesche smaniavano dalla voglia di mandarla a ferro ed a sacco; Federico lo vietò sotto severe pene; però, mentre per le vie va a viya forza ritraendo gli armati dallo ingiuriare i cittadini, s'abbattè in un gruppo di gente furiosa, che trascinava a morte con mille strazii colui ch'era stato il capo della rivolta. Federico il conobbe, e tosto accorre, gettasi in mezzo alla folla, fa salire in groppa lo sciagurato e lo salva. Indi a pochi giorni, addoppiando benefizii a benefizii, lo creava suo tesoriere (1). Con simiglianti azioni Federico da Montefeltro si procacciava quella fama di buono e di magnanimo, cui, grazie al cielo, nè la forza, nè la fortuna bastano a far conseguire.

Aggiustate le sue cose, Federico militò con ugual fede ai soldi di Firenze, di Napoli, del Papa, di Venezia e di Milano. Aveva il re Alfonso giurato di non accettare ai suoi servigi verun condottiero italiano senza riceverne malleveria: ma essendosi presentata l'occasione di assoldare Federico d'Urbino, il re, anzichè rimaner privo di tanto capitano, o mancare al suo giuramento, impegnò, narrasi, se medesimo ai proprii tesorieri. Sotto gli stipendii della Chiesa, Federico terminò la mortale sua contesa con

(1) Baldi, Vita di Federico, 1. II. 90.

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