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somministravano appoggio gli egregi doni da essi accortamente distribuiti fra i cortigiani. Tosto, benchè senza apparecchi, e contro il parere di tutti i più savii, fu risoluta e intrapresa una spedizione contro il regno di Napoli.

Appena saputo ciò, il papa e il nuovo re di Napoli Alfonso, che era in questo mezzo succeduto a Ferdinando, mandarono un esercito in Romagna affinchè si opponesse al passaggio dell'avanguardia francese. Era in questo esercito il fiore dell'italiana milizia ; Ferdinando duca di Calabria col consiglio del marchese di Pescara n'era capitano generale: il conte da Pitigliano comandava alle genti della Chiesa e vi militavano colle loro bande romagnole Naldo e Vincenzo da Brisighella rinnovatori della fanteria italiana, e colle loro compagnie d'uomini d'arme Annibale Bentivoglio e Bartolomeo d'Alviano, le cui azioni saranno materia di più lungo discorso. Ma sovra tutti per grandezza di fatti e di riputazione primeggiava Gian Iacopo Triulzio. Era questi, come altrove dicemmo, stato uno dei principali guidatori della guerra mossa nel 1487 contro i Veneziani, e del trattato di pace concluso a Bagnolo. Quindi aveva aiutato il re di Napoli a sottomettere i baroni ribelli, racquistato al papa Osimo occupatagli da un Boccalino dei Guzzoni (1): alla fine la bassa gelosia di Ludovico il Moro l'aveva astretto ad abbandonare gli stipendii di Mi

(1) In premio di queste imprese aveva egli ottenuto dal papa il contado di Belcastro, e dal re il titolo di capitano generale delle sue armi, colla condotta di 500 cavalli e colla provvigione di 2000 ducati. Rosmini, Vita del Triulzio, 1. IV. 148-188. 1. V. doc. 20.

lano: era allora passato ai servigi del re di Napoli, da cui era stato spedito con podestà viceregale nell' Abruzzo a reggervi le genti d'arme.

Del resto le forze dei Napoletani e Pontificii radunate in Romagna superavano di molto le francesi ; risoluta poi era l'opinione del Triulzio e del Pescara di venire a giornata primachè il re di Francia sopragiungesse col resto dell'esercito, e rendesse impossibile non solamente il vincere, ma il fermarsi. Ciò nulladimeno, sia perchè così suonassero gli ordini segreti dati dal papa Alessandro vi al conte da Pitigliano, sia per sua naturale lentezza e irresoluzione, stette questi immobile contro ogni consiglio un po' rischioso. Invano il Triulzio offerse per malleveria della prossima vittoria il capo del proprio figliuolo ; invano fece distendere in carta solennemente il proprio parere, e tanto si affaticò, che trasse dalla sua eziandio il duca di Calabria. Allorchè il Pitigliano più non ebbe ragioni da opporre, e a suo malgrado fu deliberato di uscire a battaglia, chiese in grazia che essa venisse differita al giorno seguente. Conseguita la domanda, quella notte stessa tenne modo, che i Francesi passassero a man salva fra i suoi alloggiamenti e quelli dei Napoletani, e rendessero perciò vano qualsiasi tentativo di raggiungerli (1). Così l'occasione di combattere fu perduta e per sempre. Quindi il campo della lega senza aver nulla operato ritiravasi verso Roma, alla quale oramai soprastava l'esercito condotto in persona dal re di Francia.

(1) Rosmini cit. I. V. 213.—Giovio, Ist. l. I. p. 42. — Guicciard, I. I. 208, – Comines, Mémoires, l. VII. ch. 1-7.

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Erasi questi pel Monginevra e per l'Apennino di settemb Pontremoli calato senza ostacoli dalla Francia in Lombardia, e dalla Lombardia in Toscana, con gran terrore dei popoli, i quali rimanevano smarriti al mirare le non più viste ordinanze a piedi degli Svizzeri e dei Guasconi, e il ricco seguito degli uomini d'arme e dei cavalleggieri, e l'immenso traino dei cannoni e delle colubrine, quale otto, quale dodici piedi lunga, quale impernata sopra due ruote, quale sopra quattro, e tutte trascinate con velocità increlibile dai cavalli (1). Si raddoppiò la tema e la meraviglia degli Italiani, allorchè seppero che Fivizzano, terra dei Fiorentini, la quale per que' tempi era riputata molto forte, era stata in un batter d'occhio presa d'assalto e sterminata di averi e di abitatori. Ciò non pertanto l'esercito francese, essendo come chiuso tra i monti ed il mare, coi forti di Sarzana e di Sarzanello alle spalle, con Firenze a fronte, gli A pennini e la flotta aragonese ai fianchi, ed avendo oltre a ciò contraria a sè non meno la natura della stagione che l'animo degli abitanti, sarebbe stato ridotto in pochi giorni a gravissimi partiti, se Piero de' Medici, padrone di Firenze, non avesse amato meglio di smembrare la patria di mezzo il dominio, affine di signoreggiare con quiete sopra l'altra metà. Questa falsa lusinga l'indusse a cedere al re di Francia, non che Sarzana e Sarzanello, ma Pietrasanta e Pisa e Livorno, e di giunta la somma di dugentomila ducati. Così il cammino di Napoli fu spalancato

(1) V. la descrizione della entrata del re in Roma nel Giovio (l. II, f. 59).

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agli invasori. I Pisani presero da ciò argomento per levarsi dal collo il giogo dei Fiorentini, i Fiorentini per sottrarsi da quello di Piero de' Medici: Carlo viii, entrando in Firenze colla lancia in resta, più non rinvenne che cittadini irritati, case piene di villani, vie gremite di genti d'arme; e quando nella piazza dei Signori Niccolò Capponi osò stracciargli in faccia i capitoli dell'accordo proposto dai regii segretarii, il re conobbe qual differenza passi tra un popolo che colle proprie mani difenda i proprii diritti, e un principe che ne faccia mercato per regnare (1).

L'approssimarsi di Carlo VIII a Roma fe' divampare dicemb. l'incendio, che da gran tempo covava contro i Reali di Napoli. I Colonnesi si scoprirono per Francia, e stesero le correrie fin sotto la città; Fabrizio Colonna occupò i contadi d'Albi e di Tagliacozzo; l'Abruzzo spiegò la bandiera francese; Virginio Orsini, ancorchè gran conestabile e congiunto del re di Napoli, permise ai suoi figliuoli di pigliare servizio presso il nemico; da ultimo il papa, dopo essersi coi cardinali rinserrato in Castello S. Angelo, fece aprire ai Francesi le porte di Roma, mentre che il duca di Calabria, rifiutando magnanimamente il salvocondotto da esso offertogli, per la porta opposta ne usciva coll'esercito napoletano (2). All'udire queste novelle il re Alfonso, agitato dai rimorsi, quasi abbia i nemici addosso e il popolo attorno tumultuante per ucciderlo, rinuncia al trono, e coi tesori ricovera in Sicilia.

(1) Guicciard. I. 266. —Giovio, II. 52. — Segni, Vitą di Niccolò Capponi.

(2) Burckardi, Diar. p. 2061 (ap. Eccard, Script. German. t. 11). Comines, VII. 12.

Rimase re il giovine Ferdinando duca di Calabria, A. 1495 quando il regnare pareva castigo. Tuttavia, fattosi animo, ridusse l'esercito, che sommava a cinquanta squadre a cavallo ed a 6000 fanti, presso le rive del Garigliano al passo di S. Germano. Quivi, avendo da un lato altissimi gioghi, dall'altro inaccessibili paludi, a fronte un fiume ricco d'acque e difficilmente guadabile, si persuase di potere resistere ai Francesi con onore e fortuna. Se non che la paura e la mala fede dei difensori apersero al nemico in un istante quella strada, che le vive armi non gli avrebbero aperto giammai. Infatti, non appena i Napoletani ebbero veduto l'avanguardia francese, che parte sbigottiti dalle stragi da questa fatte nella espugnazione di parecchie terre, parte corrotti da private passioni, fuggirono alla dirotta dall'inespugnabile posto, lasciandosi addietro otto pezzi di grossa artiglieria. Seguitavano loro a tergo di mano in mano i Francesi sparsi e disordinati, inoltrandosi quasi a modo di viaggio, ciascuno a suo piacimento, senza ordini, senza bandiere, senza comando di capi, ed alloggiando il più delle notti là donde il mattino si erano partiti gli sciagurati Italiani (1).

Il misero Ferdinando raccolse a Capua le reliquie dell'esercito prima rotto che assalito. Ma bentosto, spaventato dai progressi dei Francesi, mandava il Triulzio a offerire al re Carlo VIII vantaggiosissime condizioni di pace, ed in persona volava a Napoli per raffermarvi in fede gli animi vacillanti della plebe. Prima però di partire, promise che sarebbe ritornato

(1) Guicciard. 1. 283. — Giovio, II. 71. — Comines, VII. 16.

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