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coviglio dei soldati di ventura. Ciò non pertanto il Valentino medesimo fu condottiero, e tale si dimostrò sia nel pigliare condotta dai Fiorentini e dal re di Francia, sia nel subitaneo suo crescere e precipitare: se non che le forze, i denari, e la riputazione della Chiesa conciliavano alle armi di lui, sopra quelle di tutti gli altri capitani, pregio e fermezza (1).

V.

Mentre che nel giro di pochi giorni al papa Alessandro vi succedeva Pio ш, ed a Pio ш papa Giulio 1, un esercito francese guidato dal marchese di Mantova era proceduto sino al Garigliano; dove avendo gettato un ponte e guarnitane la testa, si era accampato col proposito di passare, tosto che arrivassero i denari dovuti agli Svizzeri, e tostochè le malattie e il tedio domassero la costanza del Consalvo, il quale coll'esercito spagnuolo si era alloggiato sulla opposta riva in un sito paludoso e mortifero. Ma le infermità, invocate sopra gli altri, scoppiarono eziandio tra i proprii, e con tanto maggior danno, quanto che agli Spagnuoli il paese amico, la virtù dei capitani, il favore degli Orsini, e la naturale sobrietà della nazione scemavano il peso dei mali; ed a' Francesi e Svizzeri, naturalmente insofferenti di stare fermi e di patire, le intestine discordie aggravavano la comune sciagura. In breve per evitare maggiori danni s'indussero ad allargare alquanto più gli alloggiamenti pel paese. Lo seppe Bartolomeo d'Alviano, il quale militava dalla parte opposta, e subito propose al Consalvo di pas

(1) Intorno alle forze militari del duca Valentino, V. la nota XXV.

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sare il fiume ed assaltarli. Approvato l'audace partito, con molta segretezza costruì, in un casale vicino a Sessa, un ponte di botti e zattere; quindi lo 27 xbre condusse di notte al Garigliano, lo gettò al passo di Suio quattro miglia più in su di quello dei nemici, e prima tutto l'esercito spagnuolo ebbe varcato il fiume, che i Francesi si avvisassero di impedirlo. Allora questi si avviarono ritirandosi verso Gaeta. Ma invano la loro cavalleria, ora fermandosi, ora leggermente combattendo, tolse a proteggerne la marcia: invano tutto l'esercito, mutata fronte, pugnò per alquanto spazio di tempo con molta ferocia al ponte di Mola: arrivati al crocicchio delle due vie, delle quali l'una va a Gaeta, l'altra ad Itri, i Francesi, sempre inseguiti alle spalle dall' Alviano, e sempre pieni di sospetto di venire anche assaltati ai fianchi, ruppersi a fuggire disordinatamente. Per conseguenza di cotesta fuga pochissimi di loro, e questi pressochè nudi e affranti dalla fame e dalla fatica, riuscirono a ritornare in patria: i più di stento quà e là morirono per le terre d'Italia, novello ma inefficace esempio all'ambizione degli invasori (1).

Questa famosa rotta, e un trattato di tregua e A. 1504 poscia di pace concluso tra la Francia e la Spagna, sospesero per alcun tempo i rumori di guerra nel regno di Napoli. Da ciò Consalvo di Cordova prese argomento di risecare gli stipendii ai condottieri Italiani. L'Alviano, che ben altro guiderdone si aspettava alla straordinaria brayura da esso lui mostrata nella ultima guerra (e in realtà era egli stato precipuo

(1) Ulloa, cit. I. 30. Guicciard. VI. 99.

strumento della cacciata dei Francesi), gridò e minacciò contro cosiffatta risoluzione: alla fine, veggendo succedere a vuoto le grida e le minacce, rinunziò alla sua condotta, e se ne parti. Sulle prime pensò di impadronirsi di Rieti; ma Fabrizio Colonna glielo impedi. Allora si accampò nelle vicinanze di Roma, e di quinci entrò in trattative di occupare Orvieto, e aperse pratica cogli Orsini e coi signori di Siena e di Perugia per rimettere i Medici in Firenze, soccorrere Pisa, e, se la fortuna gli fosse seconda, procedere anche più in là. Dura necessità, che lo costringeva a cominciare la guerra, tosto che gli Stati la terminavano tra loro! Dopo alquante titubazioni fermossi nel proposito di assaltare i Fiorentini.

Erano costoro per cagione della guerra pisana ridotti allo estremo di forze e di consiglio: chè il supplizio di Paolo Vitelli, anzichè agevolare le operazioni della guerra, le aveva difficoltate; sicchè oramai era essa degenerata in un barbaro sterminio degli averi e delle persone. L'Alviano camminò speditamente, finchè non pervenne nello Stato di Piombino: quivi fece alto, e si soffermò tanto tempo, quanto gli bastò per ricevere l'assenso dei Pisani, e i soccorsi del Baglioni e del Petrucci. Ciò conseguito, con 240 uomini d'arme, 120 cavalleggeri e 500 agosto fanti accogliticci marciò sopra Firenze. Alla Torre di S. Vincenzo gli si fecero incontro le genti fiorentine guidate da Ercole Bentivoglio. L'Alviano vi accettò battaglia; ma sopraffatto dalla sagacia dei nemici, che seppero investirlo da tre parti e rivolgergli addosso il fuoco di sei falconetti, cedette, e a grande stento

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con soli dieci cavalli fuggì sopra il territorio di Siena (1).

Ma non per ciò s'abbandonava egli d'animo. In pochi giorni tra di soldati fuggiti, tra di venturieri racimolati alla meglio negli Stati della Chiesa, rifece la sua compagnia, e tornò a sventolare la sua insegna. Due anni appresso insieme con Niccolò Orsini conte da Pitigliano, si conduceva agli stipendii di Venezia, e in breve con nobilissime vittorie compensava abbondantemente la vergogna della disfatta riportata alla Torre di S. Vincenzo.

Era la repubblica veneziana in guerra con Massimiliano re dei Romani; e, non ostante la rigidezza dell'inverno, si erano le costui soldatesche calate nella valle di Cadore. L'Alviano non si tosto ne ebbe no

(1) Nardi, Vita di Antonio Giacomini. — Ammirato, XXVIII. 279.Guicciard. VI. 156.

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Il Buonaccorsi (Diario, p. 114) ne lasciò la nota delle genti messe in campo in questa occasione da una parte e dall'altra. Erano fra gli assalitori: Bartolomeo d'Alviano con uomini d'arme 70. Chiappino Vitelli con uomini d'arme 35. Gian Corrado Orsini con uomini d'arme 30. Giambattista da Stabbia con uomini d'arme 20. Signor Stefano da Montone con uomini d'arme 20. Troilo Orsini con uomini d'arme 15. Pasqualino da Piombino con cavalleggieri 80. Scoppiettieri a cavallo 20. Lancie spezzate 50. Stradiotti 20. Scoppiettieri a piedi divisi sotto due capi 15. Fanti sotto due capi 500.

Nel campo fiorentino si trovavano: Marcantonio Colonna con uomini d'arme 60. Iacopo Savello con uomini d'arme 40. Annibale Bentivoglio con uomini d'arme 60. Lancie spezzate 20. Cavalleggieri balestrieri del signor Marcantonio Colonna 20. Balestrieri di mess. Annibale Bentivoglio 20. Cavalleggieri di Iacopo Savello 20. Mess. Malatesta da Cesena con cavalleggieri 60. Cavalleggieri di Paolo da Parrano 40. Ercole Bentivoglio governatore con cavalleggieri 500. Fanti 800.

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vella, radunò i suoi, e con meravigliosa prestezza 23 febb. superò quei gioghi carichi di neve. Presso Cadore sostò alquanto per aspettare le fanterie che erano rimaste addietro; allora col favore soprattutto della popolazione divotissima ai Veneziani occupò tutti i passi della valle. I Tedeschi, fatto di se stessi un globo e messevi in mezzo le donne ed i figliuoli, si avanzarono a battaglia; e più combattendo per desiderio di morire che per speranza di vincere, mille vi restarono uccisi, gli altri tutti prigionieri. In conseguenza di codesta vittoria l'Alviano sottometteva alla repubblica Portonavone, Cremonsa, Gorizia, Trieste, Fiume e Pordenone, e le procacciava vantaggiosissime condizioni di pace. Venezia ricompensollo, accogliendolo in città trionfalmente nel bucintoro, raddoppiandogli lo stipendio, concedendogli la condotta di mille cavalli, e donandogli tutte le artiglierie prese al nemico (1).

Frattanto i Fiorentini, inanimiti dalla vittoria riportata alla Torre di s. Vincenzo, si erano voltati con novello ardore alla oppugnazione di Pisa. Rotto il muro, un colonnello di fanti (così chiamavano allora una schiera di circa mille uomini a piedi) fu designato dalla sorte a montare all'assalto. Ma benchè fossero a terra ben 156 braccia di muraglia, non autorità, non prego dei capitani, non senso di onore proprio o comune della italiana milizia, valsero a spingere innanzi i vituperati. Tornossi perciò di 8 giugno nuovo al guasto ed alla ossidione, finchè, dopo avere

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(1) Bembo, Storia Venez. 1. VII. p. 38-44 (Milano 1809). — Guicciard. VII. 277.

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