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di Martinengo, terra situata tra Bergamo e Brescia.

Riputavala impresa di poche ore: ma, oltrechè il Piccinino aveva avuto tempo di introdurvi soccorso, non fu lento ad avvicinarvisi in persona con tutto l'esercito ducale. Bentosto, avendo occupato e messo in forte tutti i passi intorno intorno, ridusse lo Sforza da assediatore ad assediato: e già il pane ed i foraggi erano pe'costui soldati il prezzo giornaliero di calde zuffe e di molto sangue; sicchè nel campo di Sforza non pochi uomini e cavalli venivano meno ad ora ad ora di fame e di stenti, e il fermarsi diventava mortale, il muoversi sempre più difficoltoso (1). In tali estremità del nemico, come il Piccinino riputava certissimo il proprio trionfo, così stimò opportune di assicurarsi del premio. Chiese adunque addirittura al duca di Milano che gli infeudasse Piacenza. « Essere oramai tempo, dopo tante promesse e tanti sudori, d'avere un luogo, dove posare le ultime ore di una travagliosa carriera: stare in suo pugno l'esercito di Venezia, e le sorti della Lombardia; però non dovere parer grave tale domanda, dall'assenso o rifiuto della quale (aggiungeva) poteva forse dipendere il vincere od il perdere ».

L'improvvisa richiesta, e più della richiesta la mal repressa minaccia che vi stava unita, e le istanze consimili di tre altri condottieri pretendenti chi Novara, chi Tortona, chi le terre del Bosco e del Fregaruolo, furono come colpi di folgore al vano e ge

petto di Filippo Maria Visconti. « Adunque già sono pervenuti a tal segno codesti condottieri, che,

(1) Spirito, L'altro Marte, c. LXII

vinti, se ne debbano pagare le improntitudini, vincitori, se ne debbano soddisfare appuntino le voglie e prostrarsi ai loro piè, peggio che se fossero nemici? Dovrà egli adunque, il duca di Milano, mercanteggiare la vittoria dai proprii soldati, e spogliarsi vivo per impetrarne favori? Dai nemici s'accettano pattì, ai sudditi s'impongono; e se cedere è d'uopo, cedasi almeno al più degno, e a cui ceduto si sia già ». Infiammato da queste considerazioni, senza più Filippo Maria spedisce in gran segretezza allo Sforza un fidato ministro, acciocchè con lui e coi provveditori Veneti conchiuda in fretta una tregua. Ciò fatto, questi si presentò al cospetto del Piccinino, e sfoderandogli un ordine espresso del duca, gli intimò di far cessare immediatamente le ostilità.

Qual rimanesse a questo comando l'impetuosa mente di Niccolò, pensilo chi conosce tutte le tempeste dell' odio e dell'ambizione. Dopo tante battaglie indecise, dopo il recente scorno d'Anghiari, eragli alfine 'il nemico caduto in suo potere: ancora pochi istanti, ed avrebbe contemplato a suo agio rotta la superbia, rotti gli ambiziosi disegni di Sforza sopra Milano e la Romagna; disfatta quella sua scuola formidabile, e sopra la rovina di essa innalzarsi la propria potenza, e solo e primo rimanere tra i condottieri d'Italia, e forse coll'adito aperto al principato. Ora una sola parola cancellava tutto questo! Invano per acquistar tempo, e ridurre frattanto Sforza a peggior termine, il Piccinino mise in campo ciancie e preghiere. Il duca di Mis lano, che voleva la pace, e ad ogni costo e tostamente la voleva, lo fece minacciare di voltargli contro non solo il proprio esercito, ma altresì quello dei Veneziani;

1441

e fu uopo al Piccinino di cedere. Racconta nondimeno un contemporaneo (1), che dopo la proclamazione della tregua, essendosi Nicolò recato a visitare Sforza, ambedue nel vedersi si corsero incontro, e baciandosi in volto, e lagrimando di letizia, si gettarono le braccia al collo con esempio seguitato dai loro seguaci. Atto che non parrà improbabile a chi sappia quanto possa una momentanea impressione, e ponga mente al fervido e mutabile ingegno del Piccinino, ed al forte e calcolativo dello Sforza.

Del resto furono incontanente spiantate le bombarde, e rimossi gli eserciti da Martinenge; quindi in Capriana per sentenza di Francesco Sforza veniva 20 9bre stabilita la pace, e pubblicata alfine in Cremona; dove un mese avanti era egli entrato per pigliarne possesso ed impalmare, come pegno di più alta fortuna, la Bianca Visconti da tanti anni desiderata (2). Al Piccinino furono per ristoro concedute in preda le terre di Orlando Pallavicini nel Parmigiano; e cosi le costui lagrime pagarono l'altrui allegrezza (3).

-(1) Crist. da Soldo, p. 828.

(2) Joh. Simonett. 305. segg. Sánuto, 1102 (R. I. S. t. XXII).

(3) Spirito, cit. c. LXII.

CAPITOLO TERZO

Dalla pace di Capriana alla morte del duca Filippo Maria Visconti.

A. 1441-1447.

ANT. CALDORA. FR. SFORZA.

NICC. PICCININO.

I. Affari di Napoli. Tradimento, disfatta, imprese e rovina di Antonio Caldora. Magnanimità del re Alfonso verso di lui.

II. Lo Sforza guerreggiato dal Piccinino e dalla Lega: spogliato della Marca: si vendica di Troilo e di Brunoro suoi condottieri, dai quali era stato tradito. Vicende di Bona e di Brunoro. Fatto d'arme di Montelauro. Grandi preparativi del Piccinino.

III. Il Piccinino nel mezzo delle speranze è chiamato a Milano. Suo addio alle schiere: suo cordoglio: sua morte, Sue qualità. Parallelo di lui con. Francesco Sforza,

IV. Il supplizio di Sarpellione risuscita la guerra contro Francesco Sforza, che viene spogliato d'ogni cosa. Sua costanza, La guerra è trasferita in Lombardia. Battaglia di Casalmaggiore. Il duca di Milano si piega in favore di Sforza, il quale perciò si prepara a soccorrerlo. Morte del duca.

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