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Se non che gli otto lustri di pace o di oscura guerra, trascorsi dal trattato di Lodi alla calata dei Francesi, avevano modificato potentemente le condizioni dei mercenarii in Italia. Morti in quel giro d'anni Guido Torelli (1), Carlo da Montone, Iacopo e Francesco zate e il rimanente camerieri, gentiluomini e capitani scelti), 500 cavalleggieri e 600 provvigionati. Due commissarii generali avevano la cura degli alloggiamenti e delle paghe, della ripartizione e riscossione delle tasse tra i sudditi, e sopraintendevano ai commissarii particolari delle città incaricati di esigere dai sudditi il danaro e di somministrarlo alle soldatesche. V. Testamento di Ludovico il Moro p. 304 (Molini, Docum. di St. Ital. t. I.)

(1) Guido Torelli, discendente dal famoso Salinguerrà signore di Ferrara, portò le prime armi in aiuto d'Ottobuon Terzo suo parente, per cui istanza venne investito di Guastalla nel 1406, con dritto di puro e misto imperio trasmessibile ai suoi discendenti. Nel 1409 accompagnò Ottobuono al luogo stabilito per convegno tra lui e il marchese di Ferrara: Ottobuono vi fu ucciso da Sforza, Guido venne preso e condotto a Modena. Uscito dalla cattività si collegò col suddetto marchese e guerreggiò a suo nome in Romagna. Nel 1415 il duca Filippo Maria Visconti lo investì di Montechiarugolo, e da quel punto Guido Torelli dedicò tutta la sua vita al servigio di lui. Essendo stato preposto nel 1423 al comando della flotta allestita contro Napoli, ottenne colà in premio dalla regina molti feudi e il titolo di primo barone della Puglia. Colà strinse amicizia con Francesco Sforza, nè si tenne pago, finchè nol fece ricevere ai soldi del Visconti. Nel 1428 il duca di Milano eresse Guastalla è Montechiarugolo in contee e concesse a Guido il proprio stemma. Nel 1431 lo creò marchese di Casei, di Cornale e di Settimo. Nel 1432 lo elesse governatore della Valtellina, di Bergamo e di Brescia. Nel 1441 lo nominò patrizio di Milano, di Parma e di Pavia. Morto Filippo Maria, Guido, mediante una speciale convenzione colle potenze guerreggianti, pose la sua Guastalla al sicuro da ogni affronto: tuttavia mandò i

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Piccinini, Bartolomeo Colleoni, Tiberto Brandolini, Roberto e Sigismondo Malatesta, Costanzo, Francesco ed Alessandro Sforza, Federico da Montefeltro, Roberto da Sanseverino, Carlo Gonzaga, Guglielmo di Monferrato, e Ghiberto da Correggio; spenti i Caldoresive gli altri gran vassalli e capitani del regno di Napoli; abbassati i più famosi cooperatori della potenza sforzesca; quasi niun altro condottiero sorse in quell'intervallo a rinfrescare la gloria delle armi. Laonde quella schiatta di capitani, che dalla guerra unicamente ricavavano i modi di sostentarsi, quasi affatto scomparve. Rimasero in piè solo quei pochi, ai quali gli ampii dominii aviti permettevano di mantenere a proprie spese un certo novero di seguaci.

Da ciò provennero due effetti. Il primo fu, che le compagnie comandate da codesti capitani erano molto piccole; sicchè avresti veduto tal gentiluomo o principe capitanare a stento una banda di cento o lab covollem och omsoil

figliuolo in soccorso di Francesco Sforza. Mori di settant'anni, l'otto di luglio 1449. Il suo corpo venne deposto in Mantova, nella chiesa di S. Francesco, nei sepolcri dei suoi maggiori. Lasciò a Guastalla qualche utile istituzione, e fondò la fortezza 10209 di Montechiarugolo.

Nel 1547 tutte le parti della contea di Guastalla passarono dalle mani dei Torelli in quelle di D. Ferrante Gonzaga e dei suoi eredi. Continuarono i Torelli a reggere Montechiarugolo. Nel 1594 Ranuccio II Farnese duca di Parma e Piacenza li accusò di tradimento, e fra i supplizii li disperse. Solo un Giuseppe Salinguerra di tenera età, quasi per miracolo, fu trafugato in Polonia. Cresciutovi, cambiò il cognome paterno de Torelli in quello di Cioleck. In capo a quattro generazioni, da costui discese quello Stanislao che fu l'ultimo re di Polonia. V. Affò, Storia di Guastalla. -Art de vérifier les dates passim.

di cencinquanta cavalli, il quale un secolo addietro ne avrebbe guidato due o tre migliaia.

Il secondo effetto fu, che i principi s'avvezzarono ad assoldare a parte a parte i venturieri, sotto il nome di lancie spezzate e di provvigionati, ed a riunirli sotto capi da loro medesimi nominati; epperciò potevano con molto maggiore facilità maneggiarli, e con molto più severe leggi tenerli in freno (1).

Restaci infatti il codice militare degli stipendiarii promulgato nel gennaio del 1492 da Astorre ш dei Manfredi signore di Faenza (2). In esso già viene proibita alle soldatesche qualsiasi richiesta di mese compiuto, di paga doppia, ovvero di emenda dei cavalli morti, perduti o guasti: le pene già cominciano ad essere personali, quando cent'anni innanzi (allorchè si militava in conseguenza di un contratto formale) queste erano poche nella legge, e quasi nulle nella esecuzione: le soldatesche non possono escire di città senza ottenerne licenza, e dare malleveria del ritorno; standone fuori oltre il tempo conceduto loro, perdono la paga. Nel medesimo codice è pur anche intimata grave pena personale e pecuniaria a chiunque cospirasse o facesse compagnia, e stabilito l'ultimo supplizio al soldato che arruolasse gente, e la conducesse fuori del dominio. Finita la ferma, dovevano i soldati guarentire di non uscire da Faenza ⚫ prima della grida solenne: fatta cotesta grida, col

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(1) «La famiglia d'arme et lancie spezate non volemo pos<< sano essere diminuite del numero... nè datone parte alcuna «<ad conducteri.... et cossi li cavalleggeri et provisionati, quali lassamo sotto il nome nostro....» Testam. di Ludov. cit. (2) Statut. Faventin. p. 772. segg. (Rer. Favent. Script.).

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residuo delle paghe soddisfacevasi ai loro creditori: quindi i magistrati obbligavano le schiere a giurare di non portare le armi contro il principe, e le mandavano con Dio. Nel caso che alcuno fosse partito prima della grida, doveva, giusta il prescritto della legge, venir dipinto per traditore e bandito nella persona, e il suo mallevadore doveva venire condannato a pagare al fisco tutto il prezzo della sua condotta.

S'erano pur anco, sia per effetto della consuetudine, sia per disposizione dei principi, stabilite alcune norme generali intorno ai modi ed ai patti di condurre a stipendio le genti da guerra. Gli uomini d'arme conducevansi a lancie; ogni lancia comprendeva tre persone, cioè un capolancia o caporale, un cavalcatore e un ragazzo, e tre cavalli, cioè un destriero o capolancia, un corsiero e un ronzino. I fanti venivano assoldati a bandiere. Una bandiera comprendeva solitamente due caporali, due ragazzi, dieci balestrieri, nove palvesai e una paga morta; sotto il qual nome, s' intendevano i servitori del capitano della bandiera od altra gente inutile, che tuttavia per suo vantaggio gli veniva valutata, come se effettivamente militasse. Le armi di ciascun soldato, sia a piè sia a cavallo, erano determinate (1). La condotta (se patto speciale non la regolava altrimenti) durava otto mesi, quattro di ferma, quattro di beneplacito. La paga di una lancia era dodici fiorini al mese (1. 144 valore in metallo, circa), quella di un

(1) Intorno la composizione d'una bandiera di fauti, nei secoli XIV e XV, vedasi la nota XXII.

1475

piazza, costrusse e destinò ad uso pubblico una gran parte della propria terra di Rumano, donò alla città di Bergamo i bagni solforesi di Trescore ed il canale dei mulini. Tutto ciò rimase a prova della bontà e della potenza di cotest'uomo, a cui la pace, anzichè levare, aggiunse lode e autorità.

La morte troncò il corso alle beneficenze del Col3 9bre leoni, quando già da sei anni la signoria di Venezia coll'ascriverlo al maggior Consiglio gli aveva dato quanto, salva la libertà propria, si poteva. Restarono di lui tre figliuole tra legittime e naturali, tutte e tre maritate nella famiglia dei Martinenghi, in altrettanti chiari ed amati suoi capitani. Tra esse Bartolomeo distribuì i due terzi del patrimonio; quattromila ducati legò in dote ad altre due sue supposte; altri béni assegnò ad alcuni congiunti; destinò quattordicimila ducati a monasteri, chiese e luoghi pii, tutte le biade dell'annata ai poveri delle sue terre, tutti gli arnesi di casa ai suoi provvigionati e famigli. Oltre a ciò rimise i debiti a tutti i suoi massari e lavoratori; nè in tanta liberalità si scordò di un Simon pazzo e del Giannone, uomini della sua casa i più vili, delle cui facezie talora dilettavasi. Delle rimanenti sostanze, cioè pel® valsente di 216,000 ducati, dichiarò erede la repubblica di Venezia, coll'aggiunta di un credito di 70,000 ́ducati, e d'altri 10,000 in contanti, i quali servissero ad elevargli una statua, e collocare in matrimonio povere donzelle. Però la sua effigie equestre scolpita dalla mano d'Andrea del Verrochio ancora ne raccomanda sulla piazza dei Ss. Giovanni e Paolo la memoria allo straniero (1).

(1) Una mattina questa statua fu ritrovata con un sacco

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