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1511

retto da Francesco Maria della Rovere duca di Urbino e da Giampaolo Baglioni.

Vendicossi il Papa della prosperità dei Francesi, novemb. invocando contro di essi dalle Alpi Retiche diecimila Svizzeri: nè senza raccapriccio potè Milano contemplare alle sue porte le loro ordinanze sventolanti ancora il medesimo vessillo che le aveva scorte alle vittorie di Morat e di Nancy. Sopra il vessillo a lettere d'oro si leggeva: ■ Domatori dei Principi, amatori della giustizia, difensori della Santa Chiesa di Roma». Però, se le buone difese preparate in città da Gastone di Foix e dagli abitanti, e se il valore e la esperienza del Triulzio valsero allora a respingere il fiero turbine, non perciò ne fu levato affatto il pericolo. Fra pochi mesi le stesse genti e lo stesso vessillo dovevano riapparire a spavento della Francia e dell'Italia nei campi di Novara e di Marignano (1). :

IV.

Sotto ben altri auspizii si aperse il nuovo anno A. 1512 1512. Il vicerè di Napoli D. Raimondo Cardona, capitano supremo dell' esercito alleato della Chiesa, dei Veneziani e della Spagna, approssimò il campo a Bologna ma intantochè sta disputando vanamente con Fabrizio Colonna e Giovanni Vitelli e Malatesta Baglioni e Pietro Navarro del luogo e del tempo e del modo di dare l'assalto ad essa città, Gastone di Foix fulmine di guerra vi accorre, e l'assi

(1) Bembo, XI. 362.
1511, citando una cron. ms.

Guicciard. X. 229. Murat. AA.

cura dagli insulti ostili: quindi torna addietro, ricupera Brescia, e tosto rientra negli Stati della Chiesa, e accosta l'esercito a Ravenna. Perciò sotto queste mura si ridussero le sorti della campagna.

1512

Due fiumi, il Ronco e il Montone, bagnano, quello alla mano destra, questo alla sinistra di chi riguarda il mare, le mura di Ravenna; inferiormente alla quale città l'uno entra nell'altro, e così proseguono finattantochè gettansi con una sola bocca nell'Adriatico. S'era il Foix attendato nello spazio compreso tra i due fiumi superiormente alla città, e già ne avea colle artiglierie battuto molto gagliardamente le fortificazioni; allorchè l'esercito della Lega, varcato il Ronco 10 aprile sotto a Forlì, e costeggiatane la sponda destra, venne a fermare verso notte i proprii alloggiamenti al Molinaccio, tre miglia sopra Ravenna. Intendeva con ciò il vicerè di costringere il Foix o a sciogliere l'assedio con vergogna, o ad ingaggiare battaglia con isvantaggio. A questo fine i confederati cinsero tre lati dell'accampamento di un fosso largo e profondo quanto il permetteva l'angustia del tempo; il quarto lato, come abbastanza coperto dal fiume, fu da essi lasciato intatto.

Ciò saputo, il Foix raduna nel più fitto della notte il consiglio dei suoi capitani, e li persuade ad assalire il nemico. Detto fatto, allo spuntare dell'alba getta un ponte sul Ronco un miglio sotto agli alloggiamenti degli alleati, e lo passa senza ostacoli; quindi, appoggiando l'ala destra al fiume, dispone le soldatesche a battaglia in ordine quasi ad esso perpendicolare. Accanto il fiume si schierò il duca di Ferrara con 700 lancie, colle artiglierie e coi fanti tedeschi a

sinistra del duca, seguitando la linea, si posero le fanterie francesi in numero di ottomila uomini tra Guaschi e Picardi, e le italiane, che montavano a cinquemila uomini, ed erano rette da Federigo Gonzaga signore di Bozzolo; venivano poscia tremila tra arcieri e cavalleggeri : l'estrema punta di tutta l'ordinanza, che distendendosi molto nella campagna, e piegandosi ad arco giungeva quasi alle spalle del nemico, era formata da 600 lancie, il fiore della francese nobiltà; ed il signore della Palissa le comandava. Stettero nel retroguardo, allato al fiume, 400 lancie sotto il governo di Ivone d'Allegri.

A codesta ordinanza, che, per essere troppo sparta nè abbastanza provveduta di riserva, peccava di debolezza, un'altra peggiore, ma affatto al contrario, opposero gli alleati. Infatti si restrinsero essi tutti in tre squadroni paralleli dentro il breve spazio dei proprii trincieramenti. Nel primo squadrone stettero 6000 fanti e 800 lancie capitanate da Fabrizio Colonna; le artiglierie più grosse vennero collocate dinanzi alla fronte degli uomini d'arme, le minute che erano trascinate sopra carrette guernite di un lungo spiedo, furono disposte innanzi ai pedoni. Il secondo squadrone comandato dal vicerè e dal marchese della Palude fu composto di 600 lancie e di 4000 fanti spagnuoli. Nell' ultimo squadrone si noverarono 400 uomini d'arme spagnuoli, e 4000 fanti; e dietro ad essi Alfonso d'Avalos marchese di Pescara, giovinetto di straordinaria espettazione, schierò i suoi cavalleggeri. Pietro Navarro spagnuolo, che dagli ultimi gradi della milizia era salito ad alta fama e dignità per la rara sua destrezza nell'oppugnare le piazze,

e specialmente nella formazione delle mine, si tenne con una eletta di 500 fanti spagnuoli preparato agli

eventi della pugna.

Avanzaronsi i Francesi, sempre più incurvando l'ala sinistra: ma pervenuti a dugento braccia dal fosso, che guerniya le spalle, la fronte, e il fianco destro dei confederati, per non dare loro quel vantaggio, si arrestarono. Così senza investirsi nè gli uni nè gli altri, stettero per qualche tempo a riguardarsi. Frattanto il duca di Ferrara, avendo ritirate le sue artiglierie dall'ala destra dell' esercito francese, le conduceva prestissimamente alla punta sinistra di esso. Giuntevi appena, cominciarono esse a trarre sopra gli uomini d'arme dell' antiguardo nemico : sicchè in un attimo il campo fu seminato di morti. Gridava Fabrizio Colonna, nel mirare l'indegna strage delle sue genti, che senza indugio si passasse il fosso, e almeno, se morire si dovea, si morisse uccidendo colle armi alla mano: ma elle erano parole. Da una parte il Navarro, avendo messo i suoi Spagnuoli col ventre a terra in un luogo che per essere basso ed accanto al fiume andava immune dai colpi delle artiglierie, pareva che desiderasse la rovina del compagno, affine di attribuire a se medesimo tutto l'onore della vittoria. Dall'altra parte il vicerè, sia per imperizia e dappocaggine propria, sia forse per occulto comando del suo re, al quale non doveva riuscir discaro lo sperpero delle forze italiane, non pigliava nessun partito. Finalmente il Colonna, più non potendo sofferire l'indegna carneficina, rizzossi in gran furore e spinse fuori del vallo le sue genti d'arme.

Seguitarono tosto questo esempio gli Spagnuoli, attaccandosi con molta furia coi Tedeschi.

Feroce fu lo scontro dei cavalli, più ostinato e feroce quello dei fanti. Ma la cavalleria italiana era stata troppo straziata dai tiri delle artiglierie, perchè potesse resistere a lungo. Tuttavia più col cuore che colle braccia continuò animosamente a combattere, finchè Ivone d'Allegri sopravvenne a ferirla di fianco, e il Colonna, avviluppato nelle artiglierie del duca di Ferrara, rimase prigione. Si cominciò allora a fuggire. E già il vicerè, cattivo capitano e peggiore soldato, si era posto in salvo col secondo squadrone.

Cosi tutto lo sforzo del combattimento si ridusse attorno gli Spagnuoli del Navarro, che intromettendosi arditamente fra le ordinanze dei Tedeschi, ed aprendoli colle daghe e colle spade, dopo avere potentemente riscosso gli Italiani dall' assalto di Ivone d'Allegri, piuttosto in forma di ritirata che di fuga, si allontanavano a lento passo pel sentiero che si stendeva tra l'argine ed il fiume. Li vide il Foix, e nell'ebbrezza della vittoria si sdegnò che quel pugno di fanti osasse di uscirgli intatto dalle mani: spronò pertanto coi più feroci suoi compagni sopra le ultime righe ma bentosto, cinto per ogni banda dai nemici, cadde e fu ucciso (1).

Di questa maniera passò la battaglia di Ravenna,

(1) Guicciard. X. 280-291.— P. Giustiniani, XI. 466.- Mém. de la Tremouille, ch. XXI. 461. — Mém. de Bayard., ch. LIV.

Mém. de Fleuranges, ch. XXIX (t. XVI. ap. Petitőt). — Udalrici Zwinglii, De gest. ad Ravenn. relatio, p. 142 (ap. Freher, Script. German. t. III).

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