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scevera le acque della Francia da quelle dell'Italia. Di colà per la valle della Stura, rompendo la balza di Piè di porco che tagliava la valle pel mezzo, scesero, non ancor terminato il quarto giorno, al Sambucco poche miglia sopra Vinadio. Così fu compita codesta impresa, che sarà in tutta la memoria dei fatti di guerra lodevolissima, e degna, se agli antichi si risguarda, di venire comparata colla famosa di Annibale, se ai moderni, colle stupende calate dello Spluga e del San Bernardo. Tanta gloria a un Italiano, il quale già aveva trascorso il settantaquattresimo anno del viver suo, era serbata! Ai Francesi apparteneva coglierne per nostro danno i frutti (1).

Mentre passavano di quel modo le artiglierie pel colle dell'Argentiera, il più degli uomini d'arme e dei fanti camminavano pei gioghi della Dragoniera e della Rocca Perotta, preceduti dal cavaliere Baiardo, che, sdegnoso di maggiori comandi, col solo grado di capitano si era acquistata fama e riverenza invidiata dai principi. Ora entrato appena in Piemonte, concepi egli nell'animo una arditissima fazione. Sapendo che stavano alloggiate in Carmagnola 300 lancie della compagnia di Prospero Colonna, e che esse vivevano senza ombra di timore, s'avvisò di uscire a furia da Savigliano colle squadre a cavallo dell'Imbercourt, dell'Aubigny e del Chabannes, sorprendere quella terra, e svaligiarvi e farvi prigioniero chi vi era dentro. Nè al disegno fu meno pronta l'esecuzione per parte dei cavalieri francesi, nei quali

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(1) Giovio, St. XV. 409. - Guicciard. XII. 173. — Rosmini, Vita del Triulzio, XI. 489.

si conservavano tuttavia alcune vestigia delle antiche instituzioni feudali e cavalleresche, e della corrispondente indipendenza e alacrità individuale, cui poscia una più accurata disciplina ristrinse e riunì attorno al servigio del principe.

Aveva Prospero Colonna avuto certo avviso dell'arrivo del Baiardo, ma non già di quello degli altri di lui compagni; sicchè più volte scherzando cogli amici si era vantato di pigliarlo, come tordo in gabbia; e in fatti prendeva nelle sue cose quella sicurtà, che in paese amico e difeso strabbondantemente gli pareva poter prendere. Con questa disposizione di animo si parti adunque sul tardi da Carmagnola per raggiungere il campo generale degli Svizzeri presso Pinerolo. Giunto a Villafranca, fece alto per refiziarsi e sentir messa. Mentre si recava alla chiesa, taluno gli disse che i nemici avevano in gran numero passato i monti, ed egli motteggiando rispondeva, che non si era ancora veduto gente armata volare sopra le Alpi. Udita la messa, siccome di nuovo gli esploratori gli riferivano che i Francesi erano vicini, chiamò uno dei suoi gentiluomini, e gli impose di scorrere con una ventina di cavalli due o tre miglia sopra la strada di Carmagnola. Ciò fatto ordinò al trombetto di suonare la partenza, tostochè avesse pranzato.

A un miglio e mezzo dalle porte, gli scorridori del Colonna scopersero da lontano i Francesi, che, avendo trovata Carmagnola vuota di gente, con grande impeto venivano verso Villafranca. Tosto quelli si rivolsero addietro; ma con non minore celerità si scagliano alle loro spalle gli arcieri a cavallo dell'Imbercourt, che li raggiungono, e insieme con

fusi, Italiani e Francesi, precipitansi dentro Villafranca. Dietro l'Imbercourt, gridando Francia Francia, galoppava Baiardo seguitato dall'Aubigny e dal Chabannes, i quali a prima giunta oppressero le guardie stordite e disarmate. Quindi senz'altro ostacolo trássero alla casa ove era alloggiato Prospero Colonna.

Vi arrivarono quando già, sbarrate le porte, e disposti i famigli, questi si preparava a difendersi virilmente. Ma troppo presto fu a sopraggiungervi il cavaliere Baiardo, il quale, avendo rotte le porte, e scalate le finestre, inondò le camere di armati, e gli comandò di arrendersi. Prospero gli chiese chi egli fosse; avendo inteso che egli era Baiardo, e che con lui si trovava il fiore della nobiltà francese; « volentieri a voi mi arrendo», esclamò, e rimase prigione. La innocente terra insieme con tutte le soldatesche che vi erano dentro, andò a bottino: il Colonna, tra suppellettili, vasellame e danaro spiccio, vi perdette meglio di cinquantamila scudi.

Aveva il cavaliere Baiardo grande capriccio in sui lunghi ragionamenti. Un di volle far toccare con mano al Colonna suo prigioniero, ch'egli doveva ringraziare il cielo della propria cattività; stantechè lo liberava dalla certa morte e sconfitta, a cui senza fallo sarebbe andato incontro nel corso della guerra. Ben io mi avrei volentieri pigliato codesta briga rispose fra i denti il condottiero romano. Per l'opposito un'altra volta nel discorrerne col Triulzio, essendo sfuggito di bocca al Colonna, che l' infortunio succedutogli a Villafranca poteva accadere a qualsiasi. « A voi sì, a me no» soggiunse un po' bruscamente il

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maresciallo, solito ad avere di se stesso ben altri concetti (1).

VII.

La subita calata dell'esercito francese, e l'inaspettata sconfitta e presa di Prospero Colonna, astrinsero gli Svizzeri a ritirarsi primieramente a Novara, e quindi a Gallarate, sempre nella incertezza se dovessero seguitare nel servigio della Lega, dalla quale si miravano pressochè abbandonati, oppure accettare le larghe condizioni di pace, che loro andava proponendo l'inimico. Levò tutte codeste incertezze l'arrivo di venti insegne di genti guidate dal Rostio capitano presso loro di molta estimazione; perlocchè, rigettate le offerte del re Francesco 1, si ridussero da Gallarate a Milano, sia per difendere la città dai Francesi, sia per appropinquarsi all'esercito del Papa e del re di Spagna, che sotto il governo di Lorenzo de' Medici e del vicerè D. Raimondo Cardona stava a Piacenza dubbioso tra la voglia di compiacere a una parte e la paura di offendere l'altra. Ciò veggendo il re di Francia si inoltrò da Buffalora per Abbiategrasso sino a Marignano, terra posta sopra la via che da Milano mette a Cremona, col duplice fine, e di congiungersi alle genti venete, che l'Alviano con maravigliosa celerità gli conduceva incontro dal Polesine di Rovigo, e di impedire all'esercito pontificio e spagnuolo di raccozzarsi cogli Svizzeri.

(1) Mém. de Bayard, ch. LIX. p. 92 (Collect, de mém. t. XVI). — Mém, de Fleuranges, ch. XLIX. p. 283. — Mém. de M du Bellay, 260. — Guicciard. XII. 175. — Giovio, XV. 411. Rosmini, Vita del Triulzio, XI. 491.

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Quest'abile mossa pose in costernazione gli Svizzeri racchiusi in Milano (4): poichè ragionavano eglino e come vietare al re di unirsi coll'Alviano oramai trascorso fino a Lodi? e uniti che fossero, come vietare loro di gettarsi sopra l'esercito della Lega?» Risolse alfine tutti questi ragionamenti il cardinale di Sion, principale guidatore delle forze elvetiche in Italia, il quale, annoiato di vedere tuttodi i soldati su rozze carte investigare nuovi partiti di guerra, congregolli a cerchio nella piazza, e dalla tribuna li esortò ad assalire incontanente il nemico, mostrando che un'unica via di vincere rimaneva, e questa era di opprimere il re, prima che egli col favore dell'esercito veneto opprimesse gli amici accampati sul Po. Del resto l'esempio recentissimo di Novara aver messo in chiaro i modi, che tenere debbono gli Svizzeri per trionfare. Se non che ora un maggior numero ed una maggior fama assicurare la vittoria: molto maggior gloria ed utile doversene adunque aspettare ».

Finite queste parole, l'unanime clamore delle soldatesche chiese la battaglia; e tosto, quantunque non restassero che poche ore alla luce del giorno, 43 7bre

(1) È notabile la moderazione usata dagli Svizzeri durante cotesto loro soggiorno in Milano. «Gran parte de loro (narra << uno scrittore ch'era presente ai fatti), come rozzi montanari, << si accontentavano di paglia in terra, in loco di piuma in le«cto, et di pane et di vino, non più oltra richiedendo; salvo«< chè da qualcuno gli era dato qualche capo d'aglio o cipolla << o carne o casciola; il che se adeveniva che data non gli fosse, << essi se la compravano de proprii denari: non più nè meno « rigidezza usando verso Milano, che fanno i fantolini quando « hanno avuto lor bisogno ». Prato, St. di Mil. p. 340.

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