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no non sol non avesse cacciati i medici greci da Roma, ma avessegli anzi onorati eccettuandogli dal general bando portato contro de' G eci (*). In qual tempo seguisse questa

(†) Questo celebre passo di Plinio, e quelle parole excepisse medicos, sono state da me spiegate nel senso del p. Arduino, e di alcuni altri, cioè, che quando i Greci furon cacciati di Roma, i medici vi furon nominatamente compresi. Contro questa spiegazione alcune ingegnose difficoltà mi ha proposte il ch. sig. ab. Giuseppantonio Cantova, noto per l'eleganti sue traduzioni de' libri dell' Oratore, e di alcune Orazioni di Cicerone; ed io riporterò qui le parole medesime con cui egli me le ha proposte,,, Ecco le mie riflessioni sul passo di Plinio ( l. 29, cap. 1). Non rem antiqui damnabant sed artem; maxime vero quaestum esse immani pretio vitae recusabant. Ideo templum Aesculapii, etiam cum reciperetur is Deus, extra urbem fecisse, iterumque in insula traduntur. Et cum Graecos Italia pellerent, excepisse medicos. Augebo providentiam illorum, ec,

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Il membro dove dicesi excepisse medicos è una continuazione del membro antecedente, col qual si unisce colla semplice congiunzione et. Adun,, que per conoscere se l'excipere ha senso favorevole a' medici, o, come voi l'intendete, contrario, è da vedere se ciò che precede, faccia senso cou,,trario, o favorevole. Ora potrebbe dirsi che il fa favorevole, 1, Percioc chè ivi si dice, che furon due templi eretti ad Esculapio: il che certamente non può aver notato Plinio quasi cosa significante avversione a'medici. Che se vi venisse in mente di dire che per l'avversione a' medici fossero quelli eretti non dentro la città, ma fuòri: primieramente dico che se ciò indicasse avversione, sarebbe questa anzi verso Esculapio (il che fa a' calci coll' erezione de' templi) che verso i medici. Ma poi tal riflessione è sventata da ciò che nota P_Vittore ( Regione 4): In insula aedis Jovis et "Esculapii et aedes Fauni. Direm noi che fossero i Romani contrarj a Giove ed a Fauno? Plutarco alla quist. 94. delle romane tre ragioni accenna perchè si fabbricasse il tempio d'Esculapio fuor di città, 1. Perchè i Greci il solevano fabbricare fuori in aria aperta e salubre. 2. Perchè gli "Epidaurii, da' quali erasi avuto quel nume, ne aveano il tempio lungi di ,, città. 3. Perchè essendo dalla nave che il portava, useita una serpe, credettesi ch' Esculapio stesso avesse con ciò segnato il sito del tempio,

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,, 2. Confermasi la stessa cosa da quel che immediatamente precede al te sto sopraccitato dove Plinio dice: Quid ergo damnatam ab eo rem utilissimam credimus? minime hercules; poi seguita a dire che ivi Catone riferisce con qual medicina egli e la moglie si conducessero ad una lunga vecchiezza e dichiara d'aver un libro di rimedj per curare il figlio e i fa,,migliari. Questo racconto dinota che non la scienza e l'uso della medicina, ma sibbene la guadagneria si condannava, e la viziosa maniera d'eser citarla; come ora parlerebbe chi ragionasse de'cavillosi artifizj de' causidici: non rem damna, sed artem. Coi nome d'arte non intendesi la scienza dei mali e de' rimedj, aila quale Catone stesso erasi applicato, ma si prende in mala parte per cattivo e sordido artifizio. Comprovasi colle parole che seguono dopo l' excepisse medicos, cioè augebo providentiam illorum, , quasi diccsse: tanto son lungi dal togliere a' Romani il vantaggio che può venire da' medici, ma l' accrescerò eziandio: non vo' togliere l'arte medica, ma migliorarla anzi ed ampliarla; il che avea già Plinio accennato poco so,, pra col dire quae nunc nos tractamus,... quem nos per genera usus sui digerimus; e tanto eseguisce spiegando ordinatamente i varj generi di mecicine: laonde dice alla sezione nona: Ordiemur autem a confessis, ec. In somma tutto sembra camminar bene, quando in poco riducasi il discorso di Plinio così: Catone avvisa il figlio di guardarsi da' Greci, massimamente da' medici. Che dunque? Crederem noi ch' egli una cosa tanto utile ripro,, vasse? (coerentemente a quel che precede, adopera Plinio il vocabolo rem

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spulsione de' Greci, non è agevole a diffinire. Plinio dice
che ciò fu lungo tempo dopo la morte di Catone, che segul
a principio del settimo secolo di Roma. Dopo questo tem-.
po io non trovo editto alcuno fatto contro de' Greci, e con-
vien dire che Plinio ragioni di cosa che dagli storici che ci
sono rimasti, sia stata ommessa. Pare che ciò seguisse pri-
ma della metà del settimo secolo, perchè verso questo tem-
po era in Roma il celebre Asclepiade di cui or parleremo, il
quale a tale stima innalzò l'arte della medicina, che poscia
essa non ebbe più in Roma molestia alcuna. E a questo pro-
babilmente allude Plinio, quando, come sopra si è riferita,
dice che per oltre a secent'anni non vi ebbe medici in Roma,
non facendo egli conto di Arcagato e degli altri medici che
per alcun
tempo vi erano stati, ma poi per ordine del sena-
to ne eran partiti; e considerando lo stabilimento della medi-
çina come seguito solo a' tempi del mentovato Asclepiade
di cui egli altrove parla assai lungamente ( l. 26, c. 3)

VI.

Venuta

di Ascle

VI. Era questi nativo di Prusa nella Bitinia, e venuto a Roma vi tenne dapprima scuola pubblica di eloquenza. Ma non parendogli di arricchirsi in essa quanto avrebbe voluto, piade a abbandonata la scuola, si diè all'esercizio della medicina. Convien dire che ciò accadesse poco dopo la metà del set- tere,

,, per dinotar la scienza e l'uso della medicina). Mai no. Conciossiachè Catone stesso ha scritto di questa scienza, e se n'è valuto per se e pe' suoi, e

دو

, quello ch'ei notó brevemente, verrà da ́noi più ampiamente trattato. Non la scienza e l'uso di medicina dannavasi da' maggiori, ma la furberia de' medici greci. Però è, ch'eressero un tempio ad Esculapio, e quando cacciaro,,no i Greci, ne eccettuarono i medici. Ed io stesso intendo di promuovere " questa facoltà ed accrescerla.

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Potrebbono a taluno far forza in contrario al fin qui detto quelle parole: Etiam eum reciperetur is deus, quasi che i Romani anche allora che ,, ammisero Esculapio, dimostrassero la lor avversione co' medici, col volerlo fuor di città. Ma tralasciando che l' etiam può anche congiungersi colle ,, parole precedenti, non sembra contro gli addoti testi di P. Vittore e di Plutarco bastevole fondamento una formola non ben chiara in uno scrittore il cui stile è sovente oscuro ed equivoco, oltre gli errori che tanto sono frequenti ne' copiatori antichi

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Finalmente non si adduce altro testo di Plinio, dove usi l'excipere nel senso inteso dall' Arduino : anzi i passi dei giuristi non sono chiari abbastanza per assicurarci che tal significato, quale pretendesi, avesse quel verbo -,, presso ilatini. Lascio a voi il decidere qual delle due opinioni sia meglio provata. Io non veggo provata bastantemente quella dell' Arduino. Bastami Io lascio agli eruditi l'esache veggiate l'impegno mio per le cose vostre me di queste riflessioni, le quali, certo sembrano aver molta forza, e, benchè io non ci vegga ancora sì chiaro che mi senta costretto a cambiar sentimento, confesso però che la spiegazione del p. Arduino non mi sembra più così certa come una volta pareami,

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Roma, e
Suocarat

timo secolo, perciocchè l'orator Crasso, il quale morì l'an. 662, dice presso Cicerone ( De Orat. l. 1, n. 14) di aver avuto Asclepiade e a medico e ad amico, e ch'egli superava in eloquenza gli altri medici di quel tempo (a). E non dimeno non avea egli fatto studio alcuno di medicina; m giovandosi della sua naturale facondia, e di una cotal ari: di sicurezza, o a meglio dir d'impostura, prese a contra. dire a tutte le leggi da Ippocrate e da' migliori medici fnallora prescritte, e un nuovo metodo introdusse, prete1dendo di ridurre la medicina a'suoi veri principj, i quali secondo lui consistevano in risanare gli infermi sicuramen te e prontamente e piacevolmente. I suoi più usati rimedj erano la astinenza dal cibo, e talvolta ancora dal vino, i fregamenti del corpo, il passeggio e la gestazione. I quai rimedj facili essendo e nulla penosi, e perciò essendo creduti di sicuro effetto, per poco non venne egli riputato qual dio dal ciel disceso. E molto più che non solo egli cercava di risanare gl'infermi, ma di secondarne ancora i desiderj e le voglie, ordinando lor cose che recasser piacere. Concedeva loro a'tempi opportuni l'uso del vino e dell'acqua freli facea porre su letti pensili, i quali dimenandosi o sminuissero i dolori, o almen conciliassero il sonno; raccomandava l'uso dei bagni; e rigettando certi penosi e molesti rimedj che da alcuni si usavano, come l'aggravare gl' infermi di panni, il riscaldarli presso le ardenti fiamme, o l'esporli a' cocenti raggi del sole per trarne a forza il sudore, altri rimedj sostituiva piacevoli e dolci. Ad accrescergli fama molto gli giovò ancora l'impostura e la sorte. Narrava effetti maravigliosi di alcune erbe. Trasse dal feretro un uomo creduto morto, che portavasi al rogo, e gli rendette la sanità, talchè si credette quasi, che renduta gli avesse la vita. Disse più volte ch'egli era pronto a perder la stima di

sca,

(a) M. Goulin non ha avvertito che il passo di Cicerone, in cui ragiona d'Asclepiade, è posto in bocca di Crasso il quale, essendo morto nell' anno di Roma 662, parlando di Asclepiade come d'uom già defunto: Asclepiades, quo nos medico amicoque usi sumus, tunc cum eloquentia vincebat caeteros medicos, ee, ci mostra con ciò ch' ei gli era premorto. Quindi credendo il suddetto scrittore che di Cicerone fossero quelle parole, e osservando che l'opera de Oratore fu da lui scritta l'anno di Roma 693, ne ha inferito che solo alcu ni anni prima fosse morto Asclepiade ( Mém. pour sérvir à l'Hist. de la Médec. an. 1775, p. 224 ) dal qual primo calcolo non giustamente stabilito è poi venuto che anche nel fissar l'età di Temisone e degli altri medici venuti appresso ei non sia stato molto esatto

illustre medico che erasi acquistata, se mai fosse caduto infermo; e in fatti aggiugne Plinio (1. 7, c. 37) che nol fu mai, e sallo il cielo quando sarebb' egli morto, se la caduta da una scala non gli avesse in estrema vecchiezza tolta la vita. Quindi non vi ebbe mai forse medico alcuno che in tanto onore salisse, quanto Asclepiade. Mitridate re di Ponto avendone avuta contezza, mandò chi facessegli grandi offerte, perchè a lui ne andasse; ma egli non volle partir da Roma (Plin. ib.). Di lui parla ancora con lode Cornelio Celso in più luoghi ( præf. l. 1, e c. 3; l. 2, C. 14; præf. l. 5). Ma Galeno che allor quando venne a Roma ai tempi di Marco Aurelio, trovò ancor viva la memoria d'Asclepiade, e vide ch'egli avea non pochi seguaci, parlonne assai diversamente, e in più luoghi delle sue opere ne combattè l' opinioni, e talvolta ancora con assai pungenti parole ( Method. Medend. l. 1, e 2; De Natural. Facult. 1. 1, et 2. De Crisibus l. 3, c. 8). Anzi ei rammenta (1. de libris propriis) otto libri da se scritti ad esaminare le opinioni tutte di Asclepiade. Essi sono periti; ma egli è verisimile che in essi ei ne avesse scoperti gli errori, e più ancor l'impostura di cui Asclepiade avea usato.

VIL

in primo

VII. Molti discepoli ebbe Asclepiade in Roma; ma due suoi disingolarmente si renderono sopra gli altri famosi, Temisone scepoli, e e Antonio Musa (a). Temisone nativo di Laodicea nella Siria si dice da Plinio sommo autore (l. 14, c. 17), e va- misone. rj libri scritti da lui si rammentano presso gli antichi autori (V. Indic. Auct. ad calcem l. 1, Plin. edit. Harduin.). Ma egli non fu troppo grato al suo precettore; perciocchè morto Asclepiade, abbandonando gl' insegnamenti da lui appresi, di un'altra setta si fece autore e maestro (Plin.

(a) Osserva m, Goulin che Plinio dice veramente Temisone scolaro di Asclepiade, ma che Celso lo dice sol successore, e vuole che credasi a Celso anzi che a Plinio (Mém. pour servir à l' Hist. de la Médec. an. 1775, p. 225, ec.). E io gli crederei, se Celso negasse che Temisone, fosse stato scolare del detto medico. Ma ei col dirlo seguace non esclude che gli fosse ancora scolaro; e Plinio era troppo vicino a que' tempi, perchè a lui ancora non debbasi fede. So però fosse vero ciò che afferma come certo lo stesso m. Goulin, cioè che Temisone vivesse ancora l'anno decimo dell'era cristiana, che combina coll' an. 763 di Roma, e anche più tardi, converrebbe necessariamente seguire l'opinione di M. Goulin, perciocchè Asclepiade era morto almeno cent' anni prima. Ma io non veggo qual prova egli arrechi di quest' epoca della vita di Temisone, la quale anzi sembra distrutta da ciò che nel Tomo secondo diremo parlando di Celso.

VIII. Antonio

Musa me

1. 29, c. 1), cioè di quella che si chiamava metodica, come raccogliesi da Galeno (Method. Medend. l. 1, prop. fin.), e come più chiaramente ancora si afferma da Celso (præf.l. 1). Perciò da Seneca il filosofo egli è nominato tra' fondatori di una nuova setta di medicina, diversa da quel le d' Ippocrate e di Asclepiade (ep. 95).

VIII. Più celebre tra' Romani è il nome di Antonio Mu sa. Era questi per testimonianza di Dione (1.53) stato già dico d'Au-schiavo, e poscia, probabilmente pel suo sapere in medigusto, suo cina, posto in libertà, ed egli ancora era stato discepolo di curare. Asclepiade. Ma ad imitazione di Temisone stabili egli pu

metodo di

re una nuova setta di medici. Così in Roma cambiavasi pressochè ogni giorno metodo e legge di medicare; e nondimeno non era comunemente nè più breve nè più lunga la vita degli uomini. Il principal vanto di Antonio Musa si ful' aver salvata la vita ad Augusto. In due occasioni ne parla Plinio, forse perchè ciò accadde due volte e con diversi rimedj. Dice in un luogo (l. 19, c. 8) ch'egli fu da Musa sanato coll'uso delle lattuche, mentre un altro medico giurava ch'ei sarebbe morto. E altrove narra (1.29, c. 1) che essendo Augusto condotto a tal segno che omai se ne disperava, punto non giovando i bagni e i fomenti caldi finallora usati, Musa vi sostituì i freddi, e sanollo. Di queste guarigioni d'Augusto per opera di Antonio Musa fa menzione ancora Svetonio (in Aug. c. 59, e 81), e aggiugne che tale fu il trasporto e l'allegrezza de' Romani per ciò, che a comuni spese fu innalzata una statua a Musa, e posta a fianco a quella di Esculapio. Dione ancora ne parla (.c.). Egli però non fa motto di statua, ma solo di gran quantità di denaro datagli dal senato, e dell' anello d'oro che gli fu permesso di usare. La gratitudine di Augusto e del semato romano non si estese solo ad Antonio Musa, ma per riguardo di lui a tutti gli altri medici ancora. Avea già Giulio Cesare conceduto a'medici il diritto della cittadinanza (Svet. in Jul. c. 43), e il privilegio medesimo fu loro in questa occasion confermato (Dio l. c.). Di Antonio Musa fa menzione anche Orazio, e rammenta che vietatigli i caldi bagni di Baia, costringevalo ad usare de' freddi anche di mezzo verno (l. 1, ep. 15), col qual rimedio credeva Musa di prevenire, o di cacciare qualunque sorta d' infermità; ma non

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