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toris filius, ut Hermippus ait, sive, ut Aristoxenus tradit, Thyrrenus ex una Insularum, quas ejectis Thyrrenis Athenienses possederunt. Sunt qui Marmacum illius patrem, avum Hippasum, et Eutyphronem atavum, Cleniumque abavum, qui Phliunte profugerit, dicant; habitasse Marmacum in Samo, atque inde Pythagoram Samium dici, inde migrasse Lesbum, ec. (de Vit. Philos. l. 8, sub init.). Suida per ultimo non solo non dà la Toscana per patria a Pittagora, ma nemmeno vuol che si dubiti che ei non fosse di Samo. Pythagoras Samius (in Lexic. ad V. Pythag.) (a). Eglitè dunque a confessare sinceramente che gli autori dal m. Maffei arrecati a provar toscano Pittagora, son quegli stessi che ci costringono a dubitar della patria di questo illustre filosofo.

XXIX.

menti.

XXIX. Un altro argomento ancora arreca il m. Maffei a Confutacomprovare il suo sentimento, cioè il detto di un cotal Lucio zione de pittagorico presso Plutarco, di cui narra questo autore, che loro argoEtruscum fuisse affirmavit eum (cioè Pittagora), non ut alii quidam, quod majores ejus Thyrreni fuissent, sed ipsum in Etruria natum, educatum, institutum (Symposiac. 1.8, qu. 7). Questo argomento è sembrato sì valido all' erudito canonico Filippo Laparelli, che in una sua Dissertazione sopra la nazione e la patria di Pittagora, inserita nel tomo VI de' Saggi dell' Accademia di Cortona, di esso singolarmente ha voluto usare a provar che Pittagora fosse etrusco. Ma io mi maraviglio che amendue questi valenti autori o non abbian letto, o abbiano dissimulato ciò che soggiugne Plutarco stesso; il quale all' autorità del pittagorico Lucio oppone quella di Teone grammatico, cui introduce a favellare così: Magnum puto et non facile esse, evincere Pythagoram Etruscum esse (ib.). É in vero l'argomento preso da' simboli pittagorici, a cui singolarmente appoggiavasi Lucio, e che nel luogo

(a) Il sig. ab. Fea nelle sue annotazioni all' edizion romana della Storia dello arti del Winckelmann ( t. 1, p. 172 ) ha giustamente rilevata la mia inavvertenza nel parlare di questo passo di Suida. Perciocchè io non avendo osservato che il breve articolo di questo autore, ove dice solo Pythagoras Samius, non ho posta mente all' articolo precedente in cui ne ragiona più a lungo, e dice che fu genere Thyrrenus, e che ancor giovinetto col padre dalla Tirrenia navigò a Samo Sarà dunque questo il solo de' cinque autori che si producono per provar che Pittagora fosse etrusco, il qual veramente lo affermi. Ove vuolsi anche avvertire ch' egli è il più recente tra tutti, e perciò il meno opportuno ad aggiugnere colla sua autorità nuovo peso a questa opinione, la quale continuerà ad essere tuttora dubbiosa ed incerta.

stesso da Teone vien confutato, anche al Bruckero è sembrato (Hist. Crit. Philos. t. 1, p. 994) debole troppo e insussistente. Ella è dunque cosa dubbiosa in tutto ed incerta che Pittagora fosse etrusco. Questa gloria però non si può così facilmente negare all' Etruria, che in essa ancora per qualche tempo egli abitasse. Non già ch' io voglia pretendere che, ove gli antichi storici dicono ch' egli abitò lungamente in Crotone città della Magna Grecia, si debba intender Cortona città dell' Etruria; che ciò dicesi senza alcun fondamento. Ma la vicinanza della Magna Grecia all' Etruria ne fa credere probabilmente che dall' una all' altra passasse talvolta Pittagora, e che l'Etruria ancora ne' suoi insegnamenti avesse parte. Ma di Pittagora basti per ora così; che più lungamente di lui dovrem favellare, quando della Magna Grecia dovrem tenere ragionamento.

XXX. XXX. Potrei io forse avanzarmi ancora a concedere un'alÈ proba tra gloria all' Etruria, cioè di avere accolto ed alloggiato il bile che Omero sia divino Omero? L'unico autore che di ciò abbiane lasciata mestato qual-moria, egli è Eraclide Pontico (perciocchè quanto ad Eronell'Etru-doto e a Strabone che da altri sono allegati come affermatori ria. della cosa medesima, io non ho potuto in essi trovarne vesti

che teinpo

gio) il quale ne' frammenti rimastici della sua opera de Politiis, e stampati in alcune edizioni di Eliano, parlando de Cefaleni popoli della Grecia, così dice (p. 455 post Ælian. edit Lugd. 1604): Testatur etiam Homerus se ex Thyrrenia in Cephaleniam et Ithacam trajecisse, quum morbo correptus oculos amisisset. Egli è vero che Eraclide non è autor così antico che bastar possa a farci di ciò sicura testimonianza. Ma egli allega il detto stesso di Omero, tratto forse da qualche sua opera che or più non esiste : testatur Homerus (a). Sembra dunque che dubitar non si possa che Omero sia stato in Etruria, il che ancor giova a confermare che uomini colti fosser gli Etruschi e nelle scienze versati. Perciocchè egli è troppo verisimile che Omero viaggiando

(a) Il sig. Landi osserva che Erodoto anterior di un secolo a Eraclide contradice al racconto di questo scrittore da me allegato (t. 1, p. 133). Ma in primo luogo confessa il sig. Landi medesimo che la vita di Omero pubblicata sotto nome di Erodoto (che in essa solo, e non nelle storie ne parla) non è certo che sia di quel celebre storico, e perciò se ne sminuisce di molto l'autorità. In secondo luogo il supposto Erodoto afferma egli ancora che Omero fu in Italia, solo nega che qui perdesse la vista, il che alle glorie di questa provincia è indifferente.

a que' popoli si recasse, da' quali sperar poteva e favorevole accoglimento e profittevoli cognizioni, onde nuovo ornamento recare a' suoi poemi. E forse, come osserva il proposto Gori (Mus. Etrusc. t. 2, p. 236), ciò ch' egli scrisse intorno all' Acheronte, all' Averno, e ad altre somiglianti favole della gentilità, fu in parte frutto del viaggio ch' egli fece in Etruria e delle conversazioni che vi ebbe co' dotti uomini di quel paese. Ma ben dee dolerne all' Etruria che ella si fosse appunto il luogo in cui l'infelice poeta fu privo degli occhi. Se pure, come a maggior gloria di Omero torno il suo accecamento medesimo, non dee l' Etruria in qualche modo gloriarsi che in essa trovasse egli di questo suo nuovo onore l'origine e l'occasione.

La lingna

cora ben

XXXI. A compire questo trattato dell' etrusca letteratura XXXL. parrà forse ad alcuno che ancor rimanga ch' io prenda a parlare degli Ede' caratteri e della lingua degli Etruschi. Ma io non penso di traschi dover entrare in sì difficile argomento. Veggo ed ammiro le non è anfatiche che intorno ad esso han sostenute uomini eruditissimi. conosciuOgnuno ha preteso di aver colto nel verò, e di avere sciferate ta. le lettere dell' etrusco alfabeto, e il senso di lor parole. I primi a tentare l'impresa furono applauditi e ottenner lode. Altri ne venner dopo, che distrussero il sistema de' primi e un nuovo alfabeto formarono e una nuova lingua. Ma'anche il loro regno, per così dire, ebbe poca durata, e di tanto in tanto veggiam sorgere nuovi Edipi, e accingersi a nuove spiegazioni dell' oscuro enimma. In tanta lontananza di tempo, in tanta diversità di lingue, in si grande scarsezza di antichi scrittori, io stimo quasi impossibile l'accertar cosa alcuna. Mi sia lecito dunque il tenermi lungi da sì spinosa quistione, e l'accennar solamente, ma senza entrarne garante, il sentimento degli eruditi Inglesi autori della Storia Universale, i quali dopo avere esaminati da una parte i caratteri de' monumenti più antichi che ci rimangono di qualchesia nazione, e dall' altra que' che leggonsi in alcune iscrizioni e in alcune medaglie etrusche, così conchiudono : "Noi non possiam a men di non credere che i caratteri alfabetici, i quali ci son rappresentati in alcune iscrizioni » etrusche, sieno i più antichi che al presente trovinsi al » mondo.... Diversi monumenti letterarj etruschi posson » gareggiare d'antichità con tutti quelli di tal genere, che » attualmente esistono, senza pure eccettuare quelli di Egit

XXXII.

za e ro

»to, che finora sono considerati come più antichi di tutti » (t. 14, p. 246, 247 edit. Amsterd. 1753). Così essi hanno la gloria degli Etruschi portata a tal segno, a cui niuno tra gli Italiani osò mai di sollevarla. Basta leggere tutto ciò ch'essi a quel luogo dicono di questa illustre nazione, per vedere quanto altamente sentissero dell' ingegno, del valor loro, e della loro letteratura d' ogni maniera, per intendere che se è sembrato che gl' Italiani volessero oltre il dovere innalzare questi loro antenati, non son mancati eruditissimi uomini tra le straniere nazioni, a' quali è paruto che di soverchia modestia dovesser gl' Italiani esser ripresi, anzi che di soverchio desiderio di lode.

XXXII. Ma questa si illustre nazione subi anch' essa la Decaden- comun sorte d'Italia, anzi del mondo. Dopo essere stata vina della e nelle lettere e ne' sacri riti per lungo tempo maestra a' Roloro na- mani, fu costretta a divenir lor serva. Il dominio di essa

zione.

s' indeboli, si ristrinse, e finalmente verso il fine del quinto secol di Roma cadde sotto il potere dell' ambiziosa rivale. Col perire del lor potere parve che perissero ancora le arti e gli studj loro; e che col dominio il sapere ancor degli Etruschi passasse a Romani. Ma prima di venire a favellare di essi, due altri popoli d'Italia ci si fanno innanzi, che prima di essi conobber le scienze, e coltivaronle felicemente.

PARTE II.

Letteratura degli abitatori della Magna Grecia, e de' Siciliani antichi.

Dopo gli Etruschi, i primi popoli de' cui studi convien

favellare, sono gli abitatori di quel tratto d'Italia, che anticamente col titolo di Grande o Maggior Grecia veniva appellato. Quali ne fossero precisamente i confini, non è cosa agevole a diffinire, come osserva il dotto Cellario (Geograph. ant. t. 1, 2, c. 9, n. 17); ma egli è fuor di dubbio che quella estrema parte d' Italia comprendeva, ove essa veppiù si ristringe tra due mari, e volge alla Sicilia. Molte colonie di Greci venute in diversi tempi in queste parti d' Italia ne cacciarono gli Etruschi

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e gli altri popoli che le abitavano, se ne fecer padroni, c dalla lor patria stessa ad esse diedero nome. Più conghietture reca il Cellario, per cui puossi pensare che a questa, benchè non grande parte d'Italia, il soprannome aggiunsero di Grande o Maggiore, le quali presso lui possono vedersi. Or che tra questi popoli dell'Italia fiorissero felicemente le scienze, noi possiamo affermarlo con assai maggior certezza, e con evidenza assai maggiore mostrarlo che non tra gli Etruschi, perchè più certe e più copiose notizie ci sono di essi rimaste. Alla Magna Grecia aggiungeremo la Sicilia abitata essa pure parte da' Greci, parte da altri popoli, che da varie parti vi vennero anticamente. La vicinanza dell'una, e dell'altra provincia, divise solo da un angusto stretto di mare, introdusse fra loro una vicendevole comunicazione di leggi, di costumi, di scienze; e ragion vuole perciò, che di due nazioni che a coluvare le scienze si congiunsero insieme, si parli congiuntamente. Nè io penso che possa alcuno a ragione muovrci lite, perchè ad accrescer la gloria dell' Italiana Letteratura prendiamo a favellare degli studj di que' popoli ancora, che venuti altronde fermaron piede in Italia; altrimenti i Tedeschi ancora, come nella Prefazione si è detto, potranno muover lite a' Francesi, e sostenere che alla loro letteratura appartengono gli studi di coloro che dalla Germania pas sati nelle Gallie vi ottennero signoria; e più altre nazioni potranno tra lor contendere per somigliante maniera. La storia letteraria di qualunque siasi provincia ella è la storia di que' popoli che in quella provincia abitarono, o fosse ella Fantica lor patria, o da altra parte vi si fosser condotti. Non può dunque alcuno dolersi che a gloria degl' Italiani noi ascriviamo la letteratura di que' popoli che questa parte d'Italia anticamente abirarono. Nel ragionare della letteratura degli Etruschi, a provar che le scienze da essi furono coltivate, abbiamo usato singolarmente dell' argomento preso dalle arti loro, mostrando che amatori delle scienze esser doveano necessariamente que' popoli che nelle arti liberali si acquistarono fama e lode non ordinaria. Di somigliante argomento usar potremmo qui ancora; e mostrare che come nell'esercizio di queste arti medesime gli abitatori della Grecia grande e della Sicilia furono eccellenti, cost

Tomo I.

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