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della tragedia, poichè questi, come prova ad evidenza il Fabricio (Bibl. Græc. t. 1, p. 600), cominciò a farne uso nell' olimp. LXI. Con più ragione, perchè appoggiato all'autorità di Suida, attribuisce il Quadrio a Formo o Formide contemporaneo di Epicarmo il vanto di avere il primo ornate di rosseggianti panni le scene, e introdotti sul teatro i personaggi in veste lunga e talare.

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XIV

de' mimi.

XIV. All'azion teatrale appartengono i mimi, cioè colo- Origine ro che con gesti vivi e scherzevoli e al lor tema adattati compagnano ed esprimono i lor sentimenti burleschi per lo più ed a uom plebeo confacentisi. Or questi ancora, secondo Solino (loc. cit.), furono in Sicilia prima che altrove introdotti; e secondo il parer del Quadrio (t.5, p. 182) se ne dee la lode a Sofrone siracusano, figliuol di Agatocle; perciocchè, dic' egli, benchè molti senza dubbio fiorissero scrittori de' mimi avanti a lui, costui tuttavia non pu,, re un' amplissima gloria tra' mimografi s' acquistò, ma passò ancor tra molti per inventor de' medesimi. E nel vero ,, sua invenzione è credibile che que'mimi si fossero, i quali la vita quotidiana esprimevano delle persone,,. Cosi egli. Per ultimo la poesia burlesca di qualunque maniera pare, secondo il Fabbricio, che avesse cominciamento in Sicilia (Bibl. Græc, t. 1, p. 689), e che fosse da un cotal Rintone siracusano prima d'ogni altro usata. E anche un de' primi scrittori di elegie ebbe la Sicilia in Teognide da Megara nato, secondo Suida, nell' olimpiade LIX.,, XV. Ma l'eloquenza, forse più ancora che non la poesia, iodebbe alla Sicilia la sua origine e i suoi più ragguardevoli ornamenti. Non intendo già io di favellare qui di quella eloquenza per cui gli uomini ancorchè rozzi e volgari sanno i lor bisogni e le ragioni loro esporre, e la lor causa trattare valorosamente. Questa nacque cogli uomini, le passioni e i bisogni la perfezionano. Parlo di quella che arte di eloquenza si dice, la quale sull' indole del cuore umano e sulla nostra esperienza medesima facendo attenta riflessione, quelle leggi e que' precetti ne trae, che a persuadere parlando sembrano più opportuni. Or l'invenzion di quest'arte viene comunemente attribuita alla Sicilia. Noi non possiamo averne più autorevole testimonianza di quella che troviamo in Cicerone e in Aristotele, i quali a Corace e a Tisia sici

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Xv.
L' elo-

quenza

da' Sciliani ridotta

ad arte.

liani l'attribuiscono. Usque a Corace, dice Tullio ( De Orat. l. 2, n. 91), nescio quo et Tisia, quos illius artis inventores et principes fuisse constat. Ed altrove all' autorità appoggiandosi di Aristotele (Brut. n. 46): Itaque, ait Aristoteles, cum sublatis in Sicilia Tyrannis res privatæ longo intervallo judiciis repeterentur, tum primum, quod esset acuta illa gens, et controversa natura, artem et præcpta siculos Coracem et Tisiam concepisse (a). E noi veggiamo qui stabilito il tempo ancora in cui l'arte dell' eloquenza ebbe tra i Siciliani cominciamento, allor quando tolti di mezzo i tiranni ricuperarono i Siciliani la libertà. Infatti, riflette a questo luogo saggiamente il sig. de Burigny (Hist. de Sicil. t. 1, p. 7), in un Governo dispotico l'eloquenza di raro apre la via alla fortuna; ma ove il popolo decide di ogni cosa, chi,,unque sa toccarlo e persuaderlo, egli è pressochè certo di ,, giugnere a' sommi onori.,, Ora il tempo in cui fu da' Siciliani ricuperata la libertà, viene da Diodoro fissato all' anno quarto dell' olimp. LXXIX (Diod. Bibliot. l. 11, p. 281), in cui tutte quasi le altre città seguiron l'esempio di Siracusa, la quale già da qualche anno aveala ripigliata; il qual anno cade nel 292 dalla fondazione di Roma, e 460 incirca innanzi all' era cristiana. Circa questo tempo dunque si vuole stabilire il cominciamento dell'arte dell' eloquenza (b).

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(a) Di Corace ancora (p.269) ragiona la poc' anzi nominata imperadrice Eudossia, la quale ricorda innoltre più altri in questo Capo da me nominati, cioè Lisia (p. 281), Gorgia (p. 100), Filisto (p. 422), Diodoro Siculo (p. 128), Temistogene (p. 233 ), Ipi (p. 245), Lico (p. 284), e Polo (p.355).

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E

(b) If ch. sig. ab. Andres non solo non reputa degni di molta lode i primi scrittori che ci dieder le leggi dell' eloquenza, e ne formarono un' arte, ma anzi gli incolpa della decadenza del buon gusto, perciocchè egli dice,, (Dell'Ori"gine e Progressi di ogni Letter. t. 1, p. 42, ec.), i Greci cominciarono a vedersi privi di opere eccellenti quando conobbero i precetti dell' arte... chi non sa che allor appunto mancarono gli oratori e i poeti, quando Aristotile con tanto ingegno e dottrina dell'arte rettorica scrisse e della poesia?,, Egli prosegue a sostener con ingegno e a svolgere con eloquenza questa sua proposizione. E se a lui basta che in questo senso essa s' intenda che i precetti non bastano a formare un oratore e un poeta, e che il tenersi troppo rigorosamente stretto a' precetti snerva comunemente la forza dell' eloquenza e la vivacità della poesia, io pure me ne dichiaro seguace e sostenitore. Ma se egli intende di sbandire generalmente i precetti e l'arte, io temo che la sperienza e la ragione gli si opporranno. Ei ci dice che le spelonche, le grotte, le sponde del mare erano le scuole dell' arte rettorica del gran Demostene., certo che innanzi a Demostene erano stati Corace, Tisia, Lisia, e Gorgia tutti precettori d'eloquenza, e che per testimonianza di Dionigi Alicarnasseo (Judic. de Isocrate Tisia fu precettore d' Isocrate, e che Demostene da Tuci dide e da Gorgia apprese la magnificenza, la gravità, lo splendore del favella

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Ma è

Tisia ne

XVI. Di Corace però appena altra notizia ci è rimasta. XVI. Non così di Tisia. Pausania ci dice ch'ei. fu compagno di Corace e Gorgia nell' ambasciata agli Ateniesi, di cui or ora favelle- sono i priremo; e un onorevole elogio ne forma dicendo ch' egli mi ma nell'arte del favellare tutti superò gli oratori dell'età sua, di che fa chiaro argomento l'ingegnosa al certo e sottile ,, orazione che nella lite di una donna siracusana egli disse

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(Descr. Græc. l. 6, c. 18).,, Questa ambasciata viene da Diodoro raccontata all' anno secondo dell' olimpiade LXXXVIII. Di lui pure aggiugne Dionigi Alicarnasseo, che fu precettor d' Isocrate nato nell' olimp. LXXXVI (Judic. de Isocr.), il qual doveva perciò esser ancor giovinetto quando Tisia venne in Atene. Niun' altra cosa noi sappiamo di Tisia; ma non è ella certo picciola gloria questa di aver avuto suo scolaro un si famoso oratore, qual fu Isocrate. Ma non fu solo in questa maniera che l'Italia apri scuola di eloquenza alla Grecia.

stri.

Notizie

XVII. Lisia e Gorgia, siracusano il primo, leontino il se- XVII. condo, assai maggior lode acquistaronsi in Grecia. Di Lisia del retore dice Dionisio Alicarnasseo, che era di ventidue anni maggio- Lisia. re d'Isocrate (loc. cit.). Quindi egli dovette nascere circa P' olimp. LXXX., quando appunto cominciava nella Sicilia a fiorire lo studio dell' eloquenza. Cicerone lo dice ateniese (Brut. seu de Cl. Orat. n. 16); ma la più parte degli antichi autori lo fanno siracusano; e con ragione, poichè come racconta Dionigi Alicarnasseo (Jud. de Lysia), siracusani erano i suoi genitori, benchè Cefalo di lui padre si trovasse in Atene quando egli vi nacque. Fu discepolo di Tisia e di Nicia siracusani essi pure, e in età di quindici anni venne a Turio nella Magna Grecia. Quindi in età di circa quarantasette esiliato da Turio, perchè creduto troppo favorevole agli Ateniesi, andò a stabilirsi in Atene, e fu involto con suo grande pericolo nelle turbolenze che sconvolsero allora quella repubblica. Poichè furon cessate, appli

re ( De admiranda vi dicendi in Demosth.). Il maggior oratore che avesse
Roma, viaggiò in Grecia in età già adulta, e frequentò le scuole de' retori
più rinomati; e scrisse poscia egli medesimo i precetti dell' arte.
II maggior
poeta epico che abbia avuto l'Italia, studiò attentamente la Poetica d' Aristo-
tile. A me sembra che forse sarebbe più giusto il dire che i precetti non basta-
no a formar un grand' uomo, ma che senza i precetti un grand' uomo non saṛ
prà sfuggir que' difetti che ne oscureranno la gloria.
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Tom. I.

cossi all'arte oratoria, e cominciando a spiegare alle occasioni la sua eloquenza, fu il primo che ne riscotesse ammirazione ed applauso. E in vero quanto valente oratore egli fosse, il possiamo raccogllere dal giudizio che ne fa Cicerone, il quale leggiadrissimo scrittore lo chiama (De Orat, 1.3, n. 7), dottissimo ed eloquentissimo, ed altrove lo dice scrittore ingegnoso ed elegante, e che quasi chiamar potrebbesi perfetto oratore (De Clar. Orat.n.9). Ma niuna cosa meglio giova a farci conoscere il valore di Lisia, quanto il giudizio formatone da Dionigi Alicarnasseo che lui scelse per uno di que'sei famosi oratori, di cui per ammaestramento altrui volle egli esaminare e descrivere il carattere e le virtù. Egli dunque di Lisia dice che nell'eloquenza del favellare oscurò la gloria degli oratori tutti che finallora erano stati e che a que' tempi vivevano, e che ad assai pochi di quelli che venner dopo fu inferiore. Quindi facendosi più addentro nel carattere di questo insigne oratorė, ne loda sommamente la purezza dello stile, in cui dice che niuno de' posteri il potè mai superare, e che Isocrate solo giunse ad imitarlo; la proprietà e la semplicità dell'espressione congiunta a tal nobiltà che le cose ancor più volgari sembrino grandi e sublimi; la chiarezza del dire, l'abbondanza de' pensieri e de' sentimenti, ma in poche parole ristretti; nel che a Demostene stesso lo antepone; l'evidenza delle descrizioni, con cui par che ogni cosa ponga sotto l'occhio degli uditori, e la renda loro presente; riflessione sul costume di coloro a cui si ragiona; forza nel persuadere; tutte in somma le virtù che in un perfetto orator si richieggono, e che si di raro trovansi in un solo congiunte. Un sol difetto trova egli in Lisia, cioè che nel commovimento degli affetti suol esser languido e debole, ed abbassarsi nel perorare più che a grave oratore non si conviene. E questa fu la ragione per cui Socrate vicino ad esser condannato a morte usar non volle di un'eloquente orazione che Lisia a difenderlo avea composta; perchè indegna gli parve della filosòfica gravità e di quella costanza d'animo, che avea fin allora serbata (Cic. l. 1 de Orat.Laert. in Vit. Socr. Valer. Max. 1.8, c.4). Ma nonostante questo difetto non lascerà Lisia di esser considerato come uno de' più perfetti oratori che mai sorgessero, e che coll' esem

pio suo formando venne ed animando tanti famosi oratori quanti poi vantonne la Grecia. Veggasi ancor l'elogio che di Lisia ci ha lasciato Fozio ( Bibl. n. 262. ), il quale aggiugne che essendo egli assai spesso venuto a contesa di eloquenza co'suoi avversarj, due volte solo rimase vinto. Mori egli in Atene in età di circa ottant'anni nella centesima olimpiade, due anni dacchè era nato Demostene. Alcune orazioni da lui composte ancor ci rimangono: più altre ne sono perite. I titoli di queste e le diverse edizioni di quelle veder si possono presso il Fabricio (Bibl. Græc. t. 1, p. 892, ec.). Ma intorno a Lisia veggasi la Vita scrittane da Plutarco, e quella che con somma diligenza ed erudizione ne ha composta Giovanni Taylor, premessa alla bella edizione da lui fatta delle Orazioni di Lisia in Londra l'anno 1739:

E di Gor gia leonti

XVIII. Al medesimo tempo ugual gloria ed anche mag- XVIII giore, benchè forse con minor merito, ottenne in Grecia un altro siciliano oratore, cioè Gorgia leontino. Andovvi no. egli, come di sopra accennammo, ambasciatore della sua patria agli Ateniesi per chieder loro soccorso contro de' Siracusani l'anno secondo dell' olimp. LXXXVII (a), cioè alcuni anni prima del tempo in cui andovvi Lisia, il quale, secondo che di sopra fu detto, dovette trasferirvisi verso l'olimp. XCII. Quindi è che a Gorgia si attribuisce comunemente la lode di aver il primo condotta l' eloquenza a una perfezione a cui non era per anco arrivata. Il primo saggio ch' ei diede di sua eloquenza, fu il felice esito della sua ambasciata. Gli Ateniesi furon persuasi e mossi dal siciliano oratore, e contro de' Siracusani presero le armi. Ma gli applausi degli Ateniesi dimenticar fecero a Gorgia la sua patria; perciocchè, comunque Diodoro dica che compita la sua ambasciata fece alla patria ritorno, convien dire però che dopo non molto lunga dimora di nuovo si rendesse ad Atene, ove è certo che aprì e tenne lungamente scuola di eloquenza. L'onore da lui al primo entrarvi acquistato, non

(a) Suida afferma che benchè Gorgia dicasi da Porfirio vissuto circa l'oJimp. LXXX, ei fu nondimeno più antico. Ma come egli non ce ne arreca alcuna prova, così l'autorità di esso non basta a farci cambiare di sentimento. Dice ancora ch' ei fu figlio di Carmantida scolaro di Empedocle, e maestro non solo d' Isocrate, ma ancor di Polo da Girgenti, di Pericle, e di Alcidamante elaita che gli fu successor nella scuola.

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