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a'tirannicidi, e pensò come in quella città si potesse ordinare un viver libero. Non è maraviglia ancora che i popoli facciano vendette straordinarie contro a quelli che gli hanno occupata la libertà. Di che ci sono stati assai esempj, de' quali ne intendo riferire solo uno seguito in Corcira, città di Grecia nei tempi della guerra Peloponnesiaca, dove sendo divisa quella provincia in due fazioni, delle quali l' una seguitava gli Ateniesi, e l'altra gli Spartani, ne nasceva che di molte città, ch'erano intra loro divise, l'una parte seguitava l'amicizia di Sparta, e l'altra di Atene; ed essendo occorso che nella detta città prevalessero i nobili, e togliessero la libertà al popolo, i popolari per mezzo degli Ateniesi ripresero le forze, e posto le mani addosso a tutta la nobiltà, li rinchiusero in una prigione capace di tutti loro, donde li traevano ad otto o dieci per volta, sotto titolo di mandargli in esilio in diverse parti, e quelli con molti crudeli esempj facevano morire. Di che sendosi quelli, che restavano, accorti, deliberarono in quanto era loro possibile, fuggire quella morte ignominiosa, ed armatisi di quello potevano, combattendo con quelli che vi volevano entrare, la entrata della prigione difendevano; di modo che il popolo a questo romore fatto concorso, scoperse la parte superiore di quel luogo, e quelli con quelle rovine soffocarono. Seguirono ancora in detta provincia molti altri simili casi orrendi e notabili; talchè si vede esser vero, che con maggiore impeto si vendica una libertà che ti è suta tolta, che quella che ti è voluta torre. Pensando adunque donde possa nascere che in quelli tempi antichi i popoli fussero più amatori della libertà che in questi, credo nasca da quella medesima cagione che fa ora gli uomini manco forti, la quale credo che sia la diversità della educazione nostra dall' antica, fondata nella diversità della religione nostra dall' antica. Perchè avendoci la nostra religione mostra la verità e la vera via, ci fa stimare meno l'onore del mondo; onde i Gentili stimandolo assai, ed avendo posto in quello il sommo bene, erano nelle azioni loro più feroci. Il che si può considerare da molte loro costituzioni, cominciandosi dalla magnificenza de'sacrifizj loro alla umiltà dei nostri, dove è qualche pompa più delicata che magnifica, ma nessuna azione feroce o gagliarda. Qui

non mancava la pompa, nè la magnificenza delle ceremonie, ma vi si aggiugneva l'azione del sacrifizio pieno di sangue e di ferocia, ammazzandovisi moltitudine d'animali: il quale aspetto, sendo terribile, rendeva gli uomini simili a lui. La religione antica, oltre di questo, non beatificava se non gli uomini pieni di mondana gloria, come erano capitani d'eserciti e principi di repubbliche. La religione nostra ha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, che gli attivi. Ha dipoi posto il sommo bene nella umiltà, nell'abiezione, e nel dispregio delle cose umane: quell'altra lo poneva nella grandezza dell'animo, nella fortezza del corpo, e in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che abbia in te fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fare una cosa forte. Questo modo di vivere adunque pare ch'abbia renduto il mondo debole, e datolo in preda agli uomini scellerati, i quali sicuramente lo possono maneggiare, veggendo come l' universalità degli uomini per andare in paradiso pensa più a sopportare le sue battiture che a vendicarle. E benchè paia che si sia effemminato il mondo e disarmato il cielo, nasce più senza dubbio dalla viltà degli uomini, che hanno interpretato la nostra religione secondo l'ozio, e non secondo la virtù. Perchè se considerassero come ella permette la esaltazione e la difesa della patria, vedrebbono come la vuole che noi l'amiamo e onoriamo, e prepariamoci ad esser tali che noi la possiamo difendere. Fanno adunque queste educazioni, e così false interpretazioni, che nel mondo non si vedono tante repubbliche quante si vedeano anticamente, nè per conseguente si vede nei popoli tanto amore alla libertà quanto allora. Ancora ch'io creda piuttosto esser cagione di questo, che l'imperio romano con le sue armi e con la sua grandezza spense tutte le repubbliche e tutti i viveri civili. E benchè poi tal imperio si sia risoluto, non si sono potute le città ancora rimettere insieme, nè riordinare alla vita civile se non in pochissimi luoghi di quello imperio. Pure, comunque si fosse, i Romani in ogni minima parte del mondo trovarono una congiura di repubbliche armatissime, ed ostinatissime alla difesa della libertà loro. Il che dimostra che il popolo romano senza una rara ed estrema virtù mai non l'arebbe potute su

perare. E per darne esempio di qualche membro, voglio mi basti l'esempio de' Sanniti, i quali par cosa mirabile, e Tito Livio lo confessa, che fussero si potenti, e le armi loro si valide, che potessero infino al tempo di Papirio Cursore consolo, figliuolo del primo Papirio, resistere a' Romani, che fu uno spazio di quarantasei anni, dopo tante rotte, tante rovine di terre, e tante stragi ricevute nel paese loro. Massime, veduto ora quel paese, dove erano tante cittadi e tanti uomini, esser quasi che disabitato; ed allora vi era tanto ordine e tanta forza, ch'egli era insuperabile, se da una virtù romana non fusse stato assaltato. E facil cosa è considerare donde nasceva quell'ordine, e donde proceda questo disordine; perchè tutto viene dal viver libero allora, e ora dal viver servo. Perchè tutte le terre e le provincie che vivono liberc in ogni parte, come di sopra dissi, fanno i progressi grandissimi. Perchè quivi si vede maggiori popoli, per essere i matrimonj più liberi, e più desiderabili dagli uomini; perchè ciascuno procrea volentieri quelli figliuoli che crede poter nutrire, non dubitando che il patrimonio gli sia tolto, che e' conosce non solamente che nascono liberi e non schiavi, ma che possono mediante la virtù loro diventare principi; veggendosi le ricchezze moltiplicare in maggior numero, e quelle che vengono dalla cultura e quelle che vengono dalle arti. Perchè ciascuno volentieri moltiplica in quella cosa, e cerca di acquistare quei beni, che crede acquistati potersi godere. Onde ne nasce, che gli uomini a gara pensando ai privati e a'pubblici comodi, e l'uno e l'altro viene maravigliosamente a crescere. Il contrario di tutte queste cose segue in quelli paesi che vivono servi; e tanto più mancano del consueto bene, quanto è più dura la servitù. E di tutte le servitù dure quella è durissima che ti sottomette ad una repubblica, l'una, perchè la è più durabile, e manco si può sperare d'uscirne: l'altra, perchè il fine della repubblica è enervare e indebolire, per accrescere il corpo suo, tutti gli altri corpi. Il che non fa un principe che ti sottometta, quando quel principe non sia qualche barbaro, distruttore de' paesi, e dissipatore di tutte le civiltà degli uomini, come sono i principi orientali. Ma s'egli ha in sè ordini umani o ordinarj, il più delle volte ama le città sue soggelle egualmente, ed a MACHIAVELLI

loro lascia l'arti tutte, e quasi tutti gli ordini antichi. Talchè se le non possono crescere come libere, elle non rovinano anche come serve; intendendosi della servitù, in la quale vengono le città servendo ad un forestiere, perchè di quella di un loro cittadino ne parlai di sopra. Chi considererà adunque tutto quello che si è detto, non si maraviglierà della potenza che i Sanniti avevano, sendo liberi, e della debolezza in che e' vennero poi servendo; e Tito Livio ne fa fede in più luoghi, e massime nella guerra d'Annibale, dove e'mostra che essendo i Sanniti oppressi da una legione d' uomini che era in Nola, mandarono oratori ad Annibale a pregarlo che gli soccorresse. I quali nel parlar loro dissero, che avevano per cento anni combattuto con i Romani con i propri loro sudditi e propri loro capitani, e molte volte avevano sostenuto duoi eserciti consolari e duoi consoli, e che allora a tanta bassezza erano venuti, che si potevano a pena difendere da una piccola legione romana che era in Nola.

CAPITOLO III.

Roma divenne grande città rovinando le città circonvicine, e ricevendo i forestieri facilmente a' suoi onori.

Crescit interea Roma Albae ruinis. Quelli che disegnano che una città faccia grande imperio, si debbono con ogni industria ingegnare di farla piena di abitatori; perchè senza questa abbondanza di uomini, mai non riuscirà di far grande una città. Questo si fa in duoi modi, per amore e per forza. Per amore, tenendo le vie aperte, e sicure a' forestieri che disegnassero venire ad abitare in quella, acciocchè ciascuno vi abiti volentieri. Per forza, disfacendo le città vicine, e mandando gli abitatori di quelle ad abitare nella tua città. Il che fu tanto osservato in Roma, che nel tempo del sesto re in Roma abitavano ottantamila uomini da portare armi. Perchè i Romani vollono fare ad uso del buon coltivatore, il quale perchè una pianta ingrossi e possa produrre e mantenere i frutti suoi, gli taglia i primi rami che la mette, acciocchè, rimasa quella virtù nel piede di quella pianta, possano col tempo nascervi più verdi e più fruttiferi. E che questo modo tenuto per ampliare e fare imperio fusse necessario e buono, lo dimostra lo esempio di

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Sparta e d'Atene, le quali essendo due repubbliche armatissime, e ordinate di ottime leggi, nondimeno non si condussono alla grandezza

CAPITOLO IV.

dell' imperio romano; e Roma pareva più tu- Le repubbliche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare. multuaria, e non tanto bene ordinata quanto quelle. Di che non se ne può addurre altra cagione che la preallegata, perchè Roma per aver ingrossato per quelle due vie il corpo della sua città, potette di già mettere in arme dugento ottantamila uomini, e Sparta ed Atene non passarono mai ventimila per ciascuna. Il che nacque, non da essere il sito di Roma più benigno che quello di coloro, ma solamente da diverso modo di procedere. Perchè Licurgo, fondatore della repubblica Spartana, considerando nessuna cosa potere più facilmente risolvere le sue leggi che la commistione di nuovi abitatori, fece ogni cosa perchè i forestieri non avessero a conversarvi; ed oltre al non ricevere ne' matrimonj, alla civiltà, ed alle altre conversazioni, che fanno convenire gli uomini insieme, ordinò che in quella sua repubblica si spendesse monete di cuoio, per tor via a ciascuno il desiderio di venirvi per portarvi mercanzie o portarvi alcun' arte; di qualità che quella città non potette mai ingrossare d'abitatori. E perchè tutte le azioni nostre imitano la natura, non è possibile nè naturale che un pedale sottile sostenga un ramo grosso. Però una repubblica piccola non può occupare città nè regni che siano più valiði nè più grossi di lei; e se pure gli occupa gl' interviene come a quello albero che avesse più grosso il ramo che il piede, che sostenendolo con fatica, ogni piccolo vento lo fiacca, come si vede che intervenne a Sparta, la quale avendo occupate tutte le città di Grecia, non prima se gli ribellò Tebe, che tutte l'altre cittadi se gli ribellarono, e rimase il pedale solo senza rami. Il che non potette intervenire a Roma, avendo il piè sì grosso che qualunque ramo poteva facilmente sostenere. Que sto modo adunque di procedere, insieme con gli altri che di sotto si diranno, fece Roma grande e potentissima. Il che dimostra Tito Livio in due parole, quando disse: Crescit interea Roma Albae ruinis.

Chi ha osservato le antiche istorie trova come le repubbliche hanno tre modi circa lo ampliare. L'uno è stato quello che osservarono i Toscani antichi, di essere una lega di ̧ più repubbliche insieme, dove non sia alcuna che avanzi l'altra nè di autorità nè di grado; e nello acquistare, farsi le altre città compagne in simil modo, come in questo tempo fanno i Svizzeri, e come nei tempi antichi fecero in Grecia gli Achei e gli Etoli. E perchè i Romani fecero assai guerra con i Toscani, per mostrar meglio la qualità di questo primo modo, mi distenderò in dare notizia di loro particolarmente. In Italia innanzi all' imperio romano, furono i Toscani per mare e per terra potentissimi; e benchè delle cose loro non ce ne sia particolare istoria, pure c'è qualche poco di memoria, e qualche segno della grandezza loro; e si sa come e' mandarono una colonia in sul mare di sopra, la quale chiamarono Adria, che fa sì nobile, che la dette nome a quel mare, che ancora i Latini chiamano Adriatico. Intendesi ancora, come le loro armi furono ubbidite dal Tevere per infino a' piè dell' Alpi, che ora cingono il grosso d'Italia; non ostante che dugento anni innanzi che i Romani crescessero in molte forze, detti Toscani perderono l'imperio di quel paese, che oggi si chiama la Lombardia, la quale provincia fu occupata da' Francesi, i quali, mossi o da necessità o dalla dolcezza dei frutti, e massime del vino, vennero in Italia sotto Belloveso loro duce; e rotti e cacciati i provinciali si posono in quel luogo dove edificarono di molte cittadi, e quella provincia chiamarono Gallia, dal nome che tenevano allora, la qual tennero fino che da' Romani fussere domi. Vivevano adunque i Toscani con quella equalità, e procedevano nello ampliare in quel primo modo che di sopra si dice; e furono dodici città, tra le quali era Chiusi, Veio, Fiesole, Arezzo, Volterra, e simili, quali per via di lega governavano l'imperio loro; nè poterono uscir d'Italia con gli acquisti, e di quella ancora rimase intatta gran parte per le cagioni che di sotto si diranno. L'altro modo è farsi compagni, non tanto però che non ti rimanga

il grado del comandare, la sedia dell' imperio ed il titolo dell' imprese, il qual modo fu osservato da' Romani. Il terzo modo è farsi immediate sudditi, e non compagni, come fecero gli Spartani, e gli Ateniesi. Dei quali tre modi. questo ultimo è al tutto inutile, come e' si vede che fu nelle sopraddette due repubbliche, le quali non rovinarono per altro, se non per aver acquistato quel dominio che le non potevano tenere. Perchè pigliar cura d'avere a governar città con violenza, massime quelle che fussero consuete a viver libere, è una cosa difficile e faticosa. E se tu non siei armato, e grosso d'armi, non le puoi nè comandare nè reggere. Ed a voler esser così fatto, è necessario farsi compagni che ti aiutino ingrossare la tua città di popolo. E perchè queste due città non feciono nè l'uno nè l'altro, il modo del procedere loro fu inutile. E perchè Roma, la quale è nello esempio del secondo modo, fece l'uno e l'altro, però salse a tanta eccessiva potenza. E perchè la è stata sola a vivere così, è stata ancora sola a diventare tanto potente; perchè avendosi ella fatti di molti compagni per tutta Italia, i quali in di molte cose con eguali leggi vivevano seco; e, dall' altro canto, come di sopra è detto, sendosi riservato sempre la sedia dell' imperio e il titolo del comandare, questi suoi compagni venivano, che non se ne avvedevano, con le fatiche e con il sangue loro a soggiogar sè stessi. Perchè come cominciarono a uscire con gli eserciti d'Italia, e ridurre i regni in provincie, e farsi soggetti coloro che per esser consueti a viver sotto i re, non si curavano d'esser soggetti, ed avendo governatori romani, ed essendo stati vinti da eserciti con il titolo Romano, non riconoscevano per superiore altro che Roma. Di modo che quelli compagni di Roma che erano in Italia, si trovarono in un tratto cinti di sudditi romani, ed oppressi da una grossissima città com'era Roma; e quando e' si avvidero dello inganno, sotto il quale erano vissuti,non furono a tempo a rimediarvi: tanta autorità aveva presa Roma con le provincie esterne, e tanta forza si trovava in seno, avendo la sua città grossissima ed armatissima. E benchè quelli suoi compagni, per vendicarsi delle ingiurie, gli congiurassero contro, furono in poco tempo perditori della guerra, peggiorando le loro condizioni, perchè di compagni diventarono loro sudditi.

Questo modo di procedere, com'è detto, è stato solo osservato da' Romani, nè può tenere altro modo una repubblica che voglia ampliare; perchè l'esperienza non te n' ha mostro nessun più certo o più vero. Il modo preallegato delle leghe, come viverono i Toscani, gli Achei e gli Etoli, e come oggi vivono i Svizzeri, è, dopo a quello dei Romani, il miglior modo; perchè non si potendo con quello ampliare assai, ne seguitano duoi beni; l'uno che facilmente non ti tiri guerra addosso; l'altro che quel tanto che tu pigli, lo tieni facilmente. La cagione del non potere ampliare, è l'essere una repubblica disgiunta, e posta in varie sedi, il che fa che difficilmente possono consultare e deliberare. Fa ancora che non sono desiderosi di dominare; perchè sendo molte comunità a partecipare di quel dominio, non istimano tanto tale acquisto, quanto fa una repubblica sola che spera di goderselo tutto. Governansi, oltre di questo, per concilio, e conviene che siano più tardi ad ogni deliberazione che quelli abitano dentro ad un medesimo cerchio. Vedesi ancora per esperienza che simil modo di procedere ha un termine fisso, il quale non ci è esempio che mostri che si sia trapassato; e questo è di aggiungere a dodici o quattordici comunità, dipoi non cercare di andare più avanti; perchè sendo giunti al grado che par loro potersi difendere da ciascuno, non cercano maggiore dominio, si perchè la necessità non gli stringe di avere più potenza, si per non conoscere utile negli acquisti, per le cagioni dette di sopra; perchè egli arebbero a fare una delle due cose, o a seguitare di farsi compagni, e questa moltitudine farebbe confusione, o egli arebbono a farsi sudditi. E perchè e' veggono in questo difficultà, e non molto utile nel tenerli, non lo stimano. Pertanto, quando e' sono venuti a tanto numero, che paia loro vivere sicuri, si voltano a due cose: l' una a ricevere raccomandati, e pigliar protezioni, e per questi mezzi trarre da ogni parte danari, i quali facilmente tra loro si possono distribuire; e l'altra è militare per altrui, e pigliare stipendio da questo e da quello principe, che per sue imprese gli solda, come si vede che fanno oggi i Svizzeri, e come si legge che facevano i preallegati. Di che ne è testimone Tito Livio, dove dice, che venendo a parlamento Filippo re di Macedonia con Tito Quinzio Flaminio,

e ragionando di accordo alla presenza d' un pretore degli Etoli, in venendo a parole detto pretore con Filippo, gli fu da quello rimproverato l'avarizia e la infidelità, dicendo che gli Etoli non si vergognavano militare con uno, e poi mandare i loro uomini ancora al servigio del nemico, talchè molte volte tra duoi contrarj eserciti si vedevano le insegne di Etolia. Conoscesi pertanto come questo modo di procedere per leghe, è stato sempre simile, ed ha fatto simili effetti. Vedesi ancora che quel modo di fare sudditi è stato sempre debole, ed avere fatto piccoli profitti; e quando pure egli hanno passato il modo, essere rovinati tosto. E se questo modo di fare sudditi è inutile nelle repubbliche armate, in quelle che sono disarmate è inutilissimo, come sono state nei nostri tempi le repubbliche d'Italia. Conoscesi pertanto essere vero modo quello che tennero i Romani, il quale è tanto più mirabile, quanto e' non ce n'era innanzi a Roma esempio, e dopo Roma non è stato alcuno che gli abbia imitati. E quanto alle leghe, si trovano solo i Svizzeri e la lega di Svevia che gl'imita. E, come nel fine di questa materia si dirà, tanti ordini osservati da Roma, così pertinenti alle cose di dentro, come a quelle di fuora, non sono nei presenti nostri tempi non solamente imitati, ma non se n'è tenuto alcuno conto, giudicandoli alcuni non veri, alcuni impossibili, alcuni non a proposito ed inutili. Tanto che standoci con questa ignoranza, siamo preda di qualunque ha voluto correre questa provincia. E quando la imitazione dei Romani paresse difficile, non dovrebbe parere così quella degli antichi Toscani, massime a' presenti Toscani. Perchè se quelli non poterono, per le cagioni dette, fare un imperio simile a quel di Roma, poterono acquistare in Italia quella potenza che quel modo del procedere concesse loro. Il che fu per un gran tempo sicuro, con somma gloria d'imperio e d'armi, e massima laude di costumi e di religione. La qual potenza e gloria fu prima diminuita dai Francesi, dipoi spenta da' Romani, e fu tanto spenta, che, ancora che duemila anni fa la potenza de' Toscani fusse grande, al presente non è quasi memoria. La qual cosa mi ha fatto pensare donde nasca questa oblivione delle cose, come nel seguente capitolo si discorrerà.

CAPITOLO V.

Che la variazione delle selle e delle lingue, insieme con l'accidente de' diluvj e delle pesti, spegne la memoria delle cose.

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A quelli filosofi che hanno voluto che il mondo sia stato eterno, credo che si potesse replicare, che se tanta iniquità fusse vera, e' sarebbe ragionevole che ci fusse memoria di più che cinque mila anni, quando e' non si vedesse come queste memorie de' tempi per diverse cagioni si spengano; delle quali, parte ne vengono dagli uomini, parte dal cielo. Quelle che vengono dagli uomini sono le variazioni delle sette e delle lingue. Perchè quando e' surge una setta nuova, cioè una religione nuova, il primo studio suo è, per darsi riputazione, estinguere la vecchia; e quando egli occorre che gli ordinatori della nuova setta siano di lingua diversa, la spengono facilmente. La qual cosa si conosce, considerando i modi che ha tenuti la Religione cristiana contro alla setta Gentile, la quale, ha cancellati tutti gli ordini, tutte le cerimonie di quella, e spenta ogni memoria di quella antica teologia. Vero è che non gli è riusciuto spegnere in tutto la notizia delle cose fatte dagli uomini eccellenti di quella; il che è nato per avere quella mantenuta la lingua latina, il che fecero forzatamente, avendo a scrivere questa legge nuova con essa. Perchè se l'avessero potuta scrivere con nuova lingua, considerato le altre persecuzioni gli fecero, non ci sarebbe ricordo alcuno delle cose passate. E chi legge i modi tenuti da San Gregorio, e dagli altri capi della religione Cristiana, vedrà con quanta ostinazione e' perseguitarono tutte le memorie antiche, ardendo le opere de' poeti e degli istorici, ruinando le immagini, e guastando ogni altra cosa che rendesse alcun segno dell'antichità. Talchè se a questa persecuzione egli avessero aggiunto una nuova lingua, si sarebbe veduto in brevissimo tempo ogni cosa dimenticare. È da credere pertanto che quello che ha voluto fare la religione Cristiana contro alla setta Gentile, la Gentile abbia fatto contro a quella che era innanzi a lei. E perchè queste sette in cinque o seimila anni variarono due o tre volte, si perdè la memoria delle cose fatte innanzi a quel tempo. E se pure ne resta alcun

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