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come vasi d'argento, apparamenti di camere di ricchissimi drappi d'oro, di seta e d'altre cose simili, ma per ornamento v'aggiunse una infinità di statue antiche di marmo e di bronzo, pitture singularissime, instrumenti musici d'ogni sorte; né quivi cosa alcuna volse, se non rarissima ed eccellente. Appresso, con grandissima spesa adunò 30 un gran numero di eccellentissimi e rarissimi libri greci, latini ed ebraici, quali tutti ornò d'oro e d'argento, estimando che questa fosse la suprema eccellenza del suo magno palazzo.

III. Costui adunque, seguendo il corso della natura, già di sessantacinque anni, come era visso, cosí gloriosamente mori; ed un figliolino di dieci anni, che solo maschio aveva, e senza madre, lasciò signore dopo sé; il qual fu Guid' Ubaldo. Questo, come dello stato, cosí parve che di tutte le virtú paterne fosse erede, e subito con 5 maravigliosa indole cominciò a promettere tanto di sé, quanto non parea che fosse licito sperare da uno uom mortale; di modo che estimavano gli omini, delli egregi fatti del duca Federico niuno esser maggiore, che l'avere generato un tal figliolo: Ma la fortuna, invidiosa di tanta virtú, con ogni sua forza s'oppose a cosí glorioso 10 principio: talmente che, non essendo ancor il duca Guido giunto alli venti anni, s'infermò di podagre, le quali con atrocissimi dolori pro

26. Apparamenti. Apparati, addobbi; più comune paramenti.

29. Volse per volle, forma arcaica, usata spesso nelle scritture letterarie del 500 e che ci occorrorà d'incontrare anche più innanzi in questa lettura.

31. Libri greci occ. È la celebre biblioteca che l'Odasi nell' orazione funebre pel Duca Guidobaldo, inserita dal Bembo nella scrittura citata dicova « tum Latinorum, tum Graecorum, tum Hetruscorum, tum etiam Hebraicorum lingua perscriptis in omnt disciplinarum genere libris monumentisque refertissima». Ma, meglio che questo notizie e quelle forniteci da Vespasiano da Bisticci, serve a darci un'idea della sua ricchezza l'Inventario della Libreria Urbinate compilato nel sec. XV da Federigo Veterano bibliotecario di Federigo, pubbl. dal Guasti nel Giornale Stor. degli Archivi toscani, vol. VI, pp. 127 sgg., e vol. VII, pp. 46 sgg. La preziosa collezione passò poi a Roma, e quasi interamento alla Vaticana, dove forma il fondo detto appunto Urbinate. Malgrado qualche sottrazione avvenuta, è erroneo credere, como fecero alcuni, che il Duca Valontino, nella prosa d'Urbino del 1502, disperdesse la famosa libreria e ne distribuisso i codici fra i suoi soldati. Il vero è che il Borgia la feco tutta trasportare, come il migliore trofeo di quella guerra, in Cesena,

capitale del suo nuovo ducato. (Alvisi, Cesare Borgia duca di Romagna, Imola, 1878, p. 395, 441, e Bartoli. I mss. della Biblioteca Nazionale di Firenze, vol. I, pag. 67). Della libreria urbinate, che fu descritta da B. Baldi (Op. cit.), parla diffusamente, fra gli altri, il Dennistonn, nel luogo testé citato; e le sue ultime vicende furono fedelmonte narrate dal march. Filippo Raffaelli. (La imparziale e veritiera istoria della unione della biblioteca d'Urbino alla Vaticana di Roma, Fermo, 1877). Sopra un totale di 792 manoscritti, molti dei quali stupondamente miniati, la Libreria Urbinate no conteneva 606 latini, cosi classificati: 282 di teologia e ierografia, 22 di medicina, 30 di giurisprudenza, 272 fra storici, geografici, letterari; 93 greci e 98 ebraici.

III. 1. Di sessantacinque anni. Veramente di soli sessant'anni mori, nel 1482, il Duca Federico, che i moderni concordano nel far nascere l'anno 1422.

7. Di modo che ecc. Com' ebbe già a notare il Dolce, qui il C. si ricordò d'un passo di Ovidio (Metam., lib. xv, 760-1) "... Noque enim de Caesaris actis Ullum majus opus, quam quod pater extitit huius ».

11. All venti anni ecc. Lo stesso C. nella epistola ad Enrico VII d'Inghilterra, scrivo che a ventun anno Guidobaldo cominciò ad essere tormentato dalla podagra, « et quam

cedendo, in poco spazio di tempo talmente tutti i membri gl'impedirono, che né stare in piedi né mover si potea; e cosí restò un dei 15 più belli e disposti corpi del mondo deformato e guasto nella sua verde età. E non contenta ancor di questo la fortuna, in ogni suo disegno tanto gli fu contraria, ch'egli rare volte trasse ad effetto cosa che desiderasse; e benché in esso fosse il consiglio sapientissimo e l'animo invittissimo, parea che ciò che incominciava, e nell'arme e 20 in ogni altra cosa o picciola o grande, sempre male gli succedesse: e di ciò fanno testimonio molte e diverse sue calamità, le quali esso con tanto vigor d'animo sempre tolerò, che mai la virtú dalla fortuna non fu superata; anzi, sprezzando con l'animo valoroso le procelle di quella, e nella infermità come sano e nelle avversità come fortuna25 tissimo, vivea con somma dignità ed estimazione appresso ognuno; di modo che, avvenga che cosí fosse del corpo infermo, militò con onorevolissime condizioni a servizio dei serenissimi re di Napoli Alfonso e Ferrando minore; appresso con papa Alessandro VI, coi signori Veneziani, e Fiorentini. Essendo poi asceso al pontificato 80 Julio II, fu fatto Capitan della Chiesa; nel qual tempo, seguendo il suo consueto stile, sopra ogni altra cosa procurava che la casa sua fosse di nobilissimi e valorosi gentilomini piena, coi quali molto familiarmente viveva, godendosi della conversazione di quelli: nella qual cosa non era minor il piacer che esso ad altrui dava, che quello 35 che d'altrui riceveva, per esser dottissimo nell'una e nell'altra lingua, ed aver insieme con la affabilità e piacevolezza congiunta ancor la cognizione d'infinite cose: ed, oltre a ciò, tanto la grandezza del l'animo suo lo stimolava, che, ancor che esso non potesse con la persona esercitar l'opere della cavalleria, come avea già fatto, pur si

vis palam id non esset, nec ipse fateretur, tamen aliquantulum impeditus, nescio quo pacto, pedibus laborare videbatur ».

26. Militò ecc. Delle varie imprese guer resche di Guidobaldo parla più diffusamente il C. nella epistola ora citata. Questo fatto del militare agli stipendi di altri signori o città, ci mostra come in Guidobaldo, accanto al principe nobile e mecenate, sopravvivesse ancora il capitano di ventura. (Cfr. Burckhardt, La civiltà del secolo del Rinascimento ecc., Firenze, 1876, I, pp. 28 segg.).

35. Per esser dottissimo ecc. Fu discepolo dell' Odasi, che celebrò le sue lodi, non senza molta esagerazione retorica, nella orazione funebre già ricordata. Altrove il C. ebbe a scrivere di lui: «liberalia studia ab aetate prima cupide semper ac diligenter exercuit; utramque linguam (cioè la latina e la greca) pari studio feliciter excoluit, sed Graecarum litterarum praecipuo tenebatur amore, ejusque linguae tam exactam adeptus erat cognitionem, ut non minus

quam patriam in promptu haborot; diffondendosi a parlare più particolarmente dei suoi studi e degli autori suoi prediletti.

36. Insieme con la affabilità e piacevolezza ecc. E altrove il C. Eadem verborum gratia in domesticis rebus narrandis usus est; privatim facetissimus; dicteriis (molti arguti) totus scaturieus; comis ac facilis ecc. ».

39. Come avea gia fatto occ. Bolla e viva, e certo alquanto idealizzata, ci apparisco la giovinezza cavalloresca di questo infelice principe del Rinascimento nella efficace prosa latiua del suo deguo cortegiano; che ce lo rappresenta mirabile in tutti gli esercizi convenienti a nobili cavalieri », malgrado la malattia che cominciava ad affliggerlo: Verum non ob id ludo pilae (cujus erat scientissimus) abstinebat. Equitabat praeterea quotidie; arma gestabat, hastis concurrebat.... Spectabant omnes et admirabantur dulcem oris ferociam, totum denique corpus adeo concinno compositum,

pigliava grandissimo piacer di vederle in altrui; e con le parole, or 40 correggendo or laudando ciascuno secondo i meriti, chiaramente dimostrava quanto giudicio circa quelle avesse; onde nelle giostre, nei torniamenti, nel cavalcare, nel maneggiare tutte le sorti d'arme, medesimamente nelle feste, nei giochi, nelle musiche, in somma in tutti gli esercizii convenienti a nobili cavalieri, ognuno si sforzava di mo- 45 strarsi tale, che meritasse esser giudicato degno di cosí nobile commercio.

IV. Erano adunque tutte l'ore del giorno divise in onorevoli e piacevoli esercizii cosí del corpo come dell'animo; ma perché il signor Duca continuamente, per la infirmità, dopo cena assai per tempo se n'andava a dormire, ognuno per ordinario dove era la signora duchessa Elisabetta Gonzaga a quell'ora si riduceva; dove ancor sempre 5 si ritrovava la signora Emilia Pia, la qual per esser dotata di cosí vivo ingegno e giudicio, come sapete, pareva la maestra di tutti, e che ogniuno da lei pigliasse senno e valore. Quivi adunque i soavi ragionamenti e l'oneste facezie s'udivano, e nel viso di ciascuno dipinta si vedeva una gioconda ilarità, talmente che quella casa certo 10 dir si poteva il proprio albergo della allegria: né mai credo che in altro loco si gustasse quanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia deriva, come quivi si fece un tempo; ché, lassando quanto onore fosse a ciascun di noi servir a tal signore come quello che già di sopra ho detto, a tutti nascea nell'animo una somma con. 15 tentezza ogni volta che al conspetto della signora Duchessa ci riducevamo; e parea che questa fosse una catena che tutti in amor tenesse uniti, talmente che mai non fu concordia di volontà o amore cordiale tra fratelli maggior di quello, che quivi tra tutti era. Il medesimo era tra le donne, con le quali si aveva liberissimo ed onestissimo 20 commercio; ché a ciascuno era licito parlare, sedere, scherzare e ridere con chi gli parea: ma tanta era la reverenzia che si portava al voler della signora Duchessa, che la medesima libertà era grandissimo freno; né era alcuno che non estimasse per lo maggior piacere che al mondo aver potesse il compiacer a lei, e la maggior pena il 25 dispiacerle. Per la qual cosa, quivi onestissimi costumi erano con gran

ut quidquid ageret, ipsum semper deceret ». E di lui ci ha lasciato questo ritratto: «Statura procorus fuit, colore candido, ore non admodum pleno, sed forma eximia, et per omnes aetates vonustissima; negligens tamen omnis lenocinii, et circa cultum ad mundiciam et decentiam tantum curiosus: glaucis oculis, capillis aureis primum, mox subflavis, iisdem planis nec multis; toreti collo, latis humeris, toroso pectore, castigato ventre, plenis femoribus, tibiis autem decenter exilibus ». E, fatto singolare e caratteristico, questo giovane prin

CASTIGLIONE, Il Cortegiano.

cipe, in mezzo agli strazî del male, spira mormorando (paene subcinens) rivolto al suo fodelo cavaliere, il C., i versi del poeta prediletto, Virgilio.

IV. 21. Commercio. Commercio, è il conversare; relazione, convivenza » Cans.

26. Onestissimi costumi. Il C. mostra quasi una singolare preoccupazione di rilevare l'onestà di parole e di atti e di costumi, che regnava nella Corte Urbinate e vi insiste più d'una volta in questo stesso capitolo. Non dobbiamo però crodere che quella Corte fosse diversa dalle altre di quol tempo,

dissima libertà congiunti, ed erano i giochi e i risi al suo conspetto conditi, oltre agli argutissimi sali, d'una graziosa e grave maestà; ché quella modestia e grandezza che tutti gli atti e le parole e i gesti 30 componeva della signora Duchessa, motteggiando e ridendo, facea che ancor da chi mai piú veduta non l'avesse, fosse per grandissima signora conosciuta. E cosí nei circustanti imprimendosi, parea che tutti alla qualità e forma di lei temperasse; onde ciascuno questo stile imitare si sforzava, pigliando quasi una norma di bei costumi dalla 35 presenzia d'una tanta e cosí virtuosa signora: le ottime condizioni della quale io per ora non intendo narrare, non essendo mio proposito, e per esser assai note al mondo, e molto più ch'io non potrei né con lingua né con penna esprimere; e quelle che forse sariano state alquanto nascoste, la fortuna, come ammiratrice di cosí rare 40 virtú, ha voluto con molte avversità e stimuli di disgrazie scoprire, per far testimonio che nel tenero petto d'una donna in compagnia di singolar bellezza possono stare la prudenza e la fortezza d'animo, e tutte quelle virtú che ancor ne' severi omini sono rarissime.

V. Ma lassando questo, dico, che consuetudine di tutti i gentilomini della casa era ridursi subito dopo cena alla signora Duchessa; dove, tra l'altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamento si usavano, talor si proponeano belle questioni, talor si faceano alcuni

o avesse un carattere di austerità morale
che, attese le condizioni generali degli spi.
riti, era allora impossibile. Certo, anche per
la presenza della Duchessa, ogni crudezza e
volgarità di parole e di atti doveva essere
bandita, ma, benché si rivestisse di forme
quasi sempre raffinate e squisite, l'immora-
lità non
cessava di essere tale. E di ciò
possiamo trovare documenti, moglio che nel
Cortegiano o noi Motti già citati dol Bom-
bo, nei carteggi, in molta parte inediti, di
quel tempo, dai quali ricaviamo un'imma-
gine meno gradevole, ma certo più fodole
delle condizioni morali della Corte urbinate.
Anzi, ciò che è più notevole, lo stesso C. in
una redazione primitiva del suo libro, ave-
va adoperato una libertà, talvolta perfino
una licenziosità di parola e di concetto talo,
da fare un singolar contrasto con la quasi
costante correttezza della redazione defini-
tiva. Si veda per questo il cit. volume di
Studi e documenti.

28. Ché quella modestia e grandezza ecc. Il Bembo, l'Odasi ed altri parlarono con lodi altissime della quasi sovrumana virtú da lei dimostrata nel matrimonio non consolato dalle gioie maritali e materne, e durante la sua triste vedovanza. Casta e severa ella si mantenne sompre « in mariti domo, in splendore conventuque hominum, in jocis, in licentia, in libertate maritali, in audiendis iis quae virginibus reticentur »,

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e soggiunge: « ..... ita graviter, ita prudenter, ita scite, ita blande ac lepide loquitur... ut is lapideus plane sit, qui unam cum illa muliere sessiunculam omnibus mulierum doliciis voluptatibusque non praoferat ».

33. Temperasse occ. ciod adattasso corroggondo, accordasso, quasi suoni d'una musica ideale.

35. Le ottime condizioni ecc. Lo qualità, le doti morali.

38. E quelle che forse ecc. Il C. allude qui e alle tristi vicende politiche alle quali andò soggetta la Duchessa prima sotto Alossandro VI, poscia sotto Loono X, o fors'anche alla durissima prova a cui furono sottoposte le sue piú care aspirazioni di donna e di moglie, e sulla quale il Bembo accennava con un pudico velame potrarchesco in quel sonetto a lei indirizzato, che diede tanto da arzigogolare e da fantasticare agli interpreti, e che incomincia: Del cibo ondo Lucrezia e l'altro han vita, In cui vera onestà mai non morio, L'un pasca il digiun vostro lungo e rio, Donna, più che mortal saggia e gradita ».

V. 4. Questioni. Fu antica consuetudine tradizionale della società colta e signorile e poscia anche della miglior borghesia,

giochi ingeniosi ad arbitrio or d'uno or d'un altro, nei quali sotto 5 varii velami spesso scoprivano i circunstanti allegoricamente i pensier sui a chi più loro piaceva. Qualche volta nasceano altre disputazioni di diverse materie, ovvero si mordea con pronti detti; spesso si faceano imprese, come oggidí chiamiamo: dove di tali ragionamenti maraviglioso piacere si pigliava, per esser, come ho detto, piena la 10 casa di nobilissimi ingegni; tra i quali, come sapete, erano celeberrimi il signor Ottaviano Fregoso, messer Federico suo fratello, il Magnifico Juliano de' Medici, messer Pietro Bembo, messer Cesar Gon

quosta di proporre e risolvere questioni ingegnoso e sottili, specialmente in materia d'amore; e ad essa si devono certo far risalire lo tanto dibattute Corti d'Amore (Cfr. Rajna, Le Corti d'Amore, Milano, Hoopll, 1890, p. 41). Degno di particolare monziono è l'episodio delle questioni di Amoro nol Filocolo boccaccosco (lib. rv), del quale opisodio fu fatta conoscere rocentemente una redazione in terza rima del sec. xv nel poema delle Definitioni, dovuto al Senese Iacomo di Giovanni di Ser Minoccio (V. Un capitolo delle Definizioni occ. in Firenzo, 1887, por nozze RenierCampostrini). Quost' uso cavalleresco modievale piacque anche alla società e agli scrittori del Rinascimento, che di siffatti ragionamenti, con l'intervento della donna, trovavano riscontri nell' antichità classica e che, appunto per questo, dal consueto novellare del sec. XIV passarono gradatamente alle astratte filosofiche tonzoni a dialogo proprio dol sec. XVI. Le discussioni del Paradiso degli Alberti appartengono a quel periodo di transizione che fu studiato dal Wesselofscky (Il Paradiso degli Alberti occ. di Giovanni da Prato, vol. I, P. I, Bologna, 1867, p. 65).

Al C. non doveva poi essere ignoto il Li. bro della natura d'Amore dell' amico suo Mario Equicola, nel quale abbondano questioni simili a quelle proposte qui nei capitoli vIII e XI. E neppure doveva essergli ignoto il libro intitolato Aura, composto da un altro amico, il mantovano Gian Giacomo Calandra, e del quale s'intrattiene lo stesso Equicola nel libro citato. « Propone (egli scrive) circa 70 dubbi d'amore, dei quali noi abbiamo eletti questi: qual sia mag. glor difficultà fingor amore, ovvero amando dissimular non amare se amore può esser senza gelosia; se l'amante po' morir per troppo amore. Naturalmente chi è più costante l'homo o la donna ... Se di fama uno si po' innamorar di donna ecc. ».

5. giochi ingeniosi. In servizio appunto di questi giochi della Corte Urbinate dovettero essere composti dal Bembo, fra il 1506 e il 1507, i Motti già citati. Intorno

ai giochi più in uso nella società elegante del Cinquecento si vedano gli articoli di A. Solerti, Trattenimenti di società nel sec. XVI (nella Gazzetta letter, di Torino, a. XII, 1888, n. 48-50).

8. Pronti detti. Motti arguti, leggiadre risposto, che erano considerate fino dagli antichi, come il condimento nocossario di una geniale conversazione. Questi detti, che si conformavano mirabilmente all'indole degli Italiani e specialmente dei Fiorentini, porsero ricca e viva materia ai nostri novellieri, e meglio che ad altri, al Boccaccio, il quale (Giorn. VI, Nov. I) faceva dire alla Filomena: «Come ne' lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo, e nella primavera i fiori de' verdi prati, e de' colli i rivestiti albuscelli, cosi de' laudevoli costumi e de' ragionamenti belli sono i leggiadri motti.... (Cfr. le stesse parole nel principio della Nov. x, Giorn. I).

9. Imprese. Erano quelle « invenzioni » tanto in voga specialmente nel 500, « le quali i gran signori e nobilissimi cavalieri a' nostri tempi vogliono portare nelle sopravvesti, barde e bandiere per significare parte de' loro generosi pensieri. Cosi scriveva il Giovio, uno dei più autorevoli fra i molti, troppi, trattatisti di questa materia, nol suo Ragionamento sopra i motti e disegni d'arme e d'amori che comunemente chiamano imprese (V. ristampa di Milano, Daelli, 1863).

L'impresa consisteva in una figura o corpo figurato e in un motto o anima, cho quasi sempre era in latino, sebbene alle volte il motto si intralasciasse del tutto. Su questo argomento si può consultare utilmente anche uno scritto del Pèrcopo (Marc'Antonio Epicuro nel Giornale storico ora cit. vol. XII, 1888, pp. 36-46).

12. Il Magnifico Iuliano de' Medici, del quale s'è detto più sopra, non credo s' intrattenesse in Urbino parecchi anni di seguito, come afferma il Serassi (Annotazione alla st. 43 del Tirsi). Forse, più che un vero soggiorno continuato, egli ebbe a fare visite frequenti e non brevi alla corte urbinate, talvolta insieme col fratello Car

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