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sare Gonzaga suo cugino, in Roma, 1760); ma altre rime ci sono conservate dai codici (p. es. dal Magliabech. II, 1, 60 già Gadd.) e non poche sue lettere giacciono inedite negli archivi. Fra quelle che videro la luce, ma rimasero ignote al Serassi, è particolarmente notevole una scritta di Modena, il 2 dicembre 1510 e indirizzata alla Marchesa Isabella Gonzaga: alla quale egli chiede che la se digni comandare a Marchetto (Cara, celebre compositore di musica menzionato nel Cortegiano, I, xxxvi, 37) che faccia un' aria a questo madrigaletto, il quale le mando qui incluso... Se gratia un puro cor meritò mai... La supplico an. chora si degni mandarmi quell'aria del sonetto Cantai: né le parrà strano ch'io in questi tempi vada dietro a tal cosa; Che Marte ha sol la scorza, e il resto Amore.. (D'Arco, Notizie di Isabella Estense ecc., nell' Arch. stor. ital. Append. n. 11, 1845, p. 315-6). Per altri documenti che lo ri. guardano, vedasi l' Indice del cit. volume di Studi e documenti.

Gonzaga Elisabetta, sorolla del Marchese Francesco, nacque assai probabilmente nel febbraio 1471, andò nel 1488 sposa a Guidobaldo, morto il quale, allorquando Leono X scaccio da Urbino Francesco Maria della Rovere, essa con la duchessa Eleonora, sua nipote, trovò rifugio in Mantova, přesso la sua famiglia, ed a Venezia. Tornata, come dice il Bembo (Lettere, IV, I, 31) felicemente nel suo bollo e honorato nido ", vi moriva nel gennaio del 1526,

avanti il di suo» (ib. IV, 1, 28). Alle sue grandi virtú tributarono lodi copiose ma moritato il C., oltro cho nol Cortegiano, nella citata opistola De Guidobaldo Urbini Duce, e il Bombo nel dialogo, pur citato, de Urbini Ducibus, dal quale spira quella schietta e confidente amicizia verso la gen. tilo Duchessa, di cui ci rimangono documenti notevoli in parecchie lettere che sono comprese nell' epistolario del poeta veneziano. (Lettere, iv, P. 32 I., 29, ecc.). Di lei discorrono più ampiamente ed esattamente di qualunque altro il Luzio ed il Renfer nel citato libro Mantova e Urbino, Isabella d'Este ed Elisabetta Gonzaga.

Gonzaga Margherita. Era parente, anzi nipote, della Duchessa Elisabetta, essendo figlia naturale del Marchese Francesco. Insieme con Madama Emilia e con la Costanza Fregoso, fu per lunghi anni una delle più degne figure femminili della Corte Urbinate, una delle Ninfe » vezzose, che nel Tirsi del nostro A. (st. XXXIV) facevano onorato corteggio alla Dea, cioè alla Duchessa. Fra i suoi corteggiatori dovette avere Filippo Beroaldo il giovane, dacché il Bembo, scrivendo all'amico alla fine del 1506, gli nominava la sua Margherita (Margaritam tuam

in Epist. famil. rv, 5), e l'identificazione mi pare probabile assai. Il suo carattere, allegro e argutamente vivace, le meritò dal Bembo l'epiteto di lepidissima (Epist. famil. Iv, 27). Essa ci apparisce anche in una lettera interessante, pubblicata non ha molto dal Luzio (Federico Gonzaga ostaggio alla Corte di Giulio II già cit., pp. 16-17) della quale riproduco i passi più notevoli anche per confermare storicamente i particolari che di quella vita alla Corte Urbinate ci of fre nel suo libro il C. Per la venuta del giovane Federico Gonzaga, figlio della March. Isabella, nel marzo del 1511, le due Duchesse (la vedova Elisabetta, e la giovane Eleonora, moglie di Francesco Maria) «ogni giorno dal veneri in fora mentre è durato carnevale sempre hanno fatto ballare, e quasi ogni sera il Sig. Federico daseva cena alla Sig. Duchessa giovine, a M. Margherita, a M. Raphaella, al M. Juliano, al Marchese Phebus, a M. Petro Bembo et a Zoanne Baptista del Isotta; e la matina mai non disnava senza la maior parte di questi gentilhomini, et anchor li venevano m. Simonetto Fregoso, molte volte il conte Alexandro Triulcio, Jacomo da Sansecundo, et ogni giorno di quelli de la Sig. Duchessa accarezzandoli al possibile. La dominica di Car. nevale la Sig. Duchessa et il Sig. Federico et tutte le damigelle de l'una e l'altra Duchessa andettero a cena a casa di uno parente di sposo di la Grossina, ove doppo alquanti balli si fece una comedia non molto laudabile né de inventione, né de ben recitata, poi una bella et abondevolo cena si recitò una egloga pastorale in laude di constantia, et ballato alcuni balli ogniuno ritornò a casa lor... ». Margherita doveva essere dotata di qualità personali non comuni, che destavano facilmente entusiasmi amorosi. Il 3 aprile del 1505 Alessandro Picenardi, dando notizia alla Marchesa di Mantova della bona convalisentia » della Duchessa Elisabetta, scriveva fra altro:

Sua Signoria (la Duchessa) se raccomanda a la Excelentia vostra et cosi la vostra serua Madama Emillia et Madonna Mar. garita da Gonzaga la quale à cosí cotto il S. Alberto [Pio da Carpi] che non pò stare in stroppa (non può contenersi), il quale non s'è partito da Urbino senza lacrimetta et lei senza, si che per dui innamorati consorti stanno bene; il quale S. Alberto non negarà questo a la Excelentia vostra como il gionga da quella. Et è in tal furia chel se la vorebbe hauer a Carpi e non li mancha se non alturio et fauore » (Arch. Gonzaga). Ma le impazienze amorose, anzi matrimoniali di Alberto Pio dovettero spuntarsi contro certe difficoltà, certe questioni d'affari che resero impossibile quel matrimonio. E si noti che fino all' agosto del 1507 il

Bembo, scrivondo da Urbino al Pio, gli dava notizia della Margherita, come della sua consorte (cfr. Luzio-Renier, Mantova e Urbino, p. 199, n.). Quattro anni piú tardi, nel 1511, furono avviato trattative di matrimonio fra lei ed il Magnifico Agostino Chigi, il quale dopo un anno interruppe ogni pratica, essendosi accertato che la giovane figlia del Marchese si sarebbe rassegnata a malincuore a quella unione con un uomo troppo avanzato in età (V. Luzio, Federico ostaggio ecc., pp. 25-7). Si voda nol citato volume di Studi e documenti una lettora dolla Margherita, riprodotta scrupo. losamente di sull' autografo.

Medici Giuliano, il minore doi figli dol Magnifico Loronzo, nacque nel 1479; nol 1512 ebbe il governo di Firenze, e l'anno di poi era eletto, per opera di Leone X, patrizio romano, con festo grandissime. Ma d'indole mite, fiacca, pensosa com' era, inclinava più alle voluttà, alla licenza e alla prodigalità, che a soddisfare le mire ambiziose del fratello pontefice. Il quale di li a poco gli faceva prendere in isposa Filiberta di Savoia, prossima parente della casa regalo di Francia. La sua dobolo saluto gl'impodi d'assumere nel 1515 il comando supremo dell'esercito pontificio in qualità di capitano generale della Chiesa contro i Francesi, e dopo un anno, il 17 marzo del 1516, moriva in Firenzo, con grande dolore di papa Leono. Fu anche poeta e non disprezzabile, come apparisce da un sonetto edito già dal Serassi (nelle Annotazioni al Tirsi del Castiglione, st. 43) e meglio da cinque sonetti contenuti nel Cod. Palat. 206 (I codd. Palat. della Nazionale Centrale di Firenze. vol. I, fasc. 4) e dai sei esistenti nel Cod. Magliabech. II, I, 60. (Cfr. Bartoli, I manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze, t. I, 1879, p. 38), dei quali il ponultimo è por l'appunto quello stesso cho il Castiglione obbo a citaro nella st. 43 del suo Tirsi. Ricordiamo cho Giuliano fu introdotto dal Bombo fra gli interlocutori delle sue Prose della volgar lingua.

Monte Pietro. (Vedasi la nota 20 al lib. I, cap. v).

Montefeltro Guidobaldo. (V. nota alla Lettera dedicatoria, I, 1).

Morello Sigismondo da Ortona. Questo Morello da Ortona, (nell' Abruzzo citer., prov. di Chieti) ci apparisce come l'unico cavaliere vecchio, quasi un Nestore del Ri. nascimento, in mezzo al brio e alla galezza giovanile della Corte Urbinate, alla quale i suoi inutili rimpianti e il desiderio del bel tempo antico e un certo ridestarsi di fiamme giovanili daranno occasione di motteggi e di sorrisi maliziosi. Doveva essere gradito specialmente per la sua valentia nel suonare la cetra e fors'anche nel com.

porre poesie musicali. Infatti lo stesso C. cantava di lui nel Tirsi (st. 42): « Evvi il Pastor antico, e ognun l'onora, Che del sacrato onor porta corona; Questi ha la choli sua dolce e sonora, La choli stessa, con che Febo sona; E l'have in modo tal, che al collo ognora La tien, si che di lui ben si ragiona. Questo agli altri pastor dona consiglio; Che già del fiero Amor provò l'artiglio. Certamente è lo stesso « S. Morello che è nominato in una lettera che un Alexandor Cardinalis » scrivova da Urbino il 15 settembre 1504 alla Marchosa Isabella Gonzaga. In ossa, doscrivondosi la corimonia solonno con cui l'ArciVoscovo di Ragusa nolla Cattedrale d' Urbino aveva benedetto e consegnato al Duca Guidobaldo il bastone e li stendardi di la Sancta Madre Ecclesia », è detto che il Duca, levatosi di ginocchio, a dette il baa stone in mane al Sig. Jo. da Gonzaga et a uno stendardo al Sig. Octaviano Fregoso, a l'altro al S. Morello ». (Dall'Archivio Gonzaga di Mantova). Non so con quanto fondamento l' Ugolini (Storia cit. vol. II, p. 159) asserisse che il Morello era un potento barone napoletano ». Vodasi l'Indice dol cit. volume di Studi e documenti.

Pallavicino Gasparo. Discendente dai Marchesi di Cortemaggiore, nacque nel 1486 e mori immaturamente nel 1511. In tutto il libro l' A. fa rilevare in lui, como un carattere reale, la curiosa ostinata avvorsione alle donne, e dell' amico ricorda la morte nel principio del lib. IV, dicendo, fra altro, che quella era perdita grandissima non solamente nella casa nostra, ma alla patria ed a tutta la Lombardia ». Notevole è una lettera che a Cortemaggiore il Bembo gl' indirizzava il 15 aprile 1510, dai dintorni di Roma, dandogli notizło doi Duchi d'Urbino e dei comuni amici dolla Corte Urbinate. Fra le molte cose, il letterato veneziano, che allora ora ospito di Ottaviano Frogoso, « apud Sanctum Paulum ex Tyberi», scriveva: Lo illustriss. Signor • Duca nostro e Mad. Duchessa e tutta la « Corte vennero qui questo Carnassale. Furono benissimo veduti da N. S. e da a tutta Roma, e cosí festeggiati e visitati « ed onorati grandemente hanno fatto qui, o quelli di solazzevoli, e la Quadragesima e la Pasqua. Furono appresentati da N. S. e da alquanti di questi Reverendiss. Signori Cardinali: sei di sono che partirono allegri e sani per Urbino. La Duchessa « nuova (Eleonora) bellissima fanciulla, a riesce ogni di più delicata e gentile prudente, tanto che supera gli anni suol. La patrona primiera nostra, e Madonna Emilia stanno bene all'usato. E tutti gli « altri gentiluomini nello stato loro solito...» (Lettere, III, II, 14).

Pio Emilia. Questa gentildonna ci ap. parisce degna e inseparabile compagna della Duchessa Elisabotta anche nol Tirsi dol Castigliono (st. 35) e nolle Stanze del Bembo, ed è, dopo la sua signora, la figura femminile più notevole della Corte Urbinate. Fu figlia di Marco Pio de' Signori di Carpi, sorella di Giborto Pio Signore di Carpi o di quella Margherita che fu amata dal Trissino e andò moglie ad un Sansoverino. Rimasta, in giovane otà, nel 1500, vodova di Antonio Conte di Montefeltro, fratello naturalo del duca Guidobaldo, ossa continuò a soggiornare in Urbino. Quando vi mori (nel 1528, non nol 1530 como affermarono il Sorassi, il Dennistoun ed altri), fu coniato, dogno tributo alla memoria di tanta grazia virtuosa e gentile, un medaglione che da una parte ha il ritratto di loi, in busto, e dall'altra, sopra un'urna sostenuta da una piramide, il motto « Castis cinoribus ». Come apparisco da alcuni documonti del tempo, sarobbo morta, da vera gentildonna del scettico Rinascimento, senza alcun sacramento di la Chiesa, disputando una parte del Cortegiano col conte Ludovico (da Canossa) ». Vedasi la curiosa notizia nell'articolo di V. Rossi, Appunti per la storia della musica alla Corte d'Urbino nolla Rassegna Emiliana. A. I, fasc. VIII, p. 456, n. 1. e cfr. LuzioRenier, Mantova e Urbino pp. 282-3. Ebbe intima amicizia col Bembo, che, fino dal 1503, tenne corrispondenza epistolare abbastanza frequente con loi, e che nel de Urbini Ducibus obbo a ricordarla come magni animi, multi consilii foemina, summaeque tum prudentiae, tum pictatis ».

Pio Lodovico. Dalla nobile famiglia dei Signori di Carpi, fu figlio di Leonello, fratello della celebre Alda, andata moglie a Gianfrancesco da Gambara, e di Margherita Sanseverino, tutte gentildonne cólte e géniali, che troviamo in relazione coi migliori letterati del tempo, coi più illustri rappresentanti della Corte Urbinate. Ebbo in moglio la bellissima Graziosa Maggi di Milano, che vive immortale nelle telo del Francia o negli scritti del Bembo, del Bandello, del Trissino e di altri. Fu valoroso capitano al servigio di varî principi, degli Aragonesi, di Lodovico il Moro, di papa Giulio II.

Pietro da Napoli. Le ricerche fatte intorno a questo personaggio non diedero alcun risultato e difficilmente permettono di arri. schiare per ora una ragionevole congettura per identificarlo con qualcuno dei letterati od artisti o cavalieri napoletani più noti. Che esso, come propone il Rig., sia il Summonto, è un' idea come un' altra, anzi più fantastica forse di molte altre.

Roberto da Bari. Come apparisce da una

sua lettera inedita, era dolla famiglia Mas. simo, e probabilmente, secondo la giusta osservazione del Serassi, è quello stesso di cui il C. nel Tirsi aveva cantato (st. 44): « Stassi tra questi ancora un giovinetto Pastor, che a dir di lui pietate prendo; Cosi fu grave il duol, grave il dispetto, Cho già gli fece Amor, siccome intendo; Ch'egli ne porta ancor piagato il petto. E mille fiate il di si duol dicendo: Io son forzato, Amor, a dire or cose A te di poco onore, a me noiose. Con espressioni di viva amicizia il nostro A. cosi scriveva alla madre sua, dal Campo contro i Veneziani, il 15 gennaio del 1510: M. Roberto da Bari, gen« tiluomo del Sig. Duca nostro si è ammalato e delibera venir a Mantova. E perch'io lo amo come fratello, gli ho profferto che venga in casa mia, e credo che lo accetterà. Progo la M. V. che voglia fargli carozzo, e tutto quell'onoro che si può... ». (Lett. famil., p. 52). Ma nolla primavora soguonto dovova ossoro boll' o guarito, so, com'è assai probabile, si riferisce a lui questo passo della lettera citata dal Bembo al Pallavicino, del 15 aprile 1510, dovo si danno notizie dei gentiluomini della Corte Urbinato: « M. Roberto ha avuto questi di «una Abbazia por un suo fratollo a Sa

lorno, che vale ducati 1500 ». In una poesia maccheronica di fra Serafino, che è citata più innanzi, esso è detto Joannes Andreas Rubertus. Si veda l' Indice al cit. volume di Studi e documenti.

Rovere, Francesco Maria dalla. Nato nel 1490 da Giovanna, sorella di Guidobaldo e da Giovanni della Rovoro, aveva passato la prima giovinezza alla Corte di Francia, dove ebbe compagno di studî Gastone di Foix. Con un breve del marzo 1502 Giulio II faceva conferire la carica di Profetto di Roma al nipote, che nel 1504, per eccitamento di lui, venne adottato da Guidobaldo, cui succedette quattro anni dopo. Nel mar. zo 1505 ora stato unito in matrimonio - ma llora per procura soltanto con Eleonora Gonzaga, la figlia gentile del Marchese Francesco o della March. Isabella d'Esto; o le nozze si colebrarono nol dicombro del 1509. L'anno 1516 fu indegnamente spogliato della Signoria da Leone X cho gli sostituiva il proprio nipoto Lorenzo de' Modici. Alla morte del papa modicoo ricuperó lo stato, e mori il 20 ottobro dol 1538. Intorno a lui son da vedere, oltre il Baldi o il Leoni (Vita di Francesco Maria della Rovere, Venezia, Ciotti, 1605), il Dennistoun, l'Ugolini (Op. cit.), il Luzio e Renier in Mantova e Urbino.

Serafino, fra. Non è dato affermare sicuramente dove e quando nascesse questo frate buffone, che in vita ebbe l'invidiabile fortuna di assistere ai geniali ritrovi della

Corte Urbinate. È probabile tuttavia che

fosse di Mantova o del territorio mantovano, anche perché lo vediamo in assai strette relazioni coi Gonzaga, alla cui Corte dovette vivere il più del suo tempo. Il piú antico documento che di lui si conosca è una lettera del marzo 1499, con cui il Mar. chese Francesco ordinava a fra Serafino di preparare una festa carnevalesca pel ritorno della Marchesa Isabella da Ferrara, insieme col fratello Alfonso d'Este. Sap. piamo, da un' altra lettera del Marchoso (8 marzo 1499), che non avendo potuto Sorafino recarsi a Mantova, il viaggio d'Isabella e d'Alfonso fu ritardato. (Vedasi L. G. Pélissier, La politique du Marquis de Mantoue pendant la lutte de Louis XII et de Ludovic Sforza, 1498-1500, Extr. des Annales de la Faculté des Lettres de Bordeaux, Le Puy. 1892, p. 52 e n. 5). Il 19 giugno 1502 Serafino stesso scriveva da Brescia al Cavaliere Enea Furlano Gonzaga, una lettera nella quale lo diceva suo pa. trone; e nella quale ci compariscono, fra le altre, le gentili figure di Margherita Pia, sorolla dell' Emilia, e dolla bellissima Graziosa Maggi, che andò sposa a Lodovico Pio e della famosa Cecilia Gallerana de' Bergamini. Da questa lettera si apprende che fra Serafino aveva un fratello di nome Sebastiano, ma né da essa, né da altri documenti si riesce a conoscerne il casato. Sappiamo invece che, seguendo le consuetudini dei suoi pari, anch'egli condusse una vita randagia e fortunosa. Né i suoi viaggi si limitavano alla Lombardia. Dopo Mantova, pare che Urbino fosse il suo soggiorno più lungo e gradito; e anche tra i divertimenti di quella Corte egli non si dimenticava dei suoi Signori di Mantova, specialmonto della Marchosa Isabella, alla qualo egli scrivova o da cui riceveva per mezzo del Conte Lodovico Canossa risposte scritte tanto delectevoli, che quasi ne impazziva per la gioia. E a lei appunto fra Sorafino, reduce da Roma, indirizzava da Gubbio, il 23 agosto del 1505, una lunga lettera in versi maccheronici, documento prezioso porché ci parla della Corte Urbinato o ci ricorda molti doi porsonaggi che ci appariscono nel dialoghi del Cortegiano, e cioè, oltre la Duchessa Elisabetta e Madonna Pia, l'Unico Aretino, venuto allora da Roma e che ogni giorno andava recitando capitoli e sonetti, Giovanni Gonzaga e Lodovico Pio da Carpi, i due Fregoso, il nostro Bal dassar Castiglione, il Calmeta, Cesare Gonzaga, Roberto da Bari e Girolamo Gallo. Il C. lo ricorda anche in una lettera inedita che l'8 d' ottobre 1504 egli inviava da Urbino alla madre sua appunto per mezzo di

fra Serafino che recavasi nel Mantovano. Ma non sempre le cose andarono bene pel frate buffone, ché nell'aprile del 1507, essendosi recato di nuovo a Roma col séguito della Duchessa d'Urbino, rimase sconcia. mente ferito al capo e alla mano destra, non si sa per opera di chi, ma pare in pena della maldicenza da lui mostrata contro il papa e la Corte romana. D'allora in poi non abbiamo notizia di lui. Si veda il mio articolo su Fra Serafino buffone nell'Arch. stor. lombardo, S. II, A. xvi, 1891, pp. 406-14 o Luzio-Renior, Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga ai tempi d'Isabella d'Este, ostr. dalla N. Antologia, vol. XXXIVXXXV, S. III, 1891, pp. 38-39.

Terpandro. Si chiamava Anton Maria, era probabilmente romano, e fu uno dei più gioviali e graditi compagnoni nelle sue visite alla Corte d'Urbino. Godeva sovrattutto la più cordiale amicizia del Bembo e del Bibbiena, e il suo nome ricorre frequente nelle lettere che il primo scriveva da Urbino all'altro, mentre questi trovavasi in Roma o aveva soco, a quanto paro, il Terpandro (1507-1508). In una lettera d'Urbino dolla fine d'agosto 1507, il Bebo scriveva a Giulio Tomarozzo: «Terpander ab hilari. « tato sua non discedit, nisi quod in Pea trarchae poemata mirabiliter incubuit. Qua in re praeter quod saepe me con. « sulit, etiam adjutore utitur Cola meo, sic a tamen, ut illi jam prope non concedat... Hetrusce posthac et loqui et scribere coa gitat », e si promette di riuscire in breve magnum se poetam illorum lingua » (Epist. famil. IV, 20). Si vode dunque che il Bembo e il suo segretario ed amico indivisibile, il siciliano Cola Bruno, facevano propa. ganda di potrarchismo o di lingua volgare e trovavano un ardonto nootita nol Torpandro. In an epistolario del Cinquecento troviamo una lettera notevole da lui indirizzata da Urbino (8 sett. 1507) a M. Latin Giovenale, visitatore anch'egli della Corte Urbinate. In essa il Terpandro si con. gratulava con l'amico del canonicato lateranenso ottenuto, e con reminiscenzo petrarchoscho esclamava: «O folico voi, che seto vonuto al disogno vostro, cosa che a rari il ciel largo destina» (De le lettere facete et piacevoli di diversi ecc., In Venetia, Zaltieri, 1561, pp. 176-9). Infine in una lettera che il 3 febbr. 1516 M. Giov. Franc. Valerio scriveva da Roma al Giovenale che probabilmente si trovava in Firenze col Bibbiona, l'arguto veneziano progava l'amico di ricordarlo a M. Anton Maria Terpandro avvertendolo, a nome di lui, che suo padre era ormai migliorato (ib. p. 246). Unico Aretino. V. Accolti Bernardo.

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C.
Cas.

Castiglione.

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Casini (Pel saggio commentato del Cortegiano, contenuto nel vol. I, Appendice, del Manuale di letterat. ital., Firenze, (Sansoni, 1889). Cod. laurenz. - Il Codice Ashburnhamiano 409 della Biblioteca Lauren- · ziana di Firenze, del quale è cenno nella Prefazione e che contiene il Cortegiano con correzioni originali dell'A. e di altri.

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Rigutini (I Cortegiano riveduto castigato e annotato per le scuole, Firenze, Barbèra, 1889).

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