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Dunche prestate a me la voce, o cieli,
Sicchè le sue belleze a voi non celi..
Or chi fusse venuto per udire

Alla distesa sue beltà cantare

Può dar la volta indreto e puossene ire,
Chè Apollo nè Orfeo nol potrà fare.

E guai altrui lo dovean sopportare.
La vita degli amanti aspra e pietosa
È quando ogni animal dormendo posa.
El giorno i' penso qual sarà quell'anno

Che Amor collo istrale ultimo il cor tocchi.

E allor le mie pene fine aranno

Che il mar si secchi o nell' alpe trabocchi.

Tu porti in man due saette che vanno
Nel cor a chi risguarda e' tua begli occhi
Lucenti più che non in cielo stella,
Nè so se tu ti sai quanto se' bella.
Bella se' tanto che l'Italia grida:
Lieta famosa e glorïosa terra
Una sì bella donna drento annida,
Ove tante bellezze il mio cor serra.

V. 33. Or dovean, le st. so, le st.

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è delle st.

v. 38 le - v. 41. Il giorno penv. 43. E allora, le st. v. 44. Gli edd. fior. del 1814 e del 22 leggevano col cod. Che il mar si secchi nell' alpe tra' boschi: di che la Critica in quella farsa filologica del Monti intitolata I poeti dei primi secoli della lingua italiana (Proposta, vol. III, p. 11) gridava Poffar Dio! rimar boschi con tocchi e con occhi, e non saper leggere Che il mar si secchi o nell' Alpe trabocchi, per indicare che le tue (la Critica parla al Poliziano) pene amorose non avranno mai termine coll'ipotesi di due cose impossibili, il seccarsi del mare e il suo traboc

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» La

carsi sulla cima delle Alpi ! correzione del Mónti passò nel testo dell' ediz. milanese 1825: e anche noi l'abbiamo accettata ; non già per amor della rima; che non sarebbe questa la prima assonanza di cui si fosse giovato il Poliziano.

v. 46. i tuoi begli, le st. 2. 49-52. Quel grida intendo, risuona della fama di tua bellezza: eil v. 50 lo prendo non per un aggiunto d'Italia, ma sì per og getto d'una seconda proposizione, intendendo terra per città. Così un senso da questi quattro versi si cavas ma nulla venivano a dire punteg giati com' erano nelle st. Bella se' tanto che l'Italia grida (Lietď

Matt'è colui che in sua forza si fida
Guardar negli occhi tuoi sanza aver guerra;
Chè hai uno stral di foco, e sanza altr' armi
Andar faresti gli uomini di marmi.
Lo marmo bianco è gelido a scaldarsi.
Armata contro Amor col pronto iscudo,
E' raggi del tuo viso bene isparsi
Furon di foco, e ritrovârmi ignudo;
E la tua esca si m'ha arso, ed arsi:
Pietà non ebbe il vostro animo crudo.
S'io potrò dir vostre belleze in brieve,
Il dirò, donna, le son sol di neve;
Dove è mischiato con perle e rubini
Il tuo bel viso d' immortal figura :
Le bionde trecce e' dorati confini

Di sopra istanno, come fè natura.

E Febo quando isparse e' sua be' crini,
Pungono i raggi suoi contro a misura.
Chi ode tue bellezze o può vederle,
Vede insieme rubin neve oro perle.

La bocca è di rubin, e perle e' denti;

E'l viso è neve, e le trecce son d'oro;
Gli occhi duo stelle per modo lucenti
Che perde il sole al paragon di loro.
Dunche natura e 'l cielo e gli elementi
Mostroro quanta forza ebbono in loro
A formar cosa sopra all' altre belle.
Tu pari il sole in mezzo delle stelle.

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le altre st. e il cod. hanno face-
sli. - v. 60. a ritrovarmi: le st.
- v. 61. la è delle st.
Dirò, donna, le son sole, le st.
v. 69. quando sparge, le st.
v. 72. e perle, le st. - v. 78. mo-
straro, le st.

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RISPETTI SPICCIOLATI

DI

MESSER ANGELO POLIZIANO.

PAN ED ECO.

I.

Amo.

Che fai tu, Eco, mentr' io ti chiamo?
Ami tu dua o pur un solo? — Un solo.
Et io te sola e non altri amo Altri amo.
Dunque non ami tu un solo? - Un solo.
Questo è un dirmi: Io non t'amo
Quel che tu ami amil tu solo?
Chi t'ha levata dal mio amore?
Che fa quello a chi porti amore?

È nei codd. rice, 2723 e 771 e nel laurenz. 44 (pl. 40) tra i Rispetti spicciolati. È pure in tutte le antiche stampe delle Stanze e dell' Orfeo, posto immediatamente dopo quest' ultimo, ma con la rubrica Stanza ingeniosissima del prefato autore fuor di materia. L' intitolazione noi l'abbiamo accettata dalla rarissima edizione di Bergamo procurata dal Serassi. V. 1. Alcune delle vecchie stampe, le cominiane, gli edd. fior. del 14 leggono: Che fai tu, Eco, mentre ch' io ti chiamo? Amo: che fa crescere il verso d'una sillaba. I codici ricc. ed alcune stampe leggono qui come nelle Stanze Ecco in vece di Eco. v. 2. duo, ricc. 771, alcune delle vecch. st., Com., Silvestri : due, cdd. fior. 1814. v. 3. El io

Io non t'amo.

Solo..

- Amore.

Ah more!

te sol, alcune delle vecch. stampe:
E io te solo, Comin. e Silvestri :
Ed io te solo, editori fiorentini,
1814.
v. 7. l'ha levato, riccar-
diano 771 e le stampe. Imitò il
Poliziano questo ingegnoso compo-
nimento da un esempio antico di
Gaurada poeta greco, ch' ei cita nel
cap. XXII della prima centuria Mi-
scellaneorum. Dove anche definisce
gli echi« versiculi quidam sic
facti, ut in extremis responsitatio-
nes ex persona ponantur Echûs,
sententiam explentes et morem tuen-
tes illius ultima regerendi.» Ed ag-
giunge Quales etiam vernaculos
ipsi quospiam fecimus, qui nunc a
musicis celebrantur Henrici modula-
minibus commendati, quosque etiam
abhinc annos ferme decem Petro

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