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Due soli componimenti ci venne fatto rinvenire, publicati a stampa, nel dialetto comasco, e questi pure di nessun conto, come appare nei seguenti Saggi.

Tutta la letteratura ticinese e verbanese consta dei mentovati lavori dell'Academia della Valle di Blenio, e dell'Abbazia dei facchini del Lago Maggiore.

Nel lodigiano fùrono bensì composte nei tempi addietro alquante poesie; ma queste pure d'occasione e di lieve pregio; sicchè, non trovando chi le raccogliesse, smarrirono coi nomi dei loro autori. Il solo componimento degno di ricordanza è una commedia del conte Francesco De Lemene, intitolata: La Sposa Franzesca, publicata in Lodi nel 1709, encomiata dal Barretti nella Frusta letteraria, e ristampata nel 1818. Lo stesso De Lemene tradusse in dialetto lodigiano il secondo canto della Gerusalemme Liberata, ossia l'episodio di Olindo e Sofronia, versione assai pregèvole, e tuttavia rimasta inèdita sinora nei patrii archivj; e perciò, essendoci pervenuto alle mani l'originale autògrafo, ne abbiamo arricchita la seguente raccolta di Saggi. Ivi si scorge quanta influenza abbia avuto negli ùltimi tempi il dialetto di Milano su quello di Lodi, in origine diverso da quello che ora vi si parla.

Sul principio del nostro secolo, ed ancora ai nostri giorni, parecchie poesie volanti circolàrono pure manoscritte, fra le quali ottennero plauso in patria le argute e brillanti del chirurgo Giovanni Batista Fugazza e di Carlo Codazzi; altre ne compose non meno pregèvoli il vivente Riboni; ma sì le une, che le altre caddero in parte in oblio, per mancanza di ricoglitori. Appunto affine di provvedere a questo vuoto, ne abbiamo scelto un picciol número fra le migliori procurateci dalla gentilezza del professore Cèsare Vignati e dalla compiacenza dello stesso Riboni, e ne abbiamo fregiata la nostra raccolta, ove compȧjono per la prima volta in luce.

Letteratura dei dialetti orientali.

Come tra gli occidentali il Milanese, così fra gli orientali il solo dialetto Bergamasco ebbe copiosa serie di cultori, mentre il Cremasco, il Bresciano ed il Cremonese rimasero sempre ne

gletti. Dai numerosi monumenti supèrstiti appare, come il Bergamasco fosse scritto fra i primi, giacchè i più antichi scrittori di comedie italiane, come accennammo, lo introdussero assai di buon'ora sulla scena, a rèndere piacèvoli i loro drammi. Questi primi Saggi però, comecchè in numero ragguardèvole (1), mèritano appena d'èssere mentovati, mentre i loro autori, quasi sempre stranieri, mal conoscendo questo dialetto, impastarono un gergo misto di voci e forme proprie d'altri dialetti, che non fu mai parlato in verun angolo della terra. I veri scrittori bergamaschi, a quanto appare, incominciarono a far uso del loro dialetto solo verso la metà del secolo XVI, e preferirono sempre il dialetto rústico delle vallate settentrionali a quello della città. In quel tempo comparvero molte poesie volanti, le quali, non trovando ricoglitori, andàrono per la maggior parte smarrite, senza che perciò la gloria di quella letteratura avesse a soffrirne. Per modo che i soli componimenti di lunga lena rimàstici, sono traduzioni di clàssici poemi latini ed italiani di tempi posteriori.

Il monaco Cassinese Colombano Brescianini, verso il 1630, tradusse in rustico bergamasco le Metamorfosi d'Ovidio, sotto il mentito nome di Baricòcol dotor de Val-Brembana; questa versione non vide mai la luce, e solo un breve Saggio ne inserì l'autore nel suo Ragionamento sopra la poesia giocosa, ove si celò col nome di Acadèmico Aldeano. Il dottor Carlo Assònica, autore di varie liriche poesie, voltò pure in rùstico bergamasco il Goffredo del Tasso, che vide per la prima volta la luce nel 1670. Verso lo stesso tempo, anònimo autore, sotto il nome simulato di Persià Melò, travesti alla rustica il Pastor fido del Guarini, intitolàndolo: Ol Fachi Fedèl, ovvèr ol Pastor a la bergamasca, encomiato da Lione Allacci nella sua Drammaturgia. Altro anònimo autore, sopranominato El Gob de Venessia, tradusse l'Orlando Furioso dell'Ariosto, nello stesso dialetto, sebbene corrotto alquanto di provincialismi vèneti e lombardi. Tutti questi monumenti dell'antica letteratura bergamasca sono ben lungi dall' emulare in forza d'espressione, vivacità d'imagini, spontaneità e grazia, tante versioni di simil fatta, eseguite in altri dialetti italiani.

(1) Vèggasi nel Capo VI la Bibliografia di questo dialetto.

Oltre ai summentovati, si distinsero ancora nello scorso secolo, con produzioni originali, altri scrittori benemèriti, fra i quali basterà ricordare Giovanni Batista Angelini, e l'abate Giuseppe Rota. Il primo, oltre a varie poesie, riunì ancora alcune notizie intorno alla letteratura vernácola della sua patria, e compilò un vocabolario bergamasco-italiano-latino, che non vide mai la luce, sebbene un buon vocabolario di quest' importante dialetto sia a desiderarsi sopra ogni altra cosa, se non come intèrprete de'suoi letterarii monumenti, almeno come fondamento ad un più sólido studio sulla sua origine e sui rapporti che serba cogli idiomi antichi e moderni. Il secondo publicò nel 1772 un lungo Capitolo contro gli Spiriti forti, in terza rima, preceduto da un sonetto colla coda, in luogo d' Introduzione, e vi si scorge per la prima volta un piano ragionato d'ortografia, inteso ad agevolare la lettura di quel rùvido dialetto.

In tale stato era la poesia bergamasca alla fine del secolo passato, e nei primi anni del presente, affatto priva di qualsiasi rimarchevole produzione originale; e solo negli ultimi tempi fu ristaurata per cura di Pietro Ruggeri da Stabello, autore di alquante graziose e lèpide poesie, testè raccolte e publicate. Sebbene questo valente poeta miri piuttosto a trastullare i suoi concittadini con ridicole novelle e lèpide imitazioni, anzichè a descriverne ed emendarne i costumi, con originali e sodi concetti, ciò nulladimeno i suoi componimenti ottennero plauso generale pei molti sali e poètici fiori che vi sono profusi, ed òccupano a buon diritto il primo posto nella patria letteratura.

Da tutto ciò è manifesto, che la poesia bergamasca manca, non solo di canti tradizionali, ma altresì di originali inspirazioni e di nazionali impronte; mentre consiste generalmente in versioni dei clàssici, e in lèpide imitazioni di racconti e componimenti propri di letterature straniere.

Il dialetto Cremasco non ebbe in verun tempo cultori che miràssero ad ingentilirlo coi nùmeri poètici, se si eccèttuino pochi versi d'occasione in gran parte caduti in oblìo, perchè privi di mèrito e di ricoglitori. I più antichi monumenti da noi conosciuti sono: una poesia fatta per monacazione nel principio dello scorso secolo, che abbiamo riprodotto più avanti, ed una

lunga e stucchèvole ègloga sulla Immacolata Concezione, inserita nei Fasti istòrici di Crema di Gio. Batista Cogrossi. Qualche altra produzione di minor conto sèrbasi manoscritta in private raccolte. Negli ultimi tempi il numero delle poesie d'occasione fu accresciuto, per òpera di alcuni viventi scrittori cremaschi; e questi tenui Saggi con altri del sècolo passato fùrono salvati dall'oblio, per cura del conte Faustino Sanseverino, che testè li raccolse e publicò in un picciol volume intitolato: Saggio di poesie in dialetto Cremasco. Ivi, oltre alla versione di due Anacreontiche del Vittorelli fatta dal prof. Rocco Racchetti, ed a varie poesie nel dialetto urbano dell'abate F. Màsperi Battajni, distinguonsi due sonetti in lingua rústica di D. Giàcomo Inzól, di qualche pregio.

Il dialetto Bresciano non fu men negletto del Cremasco: la sola produzione antica rimàstaci è un Diàlogo in versi tra una serva e la sua padrona, intitolato: La Massera da bè, ossia la Serva dabbene, d' anònimo autore, nel quale una serva insegna i varii modi d'apprestare e condire le vivande. È poi seguito da una canzone villereccia, intitolata: Mattinata, che più oltre riproduciamo in Saggio dell'antico dialetto rústico bresciano. Questo libriccino, oggi rarissimo, comecchè ristampato tre volte, vale a dire nel 1884 e nel 1620 in Brescia, ed in Venezia nel 1868, fu trovato nel palazzo Martinengo della Palada in Cobiato, da Messer Galeazzo dagli Orzi al tempo del saccheggiamento di Brescia.

In onta all'assoluto difetto di letterarie produzioni, il canònico bresciano Gagliardi volle illustrare il patrio dialetto con una lunga Dissertazione sulle origini del medesimo, inserita nelle sue opere, ove, seguendo l'uso ed i pregiudizj del suo tempo, intese a dimostrarne la derivazione dal Greco, porgèndo la verisimile etimologia di poche voci. Più tardi provvide alla compilazione d'un vocabolario bresciano-italiano, che vide la luce nell' anno 1789. All' imperfezione di questo primo tentativo apprestò qualche rimedio Giovanni Batista Melchiorri, compilàndone uno più esteso, che vide la luce nell'anno 1817 in Brescia, sotto gli auspicj di quel benemèrito Ateneo.

In quel tempo due forti ingegni, il Mascheroni e l'Arici, ch'ebbero tanta parte nella ristaurazione delle lettere itȧliche, non

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isdegnarono rivolgere le loro cure al patrio dialetto, nel quale dettarono alcune poesie volanti rimaste sinora inèdite. Alla gentilezza dello stesso Arici siamo debitori delle poche sestine inserite nella seguente raccolta, nelle quali con miràbile spontaneità racchiuse la versione letterale della Parábola del figliuol pròdigo. Nessuno però di quei poètici capricci venne, per quanto ci consta, in luce, e solo nel 1826 l'avvocato Pietro Lottieri di Chiari publicó una raccolta di quarantaquattro sonetti, traendo gli argomenti dal Quaresimale del P. Sègneri.

Ancor più inculto del precedente rimase sinora il dialetto Cremonese, nel quale nessuna produzione vide mai la luce, se si eccettui qualche insipida Bosinada, o poesia d'occasione. Solo dopo molte inútili ricerche, e mercè la gentilezza dei signori arciprete Paolo Lombardini e dottor Rabolotti di Cremona, ci riuscì riunire una piccola collezione manoscritta di poesie vernàcole cremonesi, che abbiamo alle mani e della quale produrremo qualche Saggio. Tra queste ricorderemo un dramma in cinque atti, intitolato Tommasino e Martina, ed alcuni diàloghi in versi, nei quali col dialetto urbano trovasi alternato anche il rústico. Tutti questi componimenti peraltro sono affatto privi di mèrito, e per lo più ancora di buon senso.

In si misero stato di cose, ci gode l'ànimo d'annunciare, che il professore Peri di Cremona sta ora compilando un vocabolario di quel dialetto, che verrà quanto prima alla luce, e del quale il chiaro autore ci comunicò gentilmente la parte estrattiva contenente voci di più oscura derivazione. Sarebbe però a desiderarsi, che il benemèrito autore avesse ad estèndere il suo lavoro eziandio nella campagna, la quale porgerebbe senza dubio più interessanti materiali.

Conchiudendo questi brevi cenni, avvertiremo, come tutta la letteratura dei dialetti lombardi ristringasi a più o meno copiose collezioni di poesie per lo più imitative di scrittori educati alla scuola dei clàssici, ed a pochi vocabolarii di alcuni principali dialetti urbani. Nessun tentativo venne sinora intrapreso, onde svòlgerne la grammaticale struttura, o scoprirne i mutui rapporti con adequati confronti fra loro, c cogli altri dialetti itàlici e stranieri, o colle lingue estinte, se si eccèttuino i pochi cenni,

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