Immagini della pagina
PDF
ePub

dirai, così parla il poeta al lettore, che l' elocuzione non è puramente bolognese, perchè talora per ispiegare una cosa, mi servirò d'un tèrmine, ora d'un altro; che il parlar bolognese è un solo, e che deve ancora esser sola la parola e la maniera che deve spiegarlo. In questo ti voglio avvisato, che il parlar bolognese è un parlar misto, e che varia frase, pronuncia, accento, proverbj, al variarsi degli angoli della città; perchè chi àbita verso la via Romana detta Strà maggiore, pare che imiti il Romagnolo; chi alla porta di strada S. Stefano fino a quella di Saragozza, s'accosta al Firentino; chi alla porta di S. Felice sino a Galliera, mostra un non so chè di linguaggio lombardo; e da questa sino a porta Sanvitale assomigliasi un poco al Ferrarese; derivando ciò per lo commercio che hanno più vicino con i forestieri, che concorrono dai nominati paesi ; osservazioni, che, considerate come verissime, ti chiuderanno il passo a qualche errónea opposizione, che forse mal avvertito contro mi scagliaresti.

» In Bologna, per lo tràffico delle sete, evvi un tal parlare próprio dei filatoglieri, così stravolto, che chi non è ben pràtico di questo difficilmente l'intenderà. Fra queste ottave vi sono molte fòrmole che a lèggerle pȧjono scipite, ma a sentirle articolare sono assai piacevoli e gustose; però quando tu nel lèggerle non vi saprai aggiungere la própria pronuncia, non le intenderai. "

Oltre al citato poemetto, il Lotti pose in luce altri componimenti, fra i quali un' òpera divisa in sei dialoghi e ripiena d'ùtili ammaestramenti, cui diede il modesto titolo di: Rimedi pr la sonn da lèzr alla banzola. Rivaleggiò con lui nella spontaneità e grazia poètica i bolognese Geminiano Megnani, che col mentito nome di Zorz Burlinton prosegui sullo stesso argomento, e cantò in due separáti poemetti le vittorie dei Cristiani contro i Turchi dopo la liberazione di Vienna. Frattanto non mancarono altri poeti che coltivàrono con onore la lirica, mettendo in luce alquante poesie d' occasione, sebbene per la tenuità del formato e per la poca importanza degli argomenti, solo poche giungèssero fino a noi. Per tal modo la letteratura e

la poesia vernácola bolognese, come ebbe principio col secolo XVII, fu ancora nel corso del medèsimo solidamente stabilita ed innalzata al rango delle altre letterature vernàcole.

Aperta ed agevolata la strada, s' accrebbe a dismisura nel sècolo seguente il numero dei verseggiatori, e poichè non s'ebbe più a temere quel ridicoloso effetto del parlar bolognese, che vietò al Negri la versione del Tasso, anche le imitazioni dei clàssici poemi si succèssero rapidamente. Vi pose mano il benemèrito Giuseppe Maria Bovina, voltando in ottava rima bolognese il rinomato poemetto: Le Disgrazie di Bertoldino; ciò che invogliò le distinte sorelle Zanotti e le non men benemèrite Manfredi a tradurre dall' originale creduto di Pompeo Vizzani, in ottava rima bolognese, i tre poemetti intitolati: Le Disgrazie di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Nè quivi s'arrestarono le instancabili Manfredi, che fra gli studj più gravi delle clàssiche lèttere nelle quali còlsero tanti e sì svariati allòri, non isdegnàrono di scendere sovente a conversare famigliarmente colle infime classi, voltando con singolar grazia e maestria nella loro prosa domèstica il lèpido libro scritto in dialetto napoletano, col titolo Cunto de li Cunti. Gli è questo una raccolta di novelle destinate ad ingannare la noja delle lunghe serate invernali, cui perciò appunto le Manfredi intitolàrono: La Ciaclira dla banzola, ossia: Fol divèrs tradotti dal parlàr napolitàn in lèingua bulgnèisa, pr rimedi innuzéint dla sonn e dla malincuni. Alle medèsime sorelle Maddalena e Teresa Manfredi suolsi attribuire comunemente la graziosa e popolarissima Canzone per abbrucciare la Vecchia a mezza Quarèsima, nella quale con miràbile semplicità viene svolta l'origine di quella bàrbara usanza, e di cui tutti gli anni si rinnovano e distribuiscono fra il popolo parecchie edizioni (1).

Mentre queste benemèrite cittadine assecondate da parecchi letterati bolognesi cercarono avviare il popolo alla lettura ed all'istruzione con gioviali racconti nella lingua nativa, altri s' ado

(1) Vèggasi nel Capo seguente, ove fra í Saggi di questa letteratura abbiamo riportato la suddetta Canzone.

perarono a voltar nella stessa graziosi poemetti clàssici italiani, quali sono: La Secchia rapita del Tassoni, e l'Asinata di Clemente Bondi. Il primo venne in luce nell'anno 1767, per òpera d'anònimo autore, col titolo: Al triónf di Mudnis pr una seccia tolta ai Bulgnis, ed è veramente un capo-lavoro di traduzione vernácola, per la fedeltà colla quale seppe serbare lo spirito faceto ed arguto dell' originale. It secondo è òpera del cèlebre Annibale Bartoluzzi, le cui svariate poesie liriche formano sempre le delizie de' suoi concittadini. Anche il Canónico Longhi tradusse con singolare grazia e maestria le fåvole non meno istruttive del La Fontaine; per modo che la letteratura bolognese venne a poco a poco appropriàndosi alquante gemme delle letterature italiana e straniera.

Non per questo venne meno lo slancio degli scrittori originali in prosa ed in verso, dei quali vanta gran cópia lo scorso secolo. Per tacere dei molti autori di Commedie, fra i quali emèrsero principalmente Pier-Jacopo Martello e Pietro Zanotti, accenneremo all' anònimo poemetto in ottava rima diviso in sei Canti, che apparve verso la metà del medèsimo sècolo col titolo: Véta dla Zè Sambuga nata in t'al envin de Diol, cun la nȧssita, véla, suzzess e dsgrazi d' Ze Rudella só fiòla. Dalla popolarità di cui godette per qualche tempo questo poemetto bernesco, pare che derivasse sin d'allora il costume di denominare Zè Rudelle certi componimenti lìrici d'occasione, per lo più in forma di Canzone anacreòntica, scherzosi, ma satirici, che equivalgono in molti rapporti alle Bosinade milanesi. Faremo ancora onorévole menzione del grazioso poemetto, pure in ottava rima e diviso in sette Canti, del conte Gregorio Casali, ove descrive con molta forza, con vivaci immagini e spontaneità di verso, le fazioni e le guerre civili dei Lambertazzi e dei Geremei, che lacerárono Bologna nei sècoli di mezzo. Questo poemetto, che ha per titolo: Bulogna travajë dal guerr zivil di Lambertàzz e di Geremi, occupa il primo volume della Raccolta di componimenti in dialetto bolognese, che doveva constare di dodici volumi, e dei quali soli sette videro sinora la luce. Tra i poeti lìrici poi, che meglio illustrarono la patria lingua, oltre ai sullodati Barto

luzzi e Canónico Longhi, non dobbiamo ulteriormente tacere i nomi assai cèlebri in patria di Giuseppe Pozzi, Giulio Monti, Gian-Batista Gnudi, Camillo Tartaglia, Claudio-Ermanno Ferrari, Angelo Longhi fratello del mentovato, ed altri molti, delle cui svariate produzioni a buon diritto si gloria la città regina un tempo degli studj.

E qui ci sembra opportuno avvertire, come parecchi fra i distinti scrittori vernàcoli, mossi da pura modestia o da proprie considerazioni a noi sconosciute, volendo celare il proprio nome, assumèssero talvolta il titolo immaginàrio di Accademico del Tritello, ciò che potrebbe indurre per avventura il lettore nell' errónea supposizione dell' esistenza d'una speciale Accadèmia intesa a promuovere ed ordinare gli studj relativi alla patria letteratura vernácola. Sebbene propriamente in origine una simile denominazione venisse adottata da molti quasi per ischerzo, onde contrapporla all' altra comunemente assunta dagli Accadèmici della Crusca, ciò nulladimeno un tentativo di simil fatta ebbe pur luogo nel principio del secolo presente, col nobile fine appunto di porre un freno alla crescente licenza degli scrittori vernácoli e dei loro tipografi, fissando un sistema ragionato d'ortografia, e compilando un vasto Vocabolario ed una Grammàtica del dialetto bolognese, a sicura scorta dei linguisti che amàssero rivòlgervi le loro speculazioni, non che ad agevolare agli stranieri la lettura dei componimenti bolognesi.

Ne sia lode allo zelo ed all' ingegno dei distinti scrittori viventi professor Lucchesini, Camillo Minarelli, Rafaello Buriani ed altri loro colleghi, che primi rivòlsero le loro cure a quest'utile instituzione, e pòsero mano al lungo e penoso lavoro. Se non che, mentre questi benemèriti cultori del patrio retaggio stavano incalzando con perseveranza i loro studj preparatorj, altro distinto filólogo, il chiaro Claudio Ermanno Ferrari, precorse in parte ai loro sforzi ed ai loro desiderj, pubblicando nel 1821 un Vocabolario Bolognese-Italiano, al quale diede ben presto più ampio sviluppo nella seconda edizione, che pose in luce nell'anno 1838. Frattanto il professore Giovanni Battista Fabri propose un Progetto d'ortografia bolognese, che ignoriamo se

venisse generalmente adottato. Questi lavori interruppero l' impresa dei giovani accadèmici, i quali ben lungi dal rallentare i loro studj per le opere novellamente apparse, avrebbero dovuto riguardare il Ferrari ed il Fabri come proprj collaboratori, e diriggere quindi i loro sforzi a riempire le lacune e rettificare le mende del Vocabolario del primo, ad esaminare e modificare, ove occorra, il progetto del secondo, ed a compilare con maggior agio e più copiosi materiali la Grammatica, la quale non cessa d'éssere oggetto di desidèrio per gli studiosi.

Chiuderemo questi ràpidi cenni, soggiugnendo due versi di riconoscenza ai generosi, che oltre ai mentovati, illustràrono coi loro studj e colle opere loro il secolo presente, coltivando la patria letteratura vernàcola, fra i quali noteremo D. Giuseppe Zampieri, Luigi Montalti, Carlo Frulli e Biagio Uccelli, e faremo voti, onde ridonata ben presto la calma al bel paese, possano tutti riuniti nell'Accadèmia del Tritello maturare e dar pieno compimento a quegli studj, ai quali nel corso di queste brevi pàgine cercammo apprestare condegna corona.

Per quanto abbiamo potuto rovistare negli archivj della Romagna e nelle raccolte di quei cultori delle cose patrie, non ci riuscì constatare, se alcuno di quegli svariati dialetti venisse nei secoli trascorsi sottoposto alla tortura del metro. Se si eccettui qualche scherzo poètico d'occasione, di cui taluno ricorda aver udito cenno, e che scomparve del tutto col nome del rispettivo autore, si può dire che i dialetti romagnoli fùrono per l'addietro interamente trascurati. Solo negli ùltimi tempi, dopo che quasi tutti i dialetti italici èbbero una letteratura più o meno copiosa, alcuni fra i romagnoli fùrono sollevati all'onore del metro, per òpera di scrittori distinti, i cui componimenti vernácoli ottennero meritamente gli universali suffragi. Tali dialetti sono propriamente: il Fusignanese ed il Forlivese. Il primo fu celebrato con molta grazia in una sèrie di canzoni vernácole dal chiaro Don Pietro Santoni, cui Vincenzo Monti soleva denominare l'Anacreonte di Fusignano. Il secondo fu illustrato solo ai di nostri dal benemèrito Giuseppe Acquisti, poeta fornito per eccellenza di poètici talenti, e dalla cui fàcile vena possiamo riprometterci

« IndietroContinua »