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Osservazioni. (a) Non permettendoci la natura del soggetto di

entrare in ragionamenti sulla improprietà delle denominazioni

usate dai Grammàtici per distinguere i varii modi e tempi nei verbi, e desiderando d'altronde d'èssere agevolmente intesi, abbiamo adottato le più comuni nei modelli di conjugazione da noi proposti; non possiamo peraltro tralasciar d'avvertire, che sono per lo più improprie od erronee, e facciamo voti, onde i filòlogi v'apprèstino finalmente d'accordo opportuno rimedio.

(b) Il gerundio, in forma di nome verbale, come portante, leggente e simili, non viene mai usato nei dialetti lombardi, se non per esprimere qualche grado, ufficio, professione o mestiere, come el tenént, l'ajütànt, el stüdént, el cavalànt; diversamente viene espresso colla frase: che tiene o che teneva, che studia o che studiava.

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(c) Il participio, come abbiamo altrove accennato, varia di forma in alcuni dialetti. Nel Lodigiano, oltre alle terminazioniâ, át, ha talvolta ancora di, it, üt, dicendo lassàt, fài, andài, sentìt, vedüt, ec. Nel Ticinese invece distinguonsi le desinenze do, òu, ô, èč, èič, come andão, basòu, ciamô, nèč, trovèič, per andato, baciato, chiamato, andalo, trovato. Per lo più si fanno anche femminili in tutti i dialetti colle terminazioni ada, ida, üda, come andada, sentida, tegnida, cegnüda, per andala, sentita, tenula, venuta. Si fanno anche plurali in alcuni dialetti, cangiando la terminazione; il Bergamasco muta il in è pel maschile, e vi aggiunge un e pel femminile, dicendo fač, andač, per fatti, andati; face, andace, per fatte, andate; ovvero, come altri dialetti orientali ed occidentali, tèrmina il femminile in ade, dicendo portade, malade, per portale, ammalate.

(d) Questo pleonasmo, costante nella seconda e terza persona singolare di tutti i tempi, e in ogni verbo, è comune a tutti i dialetti dell'alta Italia, ed è proprio eziandio dei dialetti armòrici e càmbrici, i quali, nella conjugazione detta dai Grammàtici impersonale, perchè distacca il pronome dalla radicale del verbo, ripetono il pronome in tutte le persone, dando al verbo una sola inflessione in tutto il tempo. All'incontro nella conjugazione detta personale suffiggono al verbo il secondo pronome, il quale, più o men modificato, vi tien luogo d'inflessione; e di ciò pure scòrgesi traccia manifesta nelle seconde persone dei verbi lombardi, terminanti per lo più, nel singolare, in t, e nel plurale in ved f, che equivalgono ai rispettivi pronomi ti o té, vü o vu. Simil

mente è proprietà esclusiva dei dialetti càmbrici l'uso d'interporre fra il pronome ed il verbo la particella eufònica a, ciò che non di rado si osserva in quasi tutti i dialetti lombardi, ai quali è comune la forma mé a vo, té a t' càntet, corrispondente all'armòrica mé a ia, té a gån, vale a dire, io vado, tu canti.

(e) È da notarsi la simiglianza dei pronomi bergamaschi nu e nóter, ou e vóter, ai francesi corrispondenti nous e nous-autres, cous e vous-autres. Nóter e vóter sono più frequentemente usati; che anzi voter e gli equivalenti vialter, vüjòlter e simili, si impiègano, in tutti i dialetti lombardi, esclusivamente nel número plurale, quando cioè si parla con più persone; mentre il vu o çü non si usa, se non parlando con una sola persona, come suole generalmente la lingua francese.

Questa forma, strana in apparenza, è propria ancora dei dialetti armòrici e càmbrici, i quali formano allo stesso modo la prima persona del singolare, dicendo, mé am, ovvero em, bòa, mé am boé, per io aveva, io ebbi; ove am, ovvero em, signìficano io, e formano il pleonasmo summentovato. Il Bergamasco impiega la particella am, quando il verbo incomincia per consonante, come appunto noter am porta, noi portiamo; quando .peraltro incomincia per vocale, sopprime la vocale a, dicendo nóter m'ia, noter m'ardèss, per noi avevamo, noi osiamo.

(g) Nei dialetti rùstici occidentali viene permutata la caratteristica ava in eva, eva in iva, àss in èss, èss in iss, in tutti gli imperfetti; dicendosi porteva, tegnica, andèss, voriss, per portava, tegneva, andàss, vorèss.

(h) Il Milanese urbano è forse il solo fra i dialetti lombardi che ha smarrita da qualche generazione la voce semplice del passato perfetto, alla quale sostituì il verbo ausiliare col participio. In tutti gli altri, comprèsovi il Milanese rústico, sussiste tutt'ora, sebbene venga adoperata solo in alcune persone, ed in determinate circostanze.

(i) Il verbo avere, in tutti i nostri dialetti, serba la forma sopra indicata, solo quando fa l'ufficio di ausiliare; ma quando è solo, e dinota possesso, assume in tutte le sue voci la particella affissa ghe o gh', dicendosi: mi gh’ó, ti té ghét, lü el gh'à, ec.; e corrisponde alla particella ci, adoperata collo stesso verbo e nello

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stesso modo, in alcuni dialetti toscani, come: io ci ho, tu ci hai, ec. Questo affisso, il quale, unito al possessivo, è puramente eufonico nei dialetti lombardi, del pari che nei toscani, equivale al pronome personale a lui, o a lei, o a loro, se è unito all' ausiliare; p. e., mi gh'ó ón caval, lü el gh'aveva óna cà, significano io ho un cavallo, egli aveva una casa ; e in quella vece, ti te gh'è fat, noter gh'èm déc, significano tu gli (o le) hai fatio, noi abbiamo detto a lui, o a lei, o a loro. Il participio di questo verbo assume pure varie forme nei varii dialetti; vale a dire, negli occidentali, avü, abü, biü, bü; e negli orientali avit, ait, vit, it. Il Bergamasco adopera il participio vit, quando è preceduto da consonante, e sopprime la v, se la lèttera precedente è vocale, come: Gh'al vit frèč? No gh'ò ìt gnè frèè, gnè còld; cioè: Ha avuto freddo? Non ho acuto nè freddo, nè caldo. Oppure: Quace sèèè gh'àl vit? Al ghe n'd it sic. Quanti figli ha avuto? Ne ha avuto cinque.

In onta alle precedenti osservazioni, appare manifesta dal sin qui detto la complessiva consonanza dei dialetti lombardi colla lingua italiana, nelle forme grammaticali; ma se poniamo a riscontro la rispettiva loro sintassi, e il modo vario di fraseggiare, questa consonanza dispare; dappoichè nei dialetti le leggi del, reggimento, la costruzione delle frasi ed il frequente concorso di tropi e di figure, divèrgono talmente dalla struttura lògica della lingua italiana, da formarne altrettante lingue differenti. Di qui appunto deriva la difficoltà che proviamo d'apprèndere e trattare convenevolmente l'italiana favella, perchè essenzialmente discorde nell'organismo concettuale da quella che parliamo; ed in ciò consiste la norma fondamentale che può èsserci scorta sicura a discoprire i rapporti e le origini di tanti linguaggi. Siccome per altro ad instituire una ragionata anàlisi di questa concettuale struttura di tante favelle diverse, richiederèbbonsi molte nozioni preliminari, estese ricerche e multiformi confronti che di troppo eccederebbero i limiti d'un semplice Saggio, così, a pòrgere sott' occhio la complessiva dissonanza concettuale tra i dialetti e la lingua scritta, abbiamo preferito apprestare la versione della Parábola del figliuol pródigo, in tutte queste favelle, onde lo studioso possa instituirne agevolmente da sè l'opportuno confronto.

CAPO II.

Versione della Parábola del figliuol pròdigo, tratta da s. Luca, cap. XV, nei principali dialetti lombardi.

Onde agevolare la lettura dei seguenti Saggi coll'ortografia per noi stabilita a rappresentare in iscritto nel modo più semplice tante dissonanti favelle, abbiamo creduto opportuno premettere un prospetto dei segni convenzionali ivi impiegati, col rispettivo loro valore, riassumendo così quanto abbiamo diffusamente esposto, a questo propósito, nell' Introduzione.

In generale l'ortografia da noi adottata si è la comune italiana, sulla cui norma devono esser letti tutti i Saggi vernàcoli prodotti nel corso di quest' òpera. I nuovi segni introdotti a rappresentare i suoni dagli italiani discordi, o pei quali la comune ortografia italiana non ha determinato segno rappresentativo, sono i seguenti:

Per le vocali.

ä equivale al suono misto e dei Latini in præter, rosæ; ed al dittongo ai dei Francesi, in plaire, niais; di que

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sto non porge verun esempio la lingua italiana. alla e aperta degli Italiani in bello, cappello, petto. alla e stretta in cielo, velo.

alla ö dei Tedeschi in hören, Töchter; ed ai dittonghi eu, œu dei francesi, in feu, voleur, mœurs,

cœur.

alla o aperta in porta, vòrtice, amò.

alla o stretta in volo, molto, popone.

alla ü dei Tedeschi in Hülfe, üben, fühlen; ed alla u dei Francesi in usage, têtu.

Per le consonanti.

al suono dolce della stessa lettera in cervo, cibo, Cicerone.

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