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fatto all'uomo dalla divina Providenza, quando gli infuse un'ànima pensante, e gli diede un apparato d'òrgani atti alla rappresentazione sensibile del pensiero; qualunque fosse però il linguaggio delle prime generazioni, esso fu ópera dell' uomo, il quale, obediente alle leggi della creazione, sviluppò questo suo naturale istinto per sodisfare agli incessanti bisogni ed enarrare la gloria del Creatore; e questo sviluppo, entro certi limiti di necessità, dev'essere stato istantaneo, come quello della farfalla, che, uscita appena dalla crisàlide, librasi sull'ali, e spiega ardita il volo per le fiorite campagne.

II.

Passando ora dall'astratto al concreto, ed applicando questi principj generali alla patria nostra favella, sarà manifesto, quanto male s'apponèssero coloro che pronunciarono sull'origine della medèsima prima di studiarne partitamente i dialetti, e paghi delle più ovvie sue simiglianze grammaticali e lessicali colla latina, la dissero derivata da questa, senza curarsi di rintracciare se elementi di natura diversa avèssero per avventura più o meno contribuito alla sua formazione. Raccogliendo le antiche tradizioni scorgiamo, che i Latini èrano la minima parte delle tante genti, che ai tempi di Romolo coltivavano la nostra penisola; e queste aveano senza dubio linguaggi proprj più o meno distinti da quello del Lazio. La successiva potenza di Roma diffuse a poco a poco quest'idioma su tutta la penisola colle leggi e col culto; Etrusci, [Tusci, Umbri, Equi, Volsci, Sabini, Marsi, Piceni, Sanniti, Liguri, Vèneti, Euganei, Carnii, Galli, Siculi, Aurunci,

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Osci, Ausoni, Campani, Lucani, Bruzii ed altri, buona parte de' quali parlàvano lingue disparate, vennero fusi coi secoli in una sola nazione, che si chiamò Romana, e scrisse un solo idioma comune, il Latino. Ma le lingue, come abbiamo veduto, non si dèttano ai popoli come le leggi; l'unità romana poteva bensì condurre tanti milioni d'uòmini ad assumere il latino come lingua scritta; non già costringerli a parlarla domesticamente. Il miscuglio di tante nazioni negli esèrciti, il público insegnamento e l'influenza della religione e del governo rèsero infatti generali le voci latine, sebbene con molte eccezioni; ma ogni provincia parlò latino a suo modo, cioè vesti di latine voci il proprio dialetto, poichè non era in suo potere dimenticarne interamente le forme, nè molto meno la nativa pronuncia.

Di qui appunto ebbe origine quella varietà di dialetti che distinguono tutt'ora le varie provincie d'Italia, e che, sebbene riguardati generalmente come varietà d'una sola lingua, racchiudono a vicenda elementi i più distinti e disparati. E siccome questi elementi in alcuni dialetti derivano ad evidenza dalle antiche lingue che precedettero la latina, così egli è certo, che la lingua parlata da ogni singola popolazione dovette èssere diversa in ogni tempo dalla lingua scritta. Questa differenza fu notata anche in Roma dagli stessi Romani, i quali appellàrono latina la lingua scritta, e romana rústica o plebea quella che parlàvasi nelle campagne e nei trivii. Onde pare più verisimile, che la pura lingua latina fosse patrimonio esclusivo degli scrittori, e, tutt'al più, venisse parlata dalle classi più istrutte, come appunto avviene oggidì di parecchie moderne lingue d'Europa.

Passati i bei tempi della república e dell'impero, e sottentrato il governo arbitrario, scomparve la cultura, e la distinzione delle stirpi s'affievoli. Roma, già in braccio di mercenarj stranieri, non ebbe più oratori eloquenti, o forbiti scrittori; gl'imperatori non fùrono più tratti dalle famiglie patrizie; ma l'esèrcito li elesse nell'esercito; e l'arbitrio militare, come indeboli la potenza dello Stato, distrusse ancora in gran parte la primitiva civiltà, onde la latina non fu più se non la lingua degli scrittori.

All' anarchia militare succèssero quei secoli di ferocia, che, distruggendo le reliquie della passata cultura, rèsero sempre più rari quelli che sapevano scrivere il latino corretto; per modo che, verso il mille, tutte le provincie si trovarono col solo linguaggio plebeo corrotto in parte dalle invasioni; ed appena alcuni notaj ed alcuni monaci studiavano grettamente il latino, qual depositario delle municipali e delle religiose istituzioni. Allora fu che, per provedere ai bisogni della vita socievole, ogni provincia ebbe a far uso del proprio dialetto, il quale, col nome generale di lingua romanza, venne poscia disciplinato nelle tenzoni e nelle serventesi dei Trovatori; ed appunto da questa favella romanza, anzichè direttamente dalla latina, derivarono le moderne lingue dell' Europa meridionale. Qui però fa mestieri premèttere che cosa intendiamo per lingua romanza. Fra i molti che ne scrissero, varii la considerarono come una lingua sola, usata indistintamente nell'Europa latina, dai tempi di Carlo Magno sino al termine delle Crociate; noi, diversamente, intendiamo la favella parlata nelle provincie romane prima e dopo la caduta dell'impero, che nei

secoli d'ignoranza successe, come lingua scritta, alla latina. Ma questa lingua, come avvertimmo, era parlata in più dialetti, non solo in Italia dai discendenti degli Etrusci, dei Vèneti, dei Galli, dei Liguri e di tant' altre stirpi disparate; ma eziandio nella penisola ibèrica dai nipoti dei Lusitani, dei Turdetani, dei Cantabri, dei Bastuli; in Francia dalle numerose tribù gaèliche e cambriche, e più tardi dai Franchi, dai Goti e dai Burgundi; e tutte queste varietà di dialetti, passando dall'una all'altra generazione, comparvero distinte nella lingua scritta delle varie provincie, come scòrgesi di leggeri se si confrontano le poesie dei Trovatori provenzali con quelle dei Trovieri della Francia settentrionale, o l'idioma dei Giullari catalani con quello dei poeti italiani di quell'età. Perciò abbiamo riputato necessario, nella nostra classificazione delle lingue d'Europa, raccogliere tanti dialetti in varii gruppi, distinguendoli coi nomi di romanzo itàlico, gàllico, ispànico, rètico e valacco. Forse perchè sentiva la necessità di questa distinzione, lo Speroni, parlando dei primi saggi degli scrittori d'Italia, chiamò la lor lingua romanzo italico; e Brunetto Latini, dicendo nel Tesoro, che preferiva la lingua franzesca all'italiana, non poteva alludere se non ai dialetti romanzi dei due paesi, dappoichè le due lingue italiana e francese non érano ancora ben determinate. Egli è vero bensì che, essendosi prima d'ogni altro sviluppati i dialetti occitànici, sotto gli auspicj delle corti di Barcellona e di Tolosa, molti poeti italiani e francesi li preferirono nei loro componimenti; ma questo non toglie, che i dialetti delle altre provincie fossero diversi. Nella Spagna, sin dai tempi delle Crociate, veggiamo distinto il

romanzo castigliano dal catalano; nè possiamo comprendere, come tanti scrittori abbiano potuto risguardare come una stessa lingua quella dei tanti scritti di quell'età!

Di più: le lingue parlate, per loro natura, non sono mai stazionarie; ma fedeli intèrpreti dello spirito delle generazioni, ne sèguono tutte le vicende; e perciò anche i dialetti romanzi, in quel tempo di transizione, nella bocca di popoli risurti a nuova vita, e puliti da scrittori inesperti, la cui sola norma era il natural senso e più sovente l'arbitrio, dovettero subire una lunga serie di modificazioni. Ogni anno del medio evo, come osservò anche il Lanzi, era un passo verso un nuovo linguaggio, e perciò non vi fu lingua stabile in tutta l'Europa latina fin dopo il milletrecento, quando cominciarono a determinarsi gli idiomi moderni.

Distingueremo per último la vera lingua romanza dalla favella arbitraria di certi antichi monumenti, che si suole talvolta confondere dagli scrittori sotto lo stesso nome. È noto che, mentre zelanti scrittori s'adoperàvano a dar forma stabile alla lingua vulgare, altri, sebbene ignari d'ogni elemento, vollero scrivere latino, ed apponendo latine desinenze a voci triviali, ed inserendo fra le romanze qualche latina locuzione, impastàrono una lingua bastarda, che non fu mai scritta, nè parlata. Si distinsero in questo numero i notaj ed i chièrici dei bassi tempi, i quali, nella generale ignoranza, si diedero sovente maestri di latinità, e ci tramandarono gran copia di documenti, confusi a torto da alcuni coi pretti romanzi. Così a torto fu proposto dagli scrittori a saggio di lingua romanza il giuramento di Lodovico il Germànico, nel quale si ravvisa appena il

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