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linguaggio d'un Teutono, che tenta invano staccarsi dall'intima costruzione e dalle forme della lingua nativa.

Ad accrescere la corruzione dei dialetti romanzi contribuirono altresì le migrazioni dei popoli settentrionali, parte dei quali fondàrono regni nella nostra penisola, e dopo varii secoli di dominio si sommersero fra gli indigeni. Goti, Vandali, Longobardi e Normanni inserirono quindi alcune straniere voci nei nostri dialetti, e li rèsero alquanto forse più discordi; e le politiche vicende, che più tardi frastagliàrono la penisola in piccioli Stati, perpetuàrono le dissonanze,

Tale era la condizione d'Italia verso il XIII secolo, senza unità nazionale, senza lingua e quasi senza nome. I primi in tutta l'Europa latina, che si adoperàssero a coltivare ed illustrare il proprio dialetto, fùrono i Provenzali. La celebrità che raggiunse quella lingua sotto gli auspicj della corte di Tolosa chiamò a sè molti Italiani, che poscia ne trasportarono in pàtria i nùmeri e le grazie. Tra le varie provincie d'Italia prima ne diede il segnale la Sicilia, ove Federico II e Manfredi premiàrono e stipendiarono alla corte loro Trovatori nazionali, che cantàrono nel proprio linguaggio ad imitazione dei Provenzali. Carlo d'Angiò re di Napoli segui l'esempio dei re di Sicilia, e dappoichè l'arte di far versi amorosi veniva premiata da tutti i principi, quasi tutte le città d'Italia èbbero ben presto i loro Trovatori. Gènova ebbe Folchetto, Calvi e Doria; Venezia, Giorgi; Padova, Brandino; Faenza, i Pùcciola; Pisa, Lucio Drusi; Mantova, il Sordello; Bologna, Ghislieri e Fabrizio; Torino, Nicoletto; Capua, Pietro dalle Vigne; e sopra tutte si distinsero le città toscane, ove fiorirono Guido, Lapo, Cin da Pistoja, Cavalcanti, Brunetto La

tini ed altri molti. Sebbene però questi scrittori vulgari dèssero la prima spinta a stabilire la nuova lingua, egli è certo, che, procedendo di quel passo, l'Italia sarebbe divenuta ben presto una nuova Babele; imperocchè, mentre gli uni polivano il vulgar fiorentino, altri scrivevano il siciliano, altri il napolitano ed altri preferivano il provenzale. La gelosia delle piccole republiche imponeva a ciascuna di far uso del proprio dialetto; nè v'era città, che col peso del suo primato dettar potesse una lingua sola a tutta la nazione.

A liberar l'Italia da questa confusione di lingue era d'uopo, che un potente ingegno, spoglio di pregiudizj municipali e rivolto alla patria grande, ne mettesse a contribuzione tutti i dialetti ed, estraèndone la parte nòbile, fondasse una lingua nazionale, cui perciò a buon diritto si addicesse il nome d'itàlica. Si grave assunto adempi Dante Alighieri, verso il principio del secolo XIV; e concepito l'alto disegno, lo espose nel trattato del Vulgare Eloquio e nel Convivio, ponèndolo ad effetto nella Divina Comedia. Tale appunto fu l'origine del nostro idioma, che in sulla prima aurora eclissò le snervate lettere provenzali. Quando l'Alighieri scrisse il poema con parole illustri tolte a tutti i dialetti d'Italia, e quando nel libro del Vulgare Eloquio condanno coloro che scrivevano un sol dialetto, allora diremo ch'ei fondasse la favella italiana, ed insegnasse ai futuri la certa legge d'ordinarla, conservarla ed accrèscerla. Così avvertiva il Perticari, e così fu; perocchè tutta Italia, invaghita dagli aurei scritti dell'èsule fiorentino, abbandonò l'orgoglio municipale, segui l'esempio del gran maestro, ed ebbe una sola lingua scritta, la lingua sancita da lui. E perciò nello

studio dei dialetti italiani, meglio che in qualsiasi altra fonte, dobbiamo attingere le origini del nostro idioma, e cercar la ragione, così delle sue leggi, come delle molteplici sue variazioni.

III.

Ciò premesso, ci resta a vedere quali studj venissero instituiti sinora sui nostri dialetti, e quali materiali si apprestassero per determinarne l'indole e le proprietà. Raccogliendo quanto fu publicato sinora su questo argomento, scorgiamo bensì, che parecchi tra i principali dialetti italiani possèggono più o meno vasta letteratura; ma questa generalmente consta di poesie satiriche o dramàtiche, intese a solennizzare municipali avvenimenti, o a reprimere le ridicole tendenze dei tempi. Quasi tutti i municipj italiani hanno pure i loro vocabolarj vernàcoli; ma, oltrechè il lèssico d'un dialetto, come abbiamo avvertito, costituisce uno solo degli elementi che lo compongono, questi vocabolarj furono compilati a fine d'insegnare l'italiana favella alle classi meno culte dei rispettivi municipj, anzichè per raccogliere e mettere in evidenza le radici distintive e proprie di tante lingue diverse; inoltre fùrono per lo più ristretti nell'angusto recinto delle città e dei loro sobborghi, restandone per tal modo escluso il prezioso patrimonio della campagna e dei monti, depositarii tenaci d'ogni avito retaggio.

Meno ancora si è fatto, onde rivelare le proprietà grammaticali dell'una o dell'altra favella, e il rispettivo sistema sonoro, tanto importante nelle linguistiche disquisizioni. Appena qualche saggio grammaticale venne

tentato sinora di pochi dialetti, nel quale invano si cercherebbero le molte leggi del principio orgànico e della sintassi rispettiva; nessun piano ortogràfico venne determinato sinora, comune almeno agli scrittori d'uno stesso municipio; sicchè torna pressochè impossibile allo studioso formare sui libri una bastèvole idea dei suoni distintivi dell'uno o dell'altro dialetto.

La mancanza appunto di tali studj preliminari rese impossibile presso di noi uno studio comparativo dei nostri dialetti, e diede origine alle assurde ed arbitrarie classificazioni proposte da varii scrittori. Per tacere di Adelung, di Malte-Brun e di quanti stranieri s'accinsero a quest' ardua impresa, basterà accennare la strana nomenclatura proposta da Adriano Balbi nella compilazione dell'Atlante etnogràfico del globo. Ivi, poste in un fascio le favelle genovesi e piemontesi, che sono radicalmente dissonanti, mentre i popoli che le parlano hanno solo e da pochi anni comune il governo, l'autore annovera tra i dialetti della Francia meridionale quello dei Valdesi, ch'è pretto piemontese; divide dal Bergamasco il Bresciano che ne è un suddialetto, ed unisce in due gruppi distinti il Bresciano coi dialetti essenzialmente discordi di Mantova, Ferrara, Parma e Mòdena, ed il Bergamasco col Bolognese, che rappresèntano due gruppi per ogni riguardo diversi. Per tal modo, rotto ogni vincolo che insieme collega i dialetti emiliani, negletto l'altro più importante, che rivela la non dubia fratellanza d'origine di tante genti cisalpine, distinguendole dalle vènete, dalle toscane e dalle altre famiglie della penisola, la classificazione del signor Balbi riducesi ad una confusa nomenclatura, nella quale, non che i principj della linguistica, sono travolti

i più ovvii elementi dell'etnografia; giacchè se, riunendo i nomi dei dialetti italiani in un'urna, si estraèssero a sorte per formarne più gruppi, non si otterrebbero per certo più incongrue combinazioni! (1)

Volendo or noi ovviare simili sconci, abbiamo avvisato, in tanta inopia di studj preliminari doversi apprestare prima di tutto i materiali necessarj all'erezione dell'edificio; ed a tal fine, raccolto quanto preesisteva, abbiamo intrapreso un particolare esame dei multiformi dialetti italici, visitando i luoghi ove si parlano, e mettendo a contribuzione la scienza degli studiosi d'ogni paese. Di questo lavoro appunto, da noi esteso a tutte le famiglie italiane, porgiamo un brano nel presente volume, inteso a stabilire la classificazione ragionata dei dialetti gallo-itàlici, designati con questo nome, perchè parlati in quella regione d'Italia, che prima della romana potenza era abitata dai Galli. A procèdere impertanto con ordine in argomento sì grave, dopo avere tracciato i naturali confini entro i quali tutti questi idiomi si parlano, li abbiamo decomposti nei loro più semplici elementi, esponendo mano mano le loro proprietà distintive, sia sonore, sia grammaticali, e raccogliendo in brevi pàgine un estratto comparativo dei loro vocabolarj, col duplice scopo di

(1) Ci siamo fatti solleciti di notare questi errori normali, ai quali potremmo aggiungerne una ragguardèvole serie, poichè, il compilatore di quell' opera essèndosi querelato più volte nei pùblici fogli, che altri siasi fatto bello del suo lavoro, abbiamo creduto necessario prevenirne i lettori, onde, attingendo in avvenire a questa fonte, sappiano a che attenersi. V. Allas Ethnographique du Globe, avec environ sept cents vocabulaires des principaux idiomes connus, etc. par Adrien Balbi. Paris 1826. Tab. XII. NB. Questi settecento Vocabolarii dei principali idiomi sono racchiusi in cinque sole tavole, nelle quali sono tradotti 16 nomi e i primi dieci nùmeri cardinali in alcune lingue ed in molti dialetti e suddialetti!

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