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rivelarne le origini ed i rapporti; e per provedere quanto meglio per noi si poteva alla chiarezza dell'esposizione, abbiamo corredato le molteplici nostre osservazioni di Saggi, si in prosa, che in verso, porgendo così allo studioso copia di materiali, onde procèdere nelle ricerche, ed arricchire di novelle induzioni la scienza, che sola potrà rivelarci un giorno chi noi siamo, e quali fùrono i nostri maggiori.

Per ciò che risguarda il sistema sonoro, la necessità di rappresentare scritturalmente in tanti e si svariati dialetti una lunga serie di suoni, in parte diversi dagli italiani, e l'insufficienza del troppo esiguo alfabeto latino, ci costrinsero a far uso di alcuni segni convenzionali, per quei suoni speciali, pei quali l'alfabeto e l'ortografia italiana mancano affatto di segno rappresentativo. Invano avremmo tentato valerci delle mostruose combinazioni di lettere usate a capriccio da quanti sinora imprèsero a rappresentare i dialetti in iscritto, le quali, alterando il valore primitivo dei segni, e nascondendo le radici dei vocàboli, rèsero più difficile la lettura, senza provedere al bisogno. Onde accoppiare la semplicità alla chiarezza, anzichè inventare nuovi segni, o imaginare a capriccio nuove combinazioni, abbiamo preferito far uso dei segni adottati generalmente dal maggior numero delle nazioni europee per le lingue dotate d'una copiosa serie di suoni, quali sono le germàniche e le slave; giacchè egli è ormai tempo che si debba riconoscere da ogni nazione l'utilità e la necessità d'un comune sistema ortogràfico, il quale possa venire inteso dal maggior nùmero possibile di nazioni. La patria comune assegnàtaci dalla natura è l'Europa, e più presto varrà a colle

garne le numerose popolazioni con vincoli indissolubili di fratellèvole commercio un sistema ortogràfico generale, che non la più fitta rete di strade ferrate.

Fondati su questo principio, valèndoci sempre dell'italiana ortografia, quando bastò all'uopo, abbiamo preso dagli alfabeti delle lingue germàniche, scandinaviche e slave i segni ä, ö, ü, per rappresentare i suoni corrispondenti, dei quali manca la lingua italiana; cioè, il segno ä, per esprimere il suono aperto ae dei Latini, ai ovvero è dei Francesi, che partecipa d'ambedue queste vocali, e non può essere definito, ma solo designato colla voce; ö equivale al segno ö dei Tedeschi, ai segni eu, oeu dei Francesi, rappresentandone lo stesso suono; ed ü equivale parimenti alla u dei Francesi. In tal modo, oltre il vantaggio d'una espressione più semplice, più precisa e più generalmente intesa, abbiamo eziandio quello di serbare intatte le radicali, e di rendere quindi più agevole lo studio delle derivazioni, giacchè più presto ravviseremo sotto le forme cör, fög, möri, le radici latine cor, focus, morior, che non sotto le altre cœur, fœugh, mouri, le quali, sebbene usate dai Francesi e dai nostri scrittori vernàcoli, non ripùgnano meno al buon senso. Per le graduazioni delle altre vocali, che vàriano oltremodo in ciascun dialetto, ci siamo ristretti a distinguere le aperte dalle chiuse per mezzo degli accenti grave, acuto e circonflesso. Abbiamo impiegato il segno h a rappresentare l'aspirazione, seguendo in ciò pure l'esempio di molte nazioni europee; e volendo conservare in tutta la sua integrità l'ortografia italiana, lo abbiamo impiegato eziandio a rendere duri i suoni delle c, g colle vocali e, i. A rappresentare poi i suoni mancanti nell'italiana favella,

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e pei quali in conseguenza l'alfabeto latino non porge verun segno, abbiamo tolto a prestito dalle moderne ortografie slave testè promulgate dai cèlebri Gaj e Šafařik, i segni ž, č, ğ, š, dei quali il primo esprime il suono sibilante je, o ge dei Francesi; le č, ğ vàlgono a rappresentare il suono dolce di queste medèsime lettere, ogni qualvolta l'ortografia italiana non vi provede, quando cioè trovansi in fine di parola, come in lèč, fač, dič, oppure in léğ, viàğ, coréğ; e quando la c, sebbene preceduta dalla s, deve pronunciarsi staccata, come nelle parole sčiòp, sčiùma, sčèt, nelle quali altrimenti confonderebbesi col suono italiano sce, sci, tanto svariatamente espresso dalle altre nazioni d'Europa. Ogniqualvolta peraltro l'italiana ortografia bastó da sola a precisare i suoni dolci delle c, g, ci siamo astenuti dal far uso dei nuovi segni, scrivendo cervèl, ciàcer, gióvin, mangià, e simili. Il segno š vale ad esprimere il suono italiano sc, ogniqualvolta si trova in fine di parola, od è seguito da consonante, come nelle voci straš, pajáš, štat, štala; e l'abbiamo ommesso quando bastarono le due sc insieme combinate, come nelle parole sciór, scìmes, cascià, e simili. Per tal modo abbiamo fiducia d'aver ridutto alla più semplice e precisa espressione la scrittura dei dialetti, non che d'averne agevolata la lettura agli indigeni, del pari che agli stranieri; e quindi facciamo voti, affinchè gli scrittori vernàcoli italiani, persuasi della rettitúdine e dell' utilità dei nostri principj, ne sèguano d'ora inanzi l'esempio, o ne propongano un migliore, onde porre àrgine una volta alla crescente Babele ortogràfica.

Nell'enumerazione delle proprietà distintive di tante e si svariate favelle, anzichè dilungarci, compilando un

esteso trattato grammaticale, e porgendo soverchi modelli di declinazioni e di conjugazioni, ciò che avrebbe dato luogo a stèrili e soverchie ripetizioni, abbiamo preferito restringerci a mettere in evidenza i punti principali in cui i dialetti gallo-italici, e si allontanano dalla norma fondamentale della lingua scritta, e divèrgono tra di loro, onde porre così in mano allo studioso il vero bàndolo, che solo può èssergli guida a svolgere l'intricata matassa delle origini rispettive. E perciò ci siamo trattenuti precipuamente nell'avvertire le principali permutazioni ed inversioni, così delle lèttere nella formazione delle parole, come delle parole nella costruzione delle frasi, contenti d'accennare appena alle flessioni dei principali dialetti, ed alle leggi che i medesimi hanno comuni coll'itàlico idioma.

Volendo poi darne un Saggio comparativo a complemento, ed in prova di quanto siamo venuti mano mano esponendo intorno all'organismo speciale di ciascun dialetto, abbiamo prescelto la versione della Parábola del figliuòl pròdigo, fatta a bella posta sulla latina da studiosi dei luoghi rispettivi, dei quali abbiamo notato i nomi a suo luogo, onde convalidarne l'autenticità ed attestare a ciascuno la sincera nostra riconoscenza. Ad escusare questa scelta, gioverà avvertire, che questo brano evangélico, dappoichè venne preferito dal benemèrito Stalder, che lo fece voltare in tutti i dialetti elvètici (1); dal Ministero dell' Interno del cessato impero francese, che lo volle tradotto in tutti i francesi; dall' Academia Cèltica e dai più illustri moderni filòlogi d'ogni nazione, che ne

(1) Stalder. Die Landessprachen der Schweiz, oder schweizerische Dialektologie. Aarau, 1819.

imitarono l'esempio, è divenuto la pietra del paragone pel linguista, più agevole a rinvenirsi dovunque, e ad ogni modo più atto al confronto, che non la breve e simbólica Orazione Dominicale prescelta dai filòlogi del secolo trascorso.

Procedendo nella disàmina delle radici, onde i nostri dialetti compongonsi, sebbene la massa principale appalesi manifesta origine latina, ciò nullostante ne abbiamo trovato eziandio un número ragguardevole di forma affatto diversa, e di estranea derivazione. Valgano d'esempio le quaranta voci diverse (e sono assai più), colle quali dai soli dialetti gallo-italici viene espresso il nome di figlio. Tali sono: bèder, canaja, cèt, creatù, effànt, enfàn, ères, faně, fanciòt, fi, figl, fiö, fiöl, fiòl, fiùl, figliòl, macan, maraja, maràš, marč, masàcher, masč, mat, matèl, matèt, matògn, matu, mülèt, pòl, pütèl, ràis, ràissa, rèdes, rès, sčèt, sčiàt, sciàt, tós, tus. Così il nome padre viene espresso colle voci: atta, bap, bobà, pà, pàder, padri, pàire, papà, pare, pari, parin, pupà, tà, tata, ed altre molte, delle quali, sebbene il maggior numero tragga manifesta l'origine dalle radici latine creatura, hæres, infans, filius, mas, pater, ciò nullostante alcune hanno tutt'altra derivazione (1). Ora, considerando il ragguardèvole nùmero di queste voci dalla lingua del Lazio discordi, ed esprimenti idee od oggetti comuni a tutti i tempi, appare assai verisimile, che traèssero l'origine dalle antiche lingue nella stessa regione parlate prima dell'invasione romana; giacchè egli è ormai dimostrato, che le lingue non si distruggono, se non distruggendo i popoli che

(1) Veggansi tutte queste voci nei Saggi di Vocabolario inseriti in quest opera.

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