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svolto separatamente le cose riguardanti i dialetti lombardi, emiliani e pedemontani (1); e che ciascuna parte fu da noi suddivisa in sei Capi, nel primo dei quali abbiamo annoverate le proprietà distintive sonore e grammaticali di ciascun gruppo; nel secondo abbiamo in ordine disposte le versioni della Parábola del figliuol pròdigo, nei principali dialetti ad ogni gruppo appartenenti; nel terzo abbiamo racchiuso un Saggio di Vocabolario; nel quarto un Sunto istòrico della rispettiva letteratura; nel quinto una Collezione di Saggi èditi ed inèditi d'ogni letteratura vernácola speciale; nel sesto finalmente un Saggio di bibliografia vernàcola. Per tal modo nutriamo fondata speranza d'aver raccolta in questo libro una copia d'importanti materiali, maggiore di quanto si è fatto sinora, e di aver quindi aperta ed agevolata la via allo studio dei patrii dialetti, scopo fondamentale delle penose e lunghe nostre investigazioni. Se quest' arduo tentativo, che proponiamo come Saggio, conscii delle molteplici sue imperfezioni, verrà coronato dal público favore, ci proponiamo di continuare senza interruzione la publicazione d'altri simili lavori delineati sullo stesso piano e col medesimo scopo, eziandio per tutte le altre famiglie degli italici dialetti, pei quali abbiamo già apprestata doviziosa raccolta di nuovi e pregèvoli materiali.

(1) La prima di queste tre parti fu scritta, sebbene in più angusto orizzonte, ed a foggia di semplice notizia, per le Notizie naturali e civili su la Lombardia, nelle quali tuttavia verrà sommariamente inserita.

PROSPETTO GENERALE

DEI

DIALETTI GALLO-ITALICI

I dialetti che ora si parlano nell'alta Italia dividonsi propriamente in quattro famiglie distinte per radicali varietà di suoni, d'inflessioni, di costruzione e di radici, e sono: la famiglia ligure, o genovese, la gallo-italica, la veneta e la cárnica o friulana.

La prima è ristretta nell'angusto lembo racchiuso tra la costa marittima, che dalla foce della Magra si estende sino a Mentone, e l'Apennino ligure; la càrnica òccupa solo l'estremo angolo orientale alpino, ove confina coi dialetti slavi e tedeschi della Carniola e del Tirolo; quasi tutta la parte orientale è quindi occupata dalla vèneta famiglia, che dalle rive dell'Adriàtico, comprese tra la foce del Timavo e quella del Po, si estende fino al lago Benaco ed al Mincio, e dalla catena delle Alpi sino al Po. Per modo che, oltre a due terzi dell' alta Italia racchiusa tra l'Alpi e l'Apennino sono occupati dalla vasta famiglia gallo-italica. Più partitamente parlando, i naturali confini di questa sono: a settentrione, la catena delle alpi rètiche, lepòntiche e cozie, che la dividono dai dialetti romanzi, tedeschi e francesi della Svizzera; ad occidente le alpi graje e marittime, che la separano dai dialetti occitànici della Savoja e della Francia meridionale; a mezzogiorno, la catena degli Apennini liguri e toscani sin oltre la Marecchia, i quali la dividono

dai dialetti genovesi e toscani; ad oriente, le rive dell'Adriàtico, da Cattolica sino alle foci del Po, e quindi, risalito il fiume sin presso alla foce del Mincio, il corso di questo fiume, il lago Benaco, i monti che dividono le valli della Sarca e del Mincio, e finalmente l'eccelsa catena camonia, che la sèpara dalle valli dell'Adige. E qui gioverà avvertire, come a questa naturale divisione dei dialetti italici settentrionali corrispondano per avventura le prische sedi dei pòpoli liguri, cèltici, vèneti e càrnici, e quanto più verisimile appaja quindi la derivazione di quelli dalle antiche lingue di questi primi invasori!

Restringendoci ora a favellare della sola famiglia gallo-itàlica, e fondandoci sulle proprietà distintive degli innumerevoli dialetti che la compongono, ci si offre spontànea la prima sua divisione in tre rami, che dalla regione rispettivamente occupata abbiamo distinto coi nomi lombardo, emiliano e pedemontano. Sebbene parecchi fra i dialetti componenti il primo ramo non appartengano politicamente alla Lombardia propriamente detta, ed all'opposto alcuni di quelli che vi si parlano spettino al secondo, ciò nullostante l'abbiamo denominato lombardo, e perchè infatti il maggior numero dei dialetti che lo compongono, tra i quali i principali, sono parlati in Lombardia, e perchè in tempi non molto da noi lontani la divisione politica meglio corrispondeva alla linguistica, che non al presente. I suoi confini sono: a settentrione le Alpi rètiche e lepòntiche, dalla catena camonia sino al monte Rosa; ad occidente, il corso del Sesia, che da questo monte scaturisce, sino alla sua foce nel Po; a mezzogiorno, il corso di questo fiume dalla foce del Sesia fino a quella dell'Ollio, tranne un piccolo seno, il quale abbraccia la città di Pavia e i vicini distretti sino alla foce del Lambro e al tèrmine del Naviglio di Bereguardo; ad occidente, una linea trasversale dalla foce dell'Ollio a Rivalta sul Mincio, indi il corso di questo fiume da Rivalta a Peschiera, il lago Benaco, i monti che dividono le valli della Sarca e del Mincio e la catena camonia. È quindi manifesto, che il ramo lombardo comprende i dialetti parlati nel regno Lombardo, tranne il pavese e il mantovano; i dialetti della Svizzera italiana, ossia Cantone Ticinese; e i dialetti del regno sardo compresi tra il Sesia, il Po ed il Ticino.

Similmente abbiamo denominato emiliano il secondo ramo, sebbene i dialetti ad esso spettanti òccupino una regione più estesa dell'antica Emilia. Questa comprendeva bensì il paese racchiuso tra il Po e l'Apennino da Borea ad Austro, e da Levante a Ponente il lungo tratto che stèndesi da Rìmini a Piacenza, o meglio dalla moderna Cattolica alla Trebbia; ma il Po, due sècoli prima dell'era volgare, aveva un corso ben diverso dall' odierno, mentre, attraversando la grande palude Padusa, che incominciava nel territorio mantovano meridionale e nel basso modanese, e intersecando la pianura del bolognese, del ferrarese e del romagnolo propriamente detto, metteva foce nel mare a Ravenna. Esso percorreva quindi l'alveo ora denominato Primaro e percorso dal Reno, piegando ad Austro per raggiungere Ravenna, dalla quale ora dista per ben dieci miglia; e la sua foce era quaranta miglia distante, verso mezzogiorno, dall'attuale bocca di Maestra. Da ciò è manifesto, che l'antica Emilia comprendeva le legazioni di Forlì e di Ravenna, la romagnola ferrarese sulla destra riva del Primaro, il territorio bolognese, tranne il distretto di Poggio Renático, allora sulla riva sinistra del Po, il Modanese, il Reggiano, il Mantovano cispadano, il Guastallese, il Parmigiano ed il Piacentino sino alla Trebbia; per modo che n'era esclusa la legazione ferrarese, adesso una delle più ricche e più estese, ed allora vasta palude seminata di piccole isole, o polèsini. In quella vece i naturali confini del secondo ramo, da noi detto emiliano, sono: a settentrione, il corso del Po da Valenza sino alla sua foce nell'Adriàtico, abbracciando ancora oltre il fiume i dialetti pavese e mantovano; ad occidente e a mezzogiorno, una linea trasversale, che da Valenza sul Po raggiunge serpeggiando l'Apennino presso Bobbio, indi la cresta degli Apennini fino alla sorgente della Marecchia, d' onde si prolunga fino a Cattòlica ; ad oriente, le rive dell'Adriàtico, da Cattolica sino alle foci del Po. Esso adunque comprende i dialetti parlati nei ducati di Parma e di Modena, eccetto i transapennini, i bolognesi, i romagnoli, il mantovano, il pavese e i pochi ristretti fra il Po e le falde dell'Apennino, nell'estremo lembo orientale del regno sardo. Finalmente il ramo pedemontano è conterminato, a settentrione, dai monti che dividono i superiori tronchi della Val-Sesia e della

Valle d'Aosta dalle sottoposte valli del Cervo, dell'Orco e della Stura; ad occidente, dalle Alpi graje e marittime; a mezzogiorno dalle stesse Alpi marittime e dall'Apennino ligure; ad oriente, da una linea trasversale serpeggiante, che congiunge Bobbio colla foce del Sesia, e quindi dall'intero corso di questo fiume.

Giova però avvertire, che queste linee, come quelle che verremo in appresso e con maggior precisione tracciando, sègnano bensì la zona, lungo la quale un gruppo, o un singolo dialetto si va mutando nell'altro; ma non sempre, anzi quasi mai, un confine di ràpido e deciso passaggio, poichè in generale i dialetti, mano mano che si scòstano dal centro del loro dominio, smarriscono a poco a poco le loro proprietà distintive, e vanno assimilandosi alle estreme emanazioni dei dialetti confinanti.

L'esposta divisione, come avvertimmo, è fondata sulle proprietà distintive delle famiglie medèsime e delle singole loro membra; sebbene dai Saggi che siamo per pòrgere dei tre rami gallo-italici, e da quelli che ci proponiamo publicare in sèguito delle altre famiglie italiane, appariranno abbastanza manifeste le radicali dissonanze, per le quali una famiglia naturalmente distinguesi dalle altre, e dividesi in più rami, ciò nulladimeno, prima di procèdere nei particolari, stimiamo opportuno proporre alcuni esempi atti a chiarire la via da noi seguita nel corso di questi studj.

La màssima parte dei dialetti gallo-italici ha comuni i suoni ü ed ö affatto ignoti alle altre famiglie itàliche, la sola genovese eccettuata, la quale d'altronde ne è chiaramente distinta per una serie di proprietà diverse; in quella vece alcuni suoni sono comuni alla màssima parte dei dialetti d'un ramo ed ignoti agli altri due; così il lombardo distinguesi dall' emiliano e dal pedemontano pel suono z, che questi non hanno; e l'emiliano distinguesi pel suono ä, mancante nel pedemontano e nel lombardo.

Similmente è proprietà distintiva e comune a tutti i dialetti gallo-italici il troncare generalmente le desinenze delle voci, ciò che avviene di rado nelle altre famiglie, tranne la sola friulana, d'altronde chiaramente distinta per altre radicali impronte; ma questo troncamento medèsimo varia alquanto tra loro, mentre p. e. i verbi italiani terminanti in are, che nei dialetti lombardi

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