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maxumae divitiae, ad rem publicam damna atque dedecora pervenerint. nisi forte nondum etiam vos dominationis eorum satietas tenet, et illa quam haec tempora magis placent, quom regna, provinciae, leges, iura, iudicia, bella atque paces, postremo divina et humana omnia penes paucos erant ; vos autem, hoc est, populus Romanus, invicti ab hostibus, imperatores omnium gentium, satis habebatis animam retinere; nam servitutem quidem quis vostrum recusare audebat? atque ego, tametsi viro flagitiosissumum existumo inpune iniuriam accepisse, tamen vos hominibus sceleratissumis ignoscere, quoniam cives sunt, aequo animo paterer, ni misericordia in perniciem casura esset. nam et illis, quantum inportunitatis habent, parum est inpune male fecisse, nisi deinde faciundi licentia eripitur, et vobis aeterna sollicitudo remanebit, quom intellegetis aut serviundum esse aut per manus libertatem retinendam. nam fidei quidem aut concordiae quae spes est? dominari illi volunt, vos liberi esse, facere illi iniurias, vos prohibere; postremo sociis nostris veluti hostibus, hostibus pro sociis utuntur. potestne in tam divorsis mentibus pax aut amicitia esse? quare moneo hortorque vos, ne tantum scelus inpunitum. omittatis. non peculatus aerari factus est, neque per vim sociis ereptae pecuniae, quae quamquam gravia sunt, tamen consuetudine iam pro nihilo habentur: hosti acerrumo prodita senatus auctoritas, proditum imperium vostrum est, domi militiaeque res publica venalis fuit. quae nisi quaesita erunt, nisi vindicatum in noxios, quid erit reliquum, nisi ut illis, qui ea fecere, oboedientes vivamus? nam inpune quaelibet facere, id est regem esse. neque ego vos, Quirites, hortor, ut malitis civis vostros perperam quam recte fecisse, sed ne ignoscendo malis bonos perditum eatis. ad hoc in re publica multo praestat benefici quam malefici inmemorem esse: bonus tantummodo segnior fit, ubi neglegas, at malus inprobior. ad hoc si iniuriae non sint, haud saepe auxili egeas. >>

la libertà che da quelli riceveste? e tanto più focosamente, quanto è maggiore vergogna perdere le cose acquistate, che il non averle mai conseguite. Dirà alcuno : come dunque la pensi? - Penso doversi trarre vendetta di quelli, i quali dettero la repubblica in balìa del nemico, non manescamente e per violenza, la qual cosa è più indecorosa a voi arrecare, che ad essi subirla; ma pei processi e per la confessione dello stesso Giugurta, il quale, se davvero si è arreso, per fermo starà ai vostri ordini: se poi li sprezzerà, vedrete aperto qual maniera di pace e di dedizione sia quella che frutterà a Giugurta l'impunità dei delitti, a pochi potenti copiose ricchezze, rovina e vitupero allo stato. Seppure non ancora siate ristucchi della loro tirannide, e vagheggiate, più dei presenti, quei tempi nei quali i reami, le provincie, il pubblico e privato diritto, giudizii, guerre e paci, infine ogni divina e umana cosa era all'arbitrio di pochi, e voi, cioè il popolo di Roma, non superati dai nemici, signori del mondo, vi bastava solo il conservare la vita; imperocchè chi di voi osava scrollare il giogo? Ed io, benchè giudico esser cosa vergognosissima per un uomo tenersi l'offesa senza vendetta, pure io soffrirei di buon animo che voi la perdonaste ad uomini scelleratissimi, perchè sono cittadini, se la clemenza non fosse per riuscire a rovina. Imperocchè e quelli (tanta è la petulanza loro!) tengono per poca cosa il mal fatto impunemente, se non si toglie loro la licenza di tornarvi anche appresso; e voi rimarrete in una continua angoscia, quando vi avvedrete che vi è forza il servire, .o il conservare la libertà con le armi. Quale speranza invero è mai di fede e di accordi? Essi vogliono padroneggiare, voi tenervi liberi; essi far male, voi stornarlo. Infine essi vogliono trattare i nostri alleati da nemici, e i nemici da alleati. Può mai esser pace ed amicizia con sì contrarii intendimenti? Perciò vi ammonisco ed esorto a non lasciare impunita così grande enormezza. Non si tratta di pubblico pe

32. Haec atque alia huiuscemodi saepe dicundo Memmius populo persuadet, uti L. Cassius, qui tum praetor erat, ad Iugurtham mitteretur eumque interposita fide publica Romam duceret, quo facilius indicio regis Scauri et reliquorum, quos pecuniae captae accersebant, delicta patefierent. dum haec Romae geruntur, qui in Numidia relicti a Bestia exercitui praeerant, secuti morem imperatoris sui plurima et flagitiosissuma facinora fecere. fuere, qui auro conrupti elephantos Iugurthae traderent; alii perfugas vendere, pars ex pacatis praedas agebant; tanta vis avaritiae in animos eorum veluti tabes invaserat. at Cassius, perlata rogatione a G. Memmio ac perculsa omni nobilitate, ad Iugurtham proficiscitur eique timido et ex conscientia diffidenti rebus suis persuadet, quoniam se populo Romano dedisset, ne vim quam misericordiam eius experiri mallet. privatim praeterea fidem suam interponit, quam ille non minoris quam publicam ducebat; talis ea tempestate fama de Cassio erat.

culato, non di danaro per forza estorto ai collegati; i quali delitti, per gravi che sieno, pure ormai per la rea costumanza si tengono per un nulla. A nemico capitale fu prostituita l'autorità del senato, prostituita la vostra signoria; e in Roma e nel campo la repubblica fu roba da mercato. Delle quali cose se non va fatta inquisizione e vendetta contro i malvagi, che più ci resta, se non sobbarcarci a coloro che le commisero? Ed infatti, poter fare checchessia impunemente, è farla da re. Non vi esorto, o Romani, a desiderare che i vostri cittadini siano stati piuttosto commettitori di male che di bene; ma che, perdonando ai tristi, non siate la rovina dei buoni. Inoltre, in uno stato val molto meglio trascurare i buoni che i malvagi: l'uomo dabbene, negletto, si disanima; il malvagio, peggio infellonisce. Aggiungete: se non vi saranno delitti, sarà meno presente il bisogno di aiuto a vendicarli. »

32. Su queste ed altre simiglianti cose tornando, Memmio piega il romano popolo a spedire Lucio Cassio, in quei dì pretore, a Giugurta, ed a menarlo in Roma con salvacondotto, perchè con la confessione del re i delitti di Scauro e degli altri, accusati di corruzione, più facilmente venissero all'aperto. In quello che tali cose avvengono in Roma, i lasciati da Bestia al governo dell'esercito, seguendo l'esempio del loro capitano, a molte e mostruose enormezze andarono. Fu chi, corrotto per danaro, restituisse gli elefanti a Giugurta, chi i disertori vendesse, e chi rapinasse i rappaciati. Così prepotente avarizia era entrata negli animi, quasi tabe! Ma Cassio, volto in legge il partito preso da Caio Memmio, e atterrito tutto il patriziato, se ne va a Giugurta, e lui, pauroso e disperato per mala coscienza delle cose sue, persuade, poichè erasi già arreso al popolo romano, a volere piuttosto sperimentarne la clemenza che il rigore; inoltre obbliga a lui la sua fede privata, della quale Giugurta non faceva minor conto della pubblica. Così fatta stima a quel tempo si aveva di Cassio!

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captae accersebant, runtur, qui in Numid: cuti morem imperato fecere. fuere, qui aur alii perfugas vendere. avaritiae in animos perlata rogatione a (Iugurtham proficiscit rebus suis persuade: vim quam misericor terea fidem suam in

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