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Numidi avrebbero potuto più a lungo durarla, se i fanti mescolati coi cavalli non avessero nella mischia menata una grande strage. Dai quali quelli sorretti, non com'è uso nelle fazioni di cavalleria, d'incalzare e poi ritirarsi, a briglia sciolta cozzavano, impacciavano, scompigliavano le ordinanze; e così facevano cadere mezzo vinto il nemico in mano dei fanti leggieri.

60. Nello stesso tempo era intorno a Zama un'accanita battaglia. Là dove comandava un luogotenente o tribuno, sforzi disperati: ognuno metteva speranza più in sè stesso che in altri: quei della terra facevano lo stesso. Assalivano e tenevano fronte da ogni banda, più intenti a ferire altrui col ferro, che a schermire sè stessi; un misto di grida d'incoraggiamento, di tripudio, di lamenti; e con questo il cozzo delle armi andava alle stelle; da per tutto un nembo di dardi. Ma quelli che erano alla difesa delle mura, come vedevano il nemico allentare alquanto l'assalto, affisavano intenti la battaglia della cavalleria; e li avresti veduti ora giulivi, ora tementi, secondo che andavano le cose a Giugurta; e, come non potevano essere visti e uditi dai loro, chi dava avvisi, chi confortava, facendo cenni con le mani o sforzi con la persona, qua, di là dimenandosi, come chi schiva o scocca strali. Del che come Mario s'avvide, trovandosi a comandare da quella banda, ad arte scemò lo sforzo, e s'infinse mal sicuro del fatto suo, lasciando tranquilli i Numidi a vedere il re che combatteva. Così, stando quelli tutti intesi ai loro, all'improvviso dà un violento assalto alle mura; e già i soldati venuti su con le scale quasi ne tenevano la cima, quand' ecco quelli della terra scontrarli e tempestarli di sassi, di fiaccole e di dardi. I nostri dapprima tennero fermi, ma poi una dopo l'altra le scale si fracassano, i restati sopra furono atterrati, gli altri, come loro venne fatto, si ritraggono, pochi non tocchi, i più rotti di ferite. Finalmente la notte separò i combattenti.

di

13. LA GUERRA DI GIUGURTA.

sidio erant, et omnia magis quam proelium expectanti' inrumpit. at nostri, repentino metu perculsi, sibi moribus consulunt; alii fugere, alii arma capere, volnerati aut occisi. ceterum ex omni multitudine quadraginta memores nominis Romani grege facto paulo quam alii editiorem, neque inde maxuma vi runt, sed tela eminus missa remittere, pauci in frustrari; sin Numidae propius accessissent, ihi ostendere et eos maxuma vi caedere, fundere a terim Metellus quom acerrume rem gereret, c' multum] hostilem a tergo accepit, dein convo. vortit fugam ad se vorsum fieri, quae res in esse. igitur equitatum omnem ad castra prope G. Marium cum cohortibus sociorum, eum amicitiam perque rem publicam obsecrat, ne remanere in exercitu victore neve hostis inu brevi mandata efficit. at Iugurtha munime ditus, quom alii super vallum praecipitareipsi sibi properantes obficerent, multis an sese recepit. Metellus, infecto negotio, pos castra cum exercitu revortitur.

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*.etas, ubi videt frustra inceptum neque oppidum capi, tham nisi ex insidiis aut suo loco pugnam facere, et petatem exactam esse, ab Zama discedit et in iis urbibus, efecerant, satisque munitae loco aut moenibus erant, la monit: ceterum exercitum in provinciam, quae proNambiae, hiemandi gratia conlocat. neque id tempus at more quieti aut luxuriae concedit, sed quoniam armis sazen procedebat, insidias regi per amicos tendere et vedba pro armis uti parat. igitur Bomilcarem, qui Ro- · rtha fuerat et inde vadibus datis clam de Masrece zudicium fugerat, quod ei per maxumam amicitiam epia allendi erat, multis pollicitationibus adgreditur. no hicit, uti ad se conloquendi gratia occultus veniat, bie lata, si Iugurtham vivom aut necatum sibi tradidis, ili senatus inpunitatem et sua omnia concederet, Yamiiae persuadet, cum ingenio infido, tum metuenti, ne, cum Romanis fieret, ipse per condiciones ad supplicium

soman oportunum fuit, Iugurtham anxium ac con_vernas suas accedit; monet atque lacrumans obtePquando sibi liberisque et genti Numidarum optume sees dear, guriidus proeliis sese victos, agrum vastatum, 4. els captes, occisos, regni opes conminutas esse; # of virtutem militum et fortunam temptatam; 16 puretante Numidae sibi consulant. his atque tai deditionem regis animum inpellit. mittuntur ad spart, qui Iugurtham imperata facturum dicerent MELAR &R NEGaunque suum in illius fidem tra

jepote cunétos senatorii ordinis ex hibernis ac

61. Metello come vide che non si veniva a capo dell'impresa, nè che si otteneva la terra, e che Giugurta non guerreggiava se non per strattagemmi e dove gli piaceva, e s'era già allo scorcio dell'estate, si toglie da Zama, e mette presidii nelle città che gli si erano rese, per postura e per opera abbastanza forti; e l'oste che rimaneva, pose a svernare nella provincia vicina alla Numidia. Nè logora questo tempo nell'ozio e nei piaceri, a modo degli altri; ma, giacchè la guerra con le armi poco riusciva, si briga di macchinare insidie al re per opera degli amici, ed a vece delle armi, far capitale della loro perfidia. Adunque si pone a tentare con larghe promesse Bomilcare, il quale era stato in Roma con Giugurta, e che poi, dati gli ostaggi, era scappato al giudizio della morte di Massiva, come colui che per la intrinseca amicizia aveva tutto il destro di giocare di tradimenti. E dapprima ottiene tirarlo a sè in segreto abboccamento; poi, obbligata la sua fede, gli promette, che dandogli nelle mani Giugurta, vivo o morto, il senato gli sarebbe largo di perdono e di tutto il suo avere. Il Numida, di fede mal ferma e in timore, che facendosi la pace coi Romani, entrasse tra le condizioni il suo supplizio, facilmente fu persuaso.

62. Questi, come la cosa gli venne a taglio, va a trovare Giugurta, angoscioso e dolorante su i casi suoi, e lo fa avvisato e lo scongiura con le lagrime agli occhi che volesse pure una volta pensare a sè, ai figliuoli ed alla gente Numida, tanto benemerita: in tutte le battaglie avere avuto la peggio, disertati i campi, molta gente prigioniera o spenta, stremati i nervi dello stato, abbastanza essersi messo a prova il valore dei soldati e la fortuna: si guardasse che, stando egli dubbioso, i Numidi non provveggano da loro ai fatti proprii. Con queste ed altre ragioni spinge alla resa l'animo del re. Sono spacciati oratori a Metello, recando, che Giugurta starebbe al voluto da lui, e che alla sua

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