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lo contrario era tenero della temperanza, della dignità, ma più di ogni altra cosa dell'austerità; non emulava i ricchi nelle ricchezze, e i faziosi nel parteggiare; ma gli eccellenti nelle virtù, i modesti nel pudore, gl'incolpati nella temperanza; amava piuttosto essere uom dabbene che parerlo; quanto meno andava appresso alla gloria, tanto più di corto vi arrivava.

55. Poichè, come ho narrato, il senato seguì l'avviso di Catone, il console, stimando eccellente provvidenza prevenire la notte che avvicinava, perchè in quel mezzo non accadesse novità di sorta alcuna, commette ai tribuni apparecchiare l'occorrente alla giustizia: egli stesso, collocate le guardie, mette dentro al carcere Lentulo; lo stesso degli altri per man dei pretori. È un luogo nel carcere, che si addimanda Tulliano; un po' che ti farai su a manca, affonda sotterra per dodici piedi. Mura tutto intorno lo assicurano, con sopra una volta incatenata ad archi di vivo sasso; ma il suo aspetto era sozzo e terribile per lo squallore, il buio ed il fetore. In questo luogo poichè fu calato Lentulo, i carnefici, che ne avevano il mandato, lo strozzarono di capestro. Così quell'uomo patrizio della nobilissima casa dei Cornelii, che aveva esercitato in Roma il reggimento consolare, incontrò fine degna della sua vita e delle sue opere. Della stessa morte furono puniti Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario.

56. Mentre questo avveniva in Roma, Catilina, di tutta la gente che egli stesso aveva menata e di quella tenuta da Manlio, forma due legioni, rifà le coorti secondo il loro numero; di poi egualmente distribuiva volontari o congiurati, come arrivavano agli alloggiamenti; ed in poco di tempo aveva fornite del loro numero di soldati le legioni, non avendone avuto dapprincipio più di duemila. Ma, di tutta quella gente, appena un quarto era fornita di armi da guerra; tutti gli altri, come il caso le aveva porte a ciascuno, recavano ronche o lance ed alcuni acutis

lina per montis iter facere, modo ad urbem, modo Galliam vorsus castra movere, hostibus occasionem pugnandi non dare; sperabat propediem magnas copias sese habiturum, si Romae socii incepta patravissent. interea servitia repudiabat, quoius initio ad eum magnae copiae concurrebant, opibus coniurationis. fretus, simul alienum suis rationibus existumans, videri causam civium cum servis fugitivis conmunicavisse.

57. Sed postquam in castra nuntius pervenit Romae coniurationem patefactam, de Lentulo et Cethego ceterisque, quos supra memoravi, supplicium sumptum; plerique, quos ad bellum spes rapinarum aut novarum rerum studium inlexerat, dilabuntur; reliquos Catilina per montis asperos magnis itineribus in agrum Pistoriensem abducit, eo consilio, uti per tramites occulte perfugeret in Galliam Transalpinam. at Q. Metellus Celer cum tribus legionibus in agro Piceno praesidebat, ex difficultate rerum eadem illa existumans, quae supra diximus, Catilinam agitare. igitur, ubi iter eius ex perfugis cognovit, castra propere movit ac sub ipsis radicibus montium consedit, qua illi descensus erat in Galliam properanti. neque tamen Antonius procul aberat, utpote qui magno exercitu locis aequioribus expeditos in fuga sequeretur, sed Catilina postquam videt montibus atque copiis hostium sese clausum, in urbe res advorsas, neque fugae neque praesidi ullam spem, optumum factu ratus in tali re fortunam belli temptare, statuit cum Antonio quam primum confligere. itaque contione advocata huiuscemodi orationem habuit.

58. « Compertum ego habeo, milites, verba virtutem non addere, neque ex ignavo strenuum neque fortem ex timido exercitum oratione imperatoris fieri. quanta quoiusque animo audacia natura aut moribus inest, tanta in bello patere solet. quem ne

simi pali. Ma, appressandosi Antonio coll'esercito, Catilina si av

per

við i monti: ora accennava a Roma, ora alla Gallia; toglieva al nemico l'appicco a far giornata. Sperava che fra poco avrebbe avuto un grosso esercito, se i congiurati in Roma avessero mandato a capo l'impresa. Intanto rigettava i servi, i quali da principio in frotta accorrevano a lui, confidando nell'aiuto de' congiurati, e facendo ragione non tornare in suo pro il mostrare di aver confusa la causa de' cittadini con servi scappati.

57. Ma, giunta agli alloggiamenti la novella della sventata congiura in Roma, e della capitale pena inflitta a Lentulo, Cetego ed altri de' quali ho sopra toccato, molti che la speranza della rapina o la vaghezza delle novità aveva adescati alle armi, spulezzano; mena gli altri Catilina a grandi giornate per aspri monti nel contado di Pistoia, coll' intendimento di fuggirsene nella Gallia transalpina per occulti traghetti. Ma Quinto Metello Celere con tre legioni presiedeva al paese de' Piceni, argomentando dalle distrette di Catilina i disegni che aveva nell'animo, detti innanzi. Adunque, come dai disertori ebbe lingua della via che teneva, incontanente sloggia, e pone il campo alle radici del monte, là dove quegli s'aveva la discesa nella Gallia. Nè si teneva lontano Antonio nella pianura a inseguire gli scappati. Ma Catilina, come vide sè stesso stretto dai monti e dalle schiere nemiche, in Roma le cose andate a male, e non avanzargli speranza di scampo e di soccorso, stimando ottimo partito in tale stato tentare la sorte delle armi, fermò il più presto venire alle mani con Antonio. Laonde, assembrato il parlamento, tenne questa diceria:

58. « Mi so a prova, o soldati, che le parole non accrescono il valore; nè che per l'arringa del capitano un esercito da poltrone si rimuti in operoso e da vigliacco in animoso. Quanto ardimento ciascuno s'ha in petto dalla natura e dall'uso, tanto suole in

que gloria neque pericula excitant, nequiquam hortere; timor animi auribus obficit. sed ego vos, quo pauca monerem, advocavi; simul uti causam mei consili aperirem. scitis equidem, milites, socordia atque ignavia Lentuli quantam ipsi nobisque cladem attulerit; quoque modo, dum ex urbe praesidia opperior, in Galliam proficisci nequiverim. nunc vero quo loco res nostrae sint, iuxta mecum omnes intellegitis. exercitus hostium duo, unus ab urbe, alter a Gallia obstant; diutius in his locis esse, si maxume animus ferat, frumenti atque aliarum rerum egestas prohibet. quocunque ire placet, ferro iter aperiundum est. quapropter vos moneo, uti forti atque parato animo sitis et, quom proelium inibitis, meminéritis vos divitias, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vostris portare. si vincimus, omnia nobis tuta erunt, commeatus abunde, municipia atque coloniae patebunt; si metu cesserimus, eadem illa advorsa fient: neque locus neque amicus quisquam teget, quem arma non texerint. praeterea, milites, non eadem nobis et illis necessitudo impendet; nos pro patria, pro libertate, pro vita certamus: illis supervacaneum est pro potentia paucorum pugnare. quo audacius adgrediamini, memores pristinae virtutis. licuit vobis cum summa turpitudine in exilio aetatem agere; potuistis nonnulli Romae amissis bonis alienas opes expectare: quia illa foeda atque intoleranda viris videbantur, haec sequi decrevistis. si haec relinquere voltis, audacia opus est; nemo nisi victor pace bellum mutavit. nam in fuga sperare salutem, quom arma, quibus corpus tegitur, ab hostibus avorteris, ea vero dementia est. semper in proelio maxumum est periculum, qui maxume timent; audacia pro muro habetur. quom vos considero, milites, et quom facta vostra aestumo, magna me spes victoriae tenet. animus, aetas, virtus vostra me hortantur; praeterea necessitudo, quae etiam timidos fortis facit. nam multitudo hostium ne circumvenire queat, prohibent

guerra addimostrarsi. Tu conforti invano chi non sente lo stimolo della gloria e dei pericoli: la imbecillità del cuore tura le orecchie. Ma io vi ho radunati a darvi pochi avvisi, e per significarvi la ragione dei miei disegni. Conoscete a pezza, o soldati, qual rovina abbia tirato in capo a sè stesso ed a noi la lentezza e la negligenza di Lentulo; e come in quel che mi aspettava aiuti da Roma, non abbia potuto muovere per la Gallia. Ora poi a qual partito si trovino le nostre cose, tutti intendete al pari di me. Due eserciti nemici, uno dalla banda di Roma, l'altro della Gallia, ci sbarrano la via: lo stare più lungamente in questi luoghi, anche se ci basti il coraggio, il difetto del frumento e di ogni altra cosa non ci consente: dovunque vogliamo andare è da far la via col ferro. Per la qual cosa io vi esorto a stare con gli animi arditi e pronti, e in quel che appiccherete la mischia, pensate come in pugno vi abbiate ricchezze, onore, gloria, e con questo la libertà e la patria. Se vincitori, ogni cosa al sicuro: abbondanza di vettovaglie; municipii e colonie ci schiuderanno le porte; se ci farem vincere dalla paura, tutto questo a nostra rovina: nè vi avrà luogo, nè amico che proteggerà quello, cui non avrà fatto schermo la spada. Inoltre, o soldati, non è la stessa necessità, che sta sul collo a noi ed a quelli; noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita; per quelli è un superfluo l'azzuffarsi per la potenza di pochi: ricordatevi dell'antico valore, per avventarvi con maggior ardimento. Foste liberi di trascinare la vita nell'esiglio; alcuni potevano, perduti i beni, accattare l'obolo altrui. Poichè quelle condizioni disoneste ed insopportabili ad uomini vi parvero, vi determinaste ad abbracciare le presenti. Se volete ritrarvi da queste, vi è d'uopo l'osare: nessuno, se non vincitore, mutò la guerra in pace. È poi gran follia sperare scampo nella fuga, mentre tu storni dal nemico la spada che è a schermo del tuo corpo. Sempre nelle battaglie ai più timidi incalzano i più

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