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il console, incerto del come avesse a schierare l'esercito, non mutato affatto il disposto, se ne sta quivi aspettando parato a fronteggiare da ogni parte. Così fallivano le speranze di Giugurta, il quale aveva divisa l'oste in quattro parti, facendo ragione che fra tutte qualcuna fosse riuscita alle spalle del nemico. Intanto Silla, che primo era stato assalito dal nemico, rincorati i suoi, con la cavalleria, a squadre serratissime e con altri assale i Mauri: gli altri al loro posto si schermivano dagli strali scoccati da lungi, e quanti capitavano loro a mano trucidavanó. Mentre in quella guisa si azzuffavano i cavalieri, Bocco coll'infanteria che gli aveva menato suo figlio Voluce (trattenuta per via, non s'era trovata nella prima battaglia), assale la retroguardia dei Romani. In quel punto Mario si trovava alle prime file, perchè là era Giugurta con grosso sforzo. Ma Giugurta, risaputo dell'arrivo di Bocco, con poca gente, celatamente si accosta ai fanti, ed a quelli in latino (avendolo appreso in Numanzia) grida: I nostri battersi senza pro; avere testè di sua mano trafitto Mario; ed in questo faceva mostra di una spada rosseggiante di sangue, la quale nel fuoco della mischia aveva lestamente intrisa nel cadavere di un nostro fante. Alla quale novella i soldati, più per l'orrore del caso, che per fede in chi la recava, sono atterriti: i barbari imbaldanziscono, e più forte premono i Romani costernati. Già questi erano in sullo sbandarsi, quando Silla, sbaragliati quelli contra ai quali era andato, volta la fronte, investi i Mauri. Bocco spulezza. Ma Giugurta, in quello che si sforza per sorreggere i suoi e per non lasciarsi sfuggire la vittoria, che quasi aveva in pugno, assalito da cavalieri, a manca e a destra uccisi tutti, egli solo tra le spade nemiche a furia se la scampa. Intanto Mario, fugata la cavalleria, accorre in aiuto de' suoi, i quali aveva saputo che già cedevano. Finalmente il nemico è già in pieno sbaraglio. Allora per l'aperta campagna

102. Postea loci consul haud dubie iam victor pervenit in oppidum Cirtam, quo initio profectus intenderat. eo post diem quintum quam iterum barbari male pugnaverant, legati a Boccho veniunt, qui regis verbis ab Mario petivere, duos quam fidissumos ad eum mitteret, velle de se et de populi Romani commodo cum his disserere. ille statim L. Sullam et A. Manlium ire iubet. qui quamquam acciti ibant, tamen placuit verba apud regem facere, ingenium aut avorsum uti flecterent aut cupidum pacis vehementius accenderent. itaque Sulla, quoius facundiae, non aetati, a Manlio concessum, pauca verba huiuscemodi locutus.

< Rex Bocche, magna laetitia nobis est, quom te talem virum dimonuere, uti aliquando pacem quam bellum malles, neu te optumum cum pessumo omnium Iugurtha miscendo conmaculares, simul nobis demeres acerbam necessitudinem, pariter te errantem atque illum sceleratissumum persequi. ad hoc populo Romano iam a principio inopi melius visum amicos quam servos quaerere; tutius esse rati volentibus quam coactis imperitare. tibi vero nulla oportunior nostra amicitia, primum, quia procul absumus, in quo offensae minumum, gratia par ac si prope adessemus; dein quia parentis abunde habemus, amicorum neque nobis neque quoiquam omnium satis fuit. atque hoc utinam a principio tibi placuisset: profecto ex populo Romano ad hoc tempus multo plura bona accepisses, quam mala perpessus esses. sed quoniam humanarum rerum fortuna pleraque regit, quoi scilicet placuit et vim et gratiam nostram te experiri, nunc, quando per illam licet, festina atque uti coepisti perge. multa atque

fu un'orribile vista: una sèguita, una fuga, un macello, una presura; cavalli e cavalieri atterrati; molti dalle toccate ferite impotenti alla fuga e a reggersi in piedi, rilevarsi un poco e ricader tosto. Da ultimo, quanto l'occhio vedeva, seminato di strali, di armadure, di cadaveri, e negli spazii una pozza di sangue.

102. Da quel dì il console, oramai sicuro della vittoria, giunse nella terra di Cirta, cui da prima erasi indirizzato. Colà, in capo al quinto dì dalla doppia sconfitta toccata dai barbari, gli arrivaron oratori di Bocco, i quali, a nome del re, pregarono Mario gli spedisse due de' più fidati, volendo con costoro trattare del suo pro e di quello del romano popolo. Quegli incontanente gli spaccia Lucio Silla ed A. Manlio; i quali, benchè vi andassero invitati, pure arringarono il re, o ad amicarselo, contrario, o, con la pace in cuore, infocargliene meglio il desiderio. Laonde Silla, alla eloquenza del quale, non punto all'età, Manlio cedette, brevemente in tal guisa favellò:

« O re Bocco, è una gioia per noi, che gl'iddii abbiano ispirato a te, uomo di tanto merito, alla perfine il volgerti piuttosto a pace che a guerra, e che tu, cima d'uomo, non ti contaminassi mescolandoti con Giugurta, feccia degli uomini, e togliessi a noi il duro debito d'involgere nella medesima pena te ingannato e quel tristissimo. E però al romano popolo fin da' suoi umili principii piacque piuttosto procacciarsi amici che schiavi, convinto che fosse più facile correggere gli arresi, che gli aggiogati. A te poi nulla di meglio della nostra amicizia: primamente, perchè siamo in lontano paese; onde sarà pochissima l'occasione di male, e il bene ti verrà come se ti fossimo allato; poi, perchè di soggetti abbiamo in copia, e di amici nè noi nè altri ebbe tanti che bastino. E così fin da principio questo ti fosse andato a sangue! chè per fermo fino a questo dì avresti tu dal romano popolo ricevuti assai più benefizii, che danni e patimenti. Ma giacchè la

oportuna habes, quo facilius errata officiis superes. postremo hoc in pectus tuum demitte, numquam populum Romanum beneficiis victum esse; nam bello quid valeat, tute scis. >>

Ad ea Bocchus placide et benigne; simul pauca pro delicto suo verba facit: « Se non hostili animo, sed ob regnum tutandum arma cepisse; nam Numidiae partem, unde vi Iugurtham expulerit, iure belli suam factam; eam vastari a Mario pati nequivisse; praeterea missis antea Romam legatis, repulsum ab amicitia. ceterum vetera omittere ac tum, si per Marium liceret, legatos ad senatum missurum. » dein, copia facta, animus barbari ab amicis flexus, quos Iugurtha, cognita legatione Sullae et Manli, metuens id, quod parabatur, donis conruperat.

103. Marius interea, exercitu in hibernaculis conposito, cum expeditis cohortibus et parte equitatus proficiscitur in loca sola, obsessum turrim regiam, quo Iugurtha perfugas omnis praesidium inposuerat. tum rursus Bocchus feliciter seu reputando, quae sibi duobus proeliis venerant, seu admonitus ab aliis amicis, quos inconruptos Iugurtha reliquerat, ex omni copia necessariorum quinque delegit, quorum et fides cognita et ingenia validissuma erant. eos ad Marium, ac deinde, si placeat, Romam legatos ire iubet, agendarum rerum et quocunque modo belli conponendi licentiam ipsis permittit. illi mature ad hiberna Romanorum proficiscuntur, deinde in itinere a Gaetulis latronibus circumventi spoliatique, pavidi, sine decore ad Sullam profugiunt, quem consul in expeditionem proficiscens pro praetore reliquerat. eos

maggior parte degli umani casi è in mano della fortuna, la quale pur volle che tu saggiassi il nostro rigore e la nostra clemenza, ora che quella te ne porge il destro, affréttati per la via che hai presa. T'hai a mano una bella occasione di ammendare molto agevolmente i tuoi torti con buoni servigi. Da ultimo mettiti in fondo all'animo, che giammai sia stato superato da alcuno il romano popolo nel beneficare: che valga poi nelle armi, tel sai prova. »

Di rimando Bocco, con calma e cortesia, poco disse a purgarsi: « sè non per avverso animo, ma più per difesa del reame essere andato all'armi, poichè non aveva potuto tollerare, che quella parte della Numidia dalla quale aveva sterminato Giugurta con le armi, toccatagli per diritto di guerra, fosse guasta da Mario; e, perchè avendo spediti oratori a Roma per fare amicizia, n'era stato reietto. Del resto, velo sul passato; ed ora, se da Mario gli venisse licenza, manderebbe ambasciadori al senato. » Di poi, ottenutane facoltà, l'animo del barbaro fu stornato dagli amici, i quali Giugurta, risaputo dell'ambasceria di Silla e di Manlio, temendo di quel che gli si macchinava, aveva corrotti con doni.

103. Intanto Mario, stanziato l'esercito nei quartieri d'inverno, con le coorti leggiere e parte della cavalleria muove pel deserto a porre l'assedio ad una rocca regale, la quale Giugurta aveva dato a guardia a tutti i disertori. Allora Bocco di nuovo per sua ventura, o ripensando su quello che aveva incontrato nelle due battaglie, o consigliato da altri amici, inespugnati da Giugurta, dei molti suoi famigliari scelse cinque di provata fede e d'ingegno poderosissimi, e a costoro comanda che vadano oratori a Mario, e poi, se a costui piacesse, a Roma. Dà loro facoltà di negoziare e porre fine alla guerra, a qualsifosse ragione. Quelli senza indugio muovono per gli alloggiamenti d'inverno dei Romani; ma per via, assaliti e spogliati da predoni getuli, tremanti e male in arnese rifuggono a Silla, lasciato dal console a far la veci

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